In seguito alla pubblicazione sul numero di maggio di Italia a Tavola di un servizio, a firma di Serena Pironi e Francesca Agostini, riguardante i problemi legati all’approvvigionamento dell’olio di girasole, il presidente dell’Unione italiana per l’olio di palma sostenibile, Mauro Fontana, ha scritto alla nostra redazione per fare alcune precisazioni e chiedere chiarimenti. Di seguito riportiamo la lettera del presidente Fontana e la replica della tecnologa alimentare Serena Pironi.
Olio di palma
LETTERA DEL PRESIDENTE DI UNIONE ITALIANA OLIO DI PALMA SOSTENIBILE
Scrivo in qualità di presidente dell’Unione italiana per l’olio di palma sostenibile, organizzazione costituita nel 2015 da un gruppo di associazioni di categoria e note aziende nazionali ed internazionali attive in vari settori merceologici che utilizzano nelle loro produzioni olio di palma, con l’obiettivo principale di promuovere l’impiego di olio di palma sostenibile da parte delle aziende italiane e la corretta informazione dei consumatori. Abbiamo letto l’articolo intitolato “Scarseggia l’olio di girasole, ma è davvero il migliore?”, a firma di Serena Pironi e Francesca Agostini e abbiamo ritenuto opportuno condividere alcune osservazioni e suggerimenti di revisione.
La nostra prima osservazione è che l’olio di palma non è un olio da seme, bensì, proprio come l’olio d’oliva, si ottiene per spremitura del frutto della palma da olio.
La seconda osservazione è relativa alla raccomandazione riguardante il consumo di grassi all’interno di un’alimentazione bilanciata. Il testo riporta una percentuale di assunzione di grassi del 20%, di cui 2/3 insaturi, che però non corrisponde alle indicazioni ufficiali. Il Crea-Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione raccomanda infatti nelle “Linee Guida per una Sana Alimentazione 2018” di non superare il 30% delle calorie totali. Un quantitativo superiore di grassi è raccomandato poi nei processi di crescita e nella prima infanzia (bambini di età inferiore ai 3 anni), in cui la quota di grassi nella dieta deve essere più elevata e compresa tra il 35 e il 40% delle calorie assunte.
L’olio di oliva viene giustamente apprezzato per la sua bassa concentrazione di grassi saturi. Tuttavia è bene tener conto del fatto che il consumo di olio di oliva è la seconda fonte di grassi saturi nella dieta degli italiani per via dell’elevato livello di consumo pro-capite, come si può evincere anche dagli Studi sui consumi alimentari in Italia, 2005-2006 del Crea. Inoltre, nell’articolo viene evidenziato come l’olio di oliva sia ricco di antiossidanti tocoferoli, precursori della vitamina E. A tale proposito, vale la pena di precisare che anche l’olio di palma contiene questi importanti antiossidanti, come sottolinea l’Istituto Superiore di Sanità: «Oltre agli acidi grassi, l’olio di palma grezzo contiene componenti quali vitamina E, soprattutto in forma di tocotrienoli (fino a 500 mg/kg di olio grezzo) e alfa tocoferoli (150-200 mg/kg), carotenoidi (500-2.000 mg/kg), e fitosteroli (40-90 mg/100 g). Alcune modalità di raffinazione dell’olio di palma per uso industriale determinano una riduzione fino al 40% del contenuto di vitamina E e della maggior parte dei carotenoidi (Gibon V. et al., 2007)».
Sul punto di fumo dei principali oli vegetali, si pone l’accento sugli oli con punto di fumo più basso, preferibili per una consumazione a crudo. Riteniamo sia corretto integrare l’informazione con un’indicazione del fatto che l’olio di palma, che ha il punto di fumo più alto, è ideale per le fritture.
Nel vostro articolo si legge inoltre: «L’olio di palma, fino a pochi anni fa ampiamente utilizzato nell’alimentare per le sue caratteristiche tecnologiche e di stabilità, è ricco in acidi grassi saturi (palmitico) che lo rende assimilabile ad un grasso animale. Le implicazioni ambientali relative alla sua coltivazione hanno portato alla sostituzione di questo ingrediente con le alternative in commercio».
Nel testo non viene riportata la composizione dettagliata dell’olio di palma, come per gli altri oli, ma si fa solamente menzione al contenuto di grassi saturi. È bene però sottolineare che nell’olio di palma la percentuale di acidi grassi saturi si aggira intorno al 50% (con una netta prevalenza di acido palmitico), il restante 50% è rappresentato da acidi grassi insaturi (con prevalenza di acido oleico, monoinsaturo). Come per tutti gli altri oli citati, sarebbe quindi corretto menzionare le percentuali precise della composizione di questo olio, al fine di fornire un’informazione più chiara e completa.
Infine, con riferimento gli impatti ambientali legati alla coltivazione della palma da olio, sarebbe più corretto anche richiamare il fatto che negli ultimi anni sono stati fatti moltissimi progressi nello sviluppo della filiera dell’olio di palma sostenibile, che per diversi motivi rappresenta la migliore e unica vera alternativa all’olio di palma ed è una risorsa chiave per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) e che attualmente oltre il 95% dell’olio di palma utilizzato dall’industria alimentare proviene da filiere sostenibili certificate da enti terzi secondo il più autorevole standard internazionale (RSPO).
Mauro Fontana Presidente Unione italiana olio di palma sostenibile |
REPLICA DELLA TECNOLOGA ALIMENTARE SERENA PIRONI
In risposta alla lettera inviata dal presidente dell’Unione italiana olio di palma sostenibile, premetto doverosamente che il mio studio di consulenza segue aziende di trasformazione alimentare ed organizzazioni del comparto Horeca, pertanto non siamo commerciali di nessuna azienda di olio e non parteggiamo per l’uno o per l’altro. Semmai ci troviamo a selezionare i fornitori presenti sul mercato affiancando i nostri clienti e a scegliere la matrice grassa da impiegare quando siamo coinvolti nello sviluppo di prodotti.
Olio di girasole
Il nostro articolo voleva essere una panoramica delle matrici alternative all’olio di girasole alto oleico, per cui si è sviluppata una vera e propria crisi a causa della guerra in Ucraina, anche se siamo consapevoli che la vera crisi dovrà ancora arrivare. Perché l’olio che stiamo usando in questo momento in realtà è stato prodotto nella scorsa stagione colturale. Il dubbio sulla mancata semina per l’anno che verrà preoccupa. Però la speculazione, causata solo in parte dall’aumento del costo dei trasporti, ha colpito non solo l’olio di girasole, ma tutti gli oli, anche il palma stesso che ha più che raddoppiato il prezzo rispetto allo scorso anno. Lo stesso ministero dello Sviluppo economico a marzo 2022 ha emanato una circolare su come etichettare temporaneamente gli alimenti in merito ai sostitutivi dell’olio di girasole impiegati.
Non abbiamo dunque creato nessun allarmismo e onestamente l’attenzione non era rivolta all’olio di palma. Anzi, forse è stato uno dei pochi articoli negli ultimi anni che non ha screditato questo alimento. Non trovando olio di girasole, le aziende stanno cercando sostitutivi dove possibile, ritornando anche al palma, anche se è notizia recente che il presidente indonesiano il mese scorso ha annunciato il divieto di esportazione dell’olio di palma prodotto nel Paese del Sud-est asiatico, sia grezzo che raffinato, per assicurarne alla sua popolazione.
Tutti gli oli differiscono nella loro composizione chimica, la quale influenza sia il loro profilo nutrizionale che la loro idoneità tecnologica nei processi di trasformazione quando usati come ingredienti. Va da sé che qualsiasi olio non è un pasto indipendente, ma un ingrediente.
Olio di palma: dall’impiego su larga scala ai problemi ambientali
Considerando le osservazioni pervenute, analizziamo la storia dell’olio di palma e perché è stato ampiamente sostituito dall’olio di girasole alto oleico, con il punto di vista di un operatore tecnico e di un possibile acquirente di oli. L’olio di palma anni fa fu impiegato massicciamente per sostituire, soprattutto nei prodotti da forno, gli acidi grassi trans, prodotti dall’idrogenazione degli acidi grassi insaturi vegetali accusati di far innalzare il “colesterolo cattivo” nel sangue. Trovò largo impiego grazie le sue proprietà organolettiche e tecnologiche: essendo costituito da una buona parte di saturi, risulta più stabile quando usato in alimenti trattati termicamente, si ossida meno, è maggiormente palatabile, come tutti i grassi con prevalenza di acidi grassi saturi, ed è più neutro da un punto di vista sensoriale.
Poi però sono nate due questioni sul suo diffuso impiego: da un lato un problema ambientale (deforestazione in quanto coltura molto efficiente) e dall’altro alcuni sospetti in merito alla sua sicurezza alimentare. L’olio di palma grezzo si ottiene dalla spremitura del frutto della palma (il dattero) ed è di aspetto semisolido ed arancione, in quanto ricco di betacarotene. Ma non si usa in questa forma nella maggioranza delle industrie alimentari: al fine di ottenere un prodotto più chiaro e fluido viene impiegato quello raffinato.
Dalla frantumazione del nocciolo del frutto si ottiene il palmisto, anch’esso molto utilizzato. È per questo che nel linguaggio comune viene inserito negli oli da seme, tant’è che gli stessi fornitori di olio palma scrivono “da seme” nelle loro schede tecniche, in quanto viene commercializzato nel circuito b2b quello frazionato o bifrazionato (sottoposto a frazionamento e raffinazione).
Per il Crea si tratta di oli tropicali, categoria all’interno della quale è menzionato anche il cocco. Nonostante sia di origine africana, oggi Indonesia e Malesia detengono la maggioranza della fornitura globale. Dal 2004 è stata costruita una tavola rotonda in merito all’ottenimento di olio di palma sostenibile, al fine di preservare l’aspetto ambientale ed una certificazione Rspo per le aziende che producono, commercializzano e impiegano olio di palma sostenibile. Ma la questione sulla sostenibilità non era oggetto dell’articolo da noi redatto.
Il processo di raffinazione e la formazione di sostanze potenzialmente dannose
Ogni sostanza grassa ha un suo profilo chimico e, quando sottoposto a trattamenti termici, è più o meno suscettibile all’ossidazione e alla formazione di sostanze secondarie potenzialmente dannose. Si parla di potenzialità, ovviamente, perché dipende dalla reale esposizione di ogni individuo. Tutti gli oli raffinati, soprattutto il palma bifrazionato citato, mostrano presenza di composti secondari a causa del processo di raffinazione, che avviene ad alte temperature. E poi questi oli vengono nuovamente usati dai clienti finali per altri trattamenti termici come fritture e cotture. Tra le sostanze è presente il 3-MCPD (3 monocloropropandiolo), citato anche nel nostro articolo precedente, molecola con sospetto effetto su reni e fertilità.
L’Efsa (Autorità europea sulla sicurezza alimentare) nell’ultimo aggiornamento del 2018 ha alzato il livello di rischio e cita che «i livelli di consumo di 3-MCPD tramite gli alimenti sono considerati privi di rischi per la maggior parte dei consumatori, ma esiste un potenziale problema di salute per i forti consumatori delle fasce di età più giovane. Nella peggiore delle ipotesi, i neonati nutriti esclusivamente con latte artificiale potrebbero lievemente superare il livello di sicurezza».
Il regolamento europeo 1881/06, aggiornato dal Reg. UE 2020/1322, riporta i valori legali da rispettare di 3-MCPD: 1.250 microgrammi/kg per «oli e grassi di cocco, mais, colza, girasole, soia, palmisti e oli di oliva (composti da oli di oliva raffinati e oli di oliva vergini) e miscele di oli e grassi con oli e grassi appartenenti solo a tale categoria».
Resta invariato il giudizio sui glicidil esteri, ritenuti genotossici e cancerogeni: l’Efsa cita che «i più elevati livelli di GE, come pure di 3-MCPD e 2-MCPD (compresi gli esteri) sono stati riscontrati in oli di palma e grassi di palma, seguiti da altri oli e grassi. Per i consumatori a partire dai tre anni di età, margarine e “dolci e torte” sono risultati essere le principali fonti di esposizione a tutte le sostanze».
Stiamo parlando di oli sottoposti al processo di raffinazione, che però sono i più impiegati come ingredienti per il loro costo, la loro reperibilità e la loro idoneità tecnologica.
Da un punto di vista tecnico, tra gli altri oli vegetali idonei per prodotti alimentari sottoposti a trattamento termico o di pastorizzazione (si pensi al mondo conserviero) la componente acidica fondamentale per ottenere stabilità è la presenza di acido oleico monoinsaturo. Quest’ultimo si colloca perfettamente a livello di stabilità tra un acido grasso saturo ed un polinsaturo.
Olio di oliva
La sostituzione dell’olio di palma
Gli oli con un buon tenore di oleico, dunque, sono stati la pronta sostituzione al palma quasi dieci anni fa: olio di oliva, olio extravergine di oliva, olio di girasole alto oleico. L’arachide, essendo un allergene, è quello che è stato meno impiegato nonostante sia tra i più stabili in cottura. L’olio di colza, invece, sta riscuotendo ora successo proprio in sostituzione del girasole alto oleico. Da un punto di vista strettamente nutrizionale, il Crea ricorda che gli acidi grassi saturi tendono ad innalzare il livello di colesterolo nel sangue, soprattutto per gli acidi miristico, laurico e palmitico. L’olio di oliva contiene il 15% di saturi, contro il 50% del palma e l’87% del cocco (fonte: Crea). Gli acidi grassi insaturi sono neutri nei confronti della colesterolemia. Vero è che anche il palma contiene discrete quantità di oleico.
Tabella comparativa dei vari oli vegetali utilizzati in campo alimentare (fonte: Crea)
La Nutrition Foundation of Italy (Nfi) in un documento sull’olio di palma del 2016 riporta che l’apporto calorico giornaliero generale derivante dei grassi si attesta sul 20-35% più alto nei bambini, ma in tutte le età la quota dei saturi deve essere del 10%. Il problema non è il palma in sé, ma quanti prodotti consumati contengono il palma ed altri grassi saturi. Nelle conclusioni si evince come il palma non sia una priorità sanitaria nel nostro Paese.
Per quel che concerne l’olio di oliva, citato nella lettera del presidente, occorre fare una precisazione: l’olio di oliva non è olio extravergine, come si evince nella tabella del Crea e come si può notare dalla tabella di Nfi riportata nello studio sopra citato.
Tabella dei principali acidi grassi in oli e grassi vegetali di comune impiego (fonte: Nfi)
Nella ristorazione, così come nell’industria, c’è la corsa alla reperibilità degli oli a costi accessibili. Ma è corretto che gli imprenditori e i tecnici conoscano le differenze tecnologiche tra di essi, al fine di garantire le specifiche tecniche e organolettiche dei prodotti ai consumatori.
Serena Pironi
Tecnologo alimentare e ceo PI.GA. Service sas