È fuori discussione che la carenza di personale sia un problema grave e ancora attuale, soprattutto nel settore turistico-alberghiero, ma non solo. Purtroppo non vi è una sola causa che ha determinato questa situazione di empasse ma si tratta di una molteplicità di fattori che si sono concentrati in questo periodo storico. La pandemia, che per comodità additiamo come causa di tutti i mali di quest’anno di ripresa e ripartenza, ha certamente risvegliato nei lavoratori un maggior desiderio di equilibrio tra vita privata e impegni professionali.
Il nostro è il lavoro più bello, ma va riconosciuta la professionalità
Ricordo quando iniziai questa professione oltre trent’anni fa: chi ti insegnava il mestiere parlava di missione più che di professione. Anche se oggi può sembrare normale per altri impieghi, nel turismo da sempre sono richieste competenze particolari come la conoscenza di sistemi informativi specifici, parlare almeno due lingue straniere, essere predisposti ai rapporti sociali con grande capacità di ascolto e di pazienza, il problem solving, il costante sorriso, lo standing... Tutte queste competenze sono richieste alla stessa persona da cui poi ci si aspetta, inoltre, che non guardi l’orologio, che lavori la mattina presto, la sera tardi, di notte, a Pasqua, Natale e Capodanno, ecc. Se quando stai per uscire un ospite comincia a parlarti o a chiederti informazioni e spiegazioni non puoi di certo rispondere “mi spiace ho finito il turno”, come avviene, per esempio, in alcuni uffici pubblici dove ti cacciano via anche dopo che sei stato in coda per più di un’ora, solo perché loro hanno finito di lavorare. Nel turismo quando c’è l’ospite non si smette mai di lavorare. Ma perché nessuno esprime mai il lato positivo di questo lavoro?
Chi opera nel turismo sa che è una professione che ti offre tantissime opportunità proprio (ma non solo) per la presenza degli ospiti, che sono la fonte di maggiore soddisfazione. Conoscere nuove persone, esaudire i loro desideri, soddisfare le loro esigenze, risolvere i loro problemi, essere al loro servizio, gioire per la loro serenità: queste sono le grandi soddisfazioni della nostra professione. Vivere a contatto con colleghi provenienti da ogni dove (sì perché in un albergo non c’è un semplice rapporto tra colleghi, ma c’è una vera e propria condivisione di vita sia durante le ore lavorative che durante i momenti di riposo) da cui apprendere diverse abitudini, culture ed esperienze. Ritrovarsi tutti insieme, senza reparti e senza ruoli, quando sorge un problema grave e urgente, perché bisogna risolverlo per forza affinché l’ospite non ne tragga disagio (l’albergo non si ferma mai e tutto deve essere sempre funzionante e operativo al meglio). Trasferirsi da un albergo a un altro di una stessa catena. Sentirsi dire dagli ospiti: “grazie, ho davvero apprezzato il suo impegno e sono molto riconoscente”.
Queste sono soddisfazioni che non hanno prezzo, non hanno orari, non hanno ferie... Certo una volta c’erano anche le mance in danaro che, in aggiunta allo stipendio, completavano questa soddisfazione, ma se solo oggi venisse almeno riconosciuta maggiormente l’alta professionalità richiesta ai lavoratori del turismo, questo sarebbe il più bel lavoro del mondo, pur con tutti i sacrifici, e sfido chiunque a dire il contrario!