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Effetti fiscali della Brexit: guida pratica su Iva, imposte dirette e lavoro

Analisi dei principali effetti in ambito fiscale (Iva e imposte dirette) e lavorativo dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, alla luce dell'Accordo commerciale EU-UK.

di Luca Ronzoni
 
21 gennaio 2021 | 16:06

Effetti fiscali della Brexit: guida pratica su Iva, imposte dirette e lavoro

Analisi dei principali effetti in ambito fiscale (Iva e imposte dirette) e lavorativo dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, alla luce dell'Accordo commerciale EU-UK.

di Luca Ronzoni
21 gennaio 2021 | 16:06
 

Il Regno Unito ha esercitato il proprio diritto di recesso dall’Unione europea (la cosiddetta “Brexit”) con effetto dalle ore 23:00 inglesi del 31 gennaio 2020, corrispondenti alle ore 00:00 del 1° febbraio 2020 nell’ora dell’Europa Centrale. Da tale momento, il Regno Unito ha assunto ai fini fiscali lo status di Stato extracomunitario, anche se è stato previsto un periodo transitorio che ha avuto termine il 31 dicembre 2020. In data 29 gennaio 2020, il Parlamento europeo ha infatti ratificato il testo dell’Accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea, caratterizzato:

  •  dalla previsione di un periodo transitorio dall’1.2.2020 al 31.12.2020, durante il quale sono rimaste vigenti nei confronti del Regno Unito le disposizioni dell’Unione europea, come se il predetto Stato fosse ancora uno Stato membro;
  • dall’uscita effettiva del Regno Unito dal territorio doganale e fiscale dell’Unione europea, a decorrere dall’1.1.2021.

Dal 1° febbraio 2020, il Regno Unito ha inoltre cessato di prendere parte ai lavori delle istituzioni europee (es. Parlamento europeo). Il 24 dicembre 2020 l’Unione europea e il Regno Unito hanno poi stipulato un Accordo commerciale e di cooperazione (EU-UK Trade and Cooperation Agreement), che regola molte materie aventi ad oggetto gli scambi di beni, gli investimenti, la prestazione di servizi e la mobilità delle persone, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 31 dicembre 2020.

Effetti fiscali della Brexit Guida su Iva, imposte e lavoro

Di seguito si analizzano i principali effetti in ambito fiscale (Iva e imposte dirette) e lavorativo dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, alla luce del suddetto Accordo del 24 dicembre.

1 IVA

Nei rapporti con il Regno Unito, il diritto dell’Unione europea si è reso applicabile, a norma dell’art. 127 dell’Accordo di recesso, solo fino al termine del periodo transitorio (31.12.2020), anche ai fini dell’IVA. A decorrere dall’1.1.2021, il diritto dell’Unione europea ha cessato di avere applicazione nei rapporti con il Regno Unito, ivi inclusa la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.

Le disposizioni nazionali in materia di IVA, nonché la predetta direttiva, stabiliscono regimi IVA dif­ferenti per le operazioni transfrontaliere aventi ad oggetto beni, a seconda che queste avvengano all’interno dell’Unione europea ovvero oltrepassando i confini dell’Unione europea.

Il fatto che il Regno Unito sia divenuto, a tutti gli effetti, un “Paese terzo” comporta, tra l’altro, che abbiano assunto nuovamente rilevanza le barriere doganali nei rapporti con tale Paese.

Analoghe considerazioni possono farsi per le prestazioni di servizi, in particolare per quelle che, in base alle regole che determinano il luogo di effettuazione dell’operazione, sono territorialmente rilevanti ai fini IVA nel Regno Unito, poiché non potranno più applicarsi le regole comunitarie.

 

1.1 Cessioni di beni

In considerazione del fatto che, dall’1.1.2021, sono tornate ad assumere rilevanza le barriere doganali tra Italia e Regno Unito, non essendo più quest’ultimo parte del territorio dell’Unione europea, è mutato il trattamento IVA delle cessioni di beni tra i menzionati Paesi.

È necessario distinguere a seconda che le operazioni coinvolgano esclusivamente soggetti passivi d’imposta o anche “privati”, come riassunte nella tabella che segue.

 

1.2 Movimentazioni di beni

La presenza delle barriere doganali tra Italia e Regno Unito incide anche sul regime IVA e doganale applicabile alle movimentazioni di beni tra i due Stati che non comportano il trasferimento della proprietà, vale a dire:

  • il trasferimento di beni propri per finalità rientranti nell’esercizio d’impresa;
  • il trasferimento di beni propri per operazioni di perfezionamento;
  • il trasferimento di beni da installare e cedere.

Non è più possibile applicare le norme previste per i trasferimenti intracomunitari di beni e dovrà farsi riferimento alle norme IVA previste per le cessioni all’esportazione, ove applicabili, oltre che alle disposizioni doganali in materia di esportazione di beni.

1.3 Prestazioni di servizi “generiche”

Pur essendo il Regno Unito divenuto un Paese terzo, ai fini IVA, dall’1.1.2021, restano fermi i criteri di territorialità dell’imposta per le prestazioni di servizi “generiche”, sia nel caso in cui siano rese a soggetti passivi d’imposta sia nel caso in cui siano rese a “privati”:

  • le prestazioni di servizi “generiche” rese a committenti soggetti passivi d’imposta sono territorialmente rilevanti in Italia se è ivi stabilito il committente stesso (art. 7-ter co. 1 lett. a) del DPR 633/72);
  • le prestazioni di servizi “generiche” rese a committenti non soggetti passivi d’imposta sono territorialmente rilevanti in Italia se è ivi stabilito il prestatore (art. 7-ter co. 1 lett. b) del DPR 633/72).


1.4 Prestazioni di servizi “non generiche” B2B

Nella seguente tabella sono evidenziate le prestazioni di servizi “non generiche” B2B e le eventuali modifiche a seguito della conclusione del periodo transitorio dell’Accordo di recesso.

 

1.5 Prestazioni di servizi “non generiche” B2C

Nella seguente tabella sono evidenziate le prestazioni di servizi “non generiche” B2C e le eventuali modifiche a seguito della conclusione del periodo transitorio dell’Accordo di recesso.

 

1.6 Aspetti documentali e comunicativi

Gli effetti si producono anche in relazione agli obblighi identificativi, documentali e comunicativi:

  • non è più necessaria l’iscrizione al VIES per le operazioni con controparte inglese, mentre per espletare le formalità doganali è necessario acquisire il codice EORI;
  • per le prestazioni di servizi “generiche”, la prova dello status di soggetto passivo IVA del com­mittente inglese dovrà essere fornita con mezzi diversi dalla verifica nel database VIES;
  • la prova dell’invio dei beni nel Regno Unito, per l’applicazione del regime di non imponibilità, è data dalla documentazione doganale;
  • le cessioni di beni e le prestazioni di servizi B2B non dovranno più essere riportate negli elenchi riepilogativi INTRASTAT;
  • mutano alcune codifiche utilizzate nella presentazione del c.d. “esterometro”.

 

1.7 Procedura di registrazione in Italia

I soggetti passivi stabiliti nel Regno Unito possono operare in Italia e ottenere il rimborso dell’IVA assolta nell’esercizio dell’attività economica mediante la nomina di un rappresentante fiscale ai sensi dell’art. 17 co. 3 del DPR 633/72.

Essendo stato sottoscritto il 24.12.2020 un “Accordo di principio” tra Regno Unito e Unione europea, e in assenza di un c.d. “periodo di grazia”, prudenza vuole che ci si attenga, per quanto concerne obblighi e diritti ai fini IVA, alle norme previste per gli scambi con Paesi terzi. Ciò vale anche se l’Accordo raggiunto, essendo volto a stabilire il quadro per la cooperazione amministrativa tra le parti, potrebbe già contenere gli elementi necessari a garantire il perdurare dell’applicabilità, ad esempio, dell’istituto dell’identificazione diretta per i soggetti passivi non residenti, di cui all’art.
35-ter del DPR 633/72.

Il medesimo approccio prudenziale, sul punto, è stato tenuto dall’Agenzia delle Entrate nella FAQ pubblicata il 31.12.2020, riservandosi di fornire chiarimenti in merito alla possibilità di avvalersi dell’istituto dell’identificazione diretta ai fini IVA quando sarà completata “la collazione e l’analisi degli elementi di dettaglio degli accordi da ultimo raggiunti” tra l’Unione europea e il Regno Unito.


Effetti fiscali della Brexit Guida su Iva, imposte e lavoro

1.8 Operazioni transfrontaliere incompiute al 31.12.2020

L’Accordo di recesso prevede alcune norme volte a regolare le operazioni transfrontaliere che, per motivi fattuali restano incompiute al termine del periodo transitorio, quali, ad esempio, le operazioni che hanno ad oggetto beni spediti nel 2020 i quali giungono a destinazione nel 2021.

Per le cessioni di beni, l’art. 51, § 1 dell’Accordo di recesso fissa un principio generale in base al quale mantengono la natura di operazioni intra-UE le operazioni aventi ad oggetto beni la cui spedizione o trasporto:

  • ha inizio in vigenza del periodo transitorio;
  • ha fine quando il periodo transitorio è terminato.

Pertanto, le stesse si qualificheranno comunque come:

  • cessioni intra-UE e non come cessioni all’esportazione, nel Paese da cui partono;
  • acquisti intra-UE e non come importazioni, nel Paese nel quale arrivano.

Conseguentemente le operazioni rilevano ai fini della compilazione, nel 2021, degli elenchi riepilogativi INTRASTAT.

Tuttavia, sarà comunque richiesto l’appuramento presso la Dogana dello Stato di destinazione dei beni, al fine di dimostrare la natura dell’operazione mediante documentazione che attesti l’inizio del trasporto o della spedizione nel 2020.

Inoltre, l’art. 51, § 3 dell’Accordo di recesso fa salva la possibilità di presentare l’istanza di rimborso di cui alla direttiva 2008/9/CE, sussistendone le condizioni, mediante portale elettronico entro il 31.3.2021, in favore:

  • dei soggetti passivi IVA stabiliti in uno Stato membro della UE che hanno effettuato acquisti nel Regno Unito nel corso del 2020;
  • dei soggetti passivi IVA stabiliti nel Regno Unito che hanno effettuato acquisti in uno Stato membro della UE nel corso del 2020.

Le previsioni della citata direttiva continueranno ad applicarsi per 5 anni dopo il termine del periodo transitorio sia alle istanze presentate nel 2021 in relazione al 2020, sia alle istanze di rimborso già presentate al termine del 2020.

 

1.9 Rapporti con l’Irlanda del Nord

L’Accordo di recesso garantisce una sorta di continuità territoriale unionale all’Irlanda del Nord, in considerazione della quale tale territorio:

  • resta soggetto alla normativa UE per le cessioni di beni;
  • è considerato Paese terzo per le prestazioni di servizi.

Per quanto riguarda l’identificazione dei soggetti passivi nell’Irlanda del Nord, è stata emanata la direttiva UE 20.11.2020 n. 1756.

La direttiva prevede che i soggetti passivi che effettuano nell’Irlanda del Nord cessioni di beni (com­prese le cosiddette cessioni intracomunitarie) o acquisti intracomunitari di beni (anche da parte di enti non soggetti passivi) siano identificati, in conformità alla normativa IVA, con il codice “XI”, diverso da quello del Regno Unito (che inizia con “GB”).

La direttiva IVA stabilisce, infatti, che di norma i prefissi dei numeri di identificazione IVA nell’Unio­ne europea siano basati sul codice ISO 3166 – alfa 2 – con il quale può essere identificato lo Stato membro da cui è stato attribuito, ma per i territori che non hanno un codice specifico nell’ambito di tale sistema è prevista la possibilità di usare codici “X”.

 

2 Imposte sui redditi

Nei rapporti con il Regno Unito, il diritto dell’Unione europea continua ad applicarsi, a norma dell’art. 127 dell’Accordo di recesso, solo fino al termine del periodo transitorio anche ai fini delle im­poste sui redditi (le quali, a differenza dell’IVA, non sono armonizzate). Una eccezione è pre­vi­sta nell’art. 100, § 1 dell’Accordo, che fa salva l’applicazione della direttiva 2010/24/UE sulla ri­scos­sione dei crediti tributari per ulteriori 5 anni dopo la fine del periodo di transizione.

Occorre distinguere tre casistiche diverse:

  • norme interne che attuano direttive comunitarie e che menzionano i rapporti con Stati membri dell’Unione europea → cessano di trovare applicazione;
  • norme interne resesi necessarie per tutelare le libertà fondamentali (in particolar modo stabilimento e circolazione dei capitali) e che menzionano i rapporti con Stati membri dell’Unione europea → cessano di trovare applicazione;
  • norme interne che regolano i rapporti con Stati “white list” (o che consentono un adeguato scambio di informazioni) → continuano ad esplicare efficacia, facendo il Regno Unito parte della suddetta lista.

 

2.1 Norme di recepimento delle direttive

Le principali direttive in materia di imposizione sui redditi che vengono meno per effetto del recesso del Regno Unito dall’Unione europea sono riassunte nella tabella che segue.

 

2.2 Scambio automatico di informazioni

Restano in vigore, nei rapporti con il Regno Unito, le procedure di scambio automatico:

  • dei dati dei conti finanziari (conti correnti e di deposito, conti titoli, azioni, obbligazioni, ecc.) dei non residenti;
  • dei country by country report.

Questi dati continueranno ad essere forniti dal Regno Unito all’Italia (e dall’Italia al Regno Unito) in virtù dell’adesione del Regno Unito alla Convenzione OCSE per la mutua assistenza ai fini fiscali (accordo sovranazionale a livello mondiale).

Potrebbero, inoltre, rimanere in vita anche le procedure di scambio automatico dei ruling internazionali e degli accordi sui prezzi di trasferimento (regolate in Italia dal DLgs. 32/2017) e dei dati del­le operazioni internazionali “aggressive” (regolate in Italia dal DLgs. 100/2020), se le parti daranno attuazione a quanto previsto nella Parte II, Titolo XI, Cap. V, art. 5.2 dell’Accordo commerciale e di cooperazione del 24.12.2020, secondo cui il Regno Unito e l’Unione europea si impegnano, anche dopo il 31.12.2020, a mantenere inalterati gli standard fissati dall’OCSE su queste materie.

 

2.3 Norme a tutela del rispetto delle libertà fondamentali

A seguito del recesso del Regno Unito dall’Unione europea vengono meno numerose disposizioni che regolano i rapporti con Stati dell’Unione europea.

Occorrerà, tuttavia, chiarire se specifiche disposizioni, tra quelle che seguono, possano rimanere in vita per effetto di interpretazioni estensive delle clausole dell’Accordo commerciale e di cooperazio­ne del 24.12.2020 che stabiliscono la non discriminazione per gli investimenti effettuati da ciascuna delle parti.

 

2.3.1 Oneri deducibili e detraibili

Per effetto del recesso del Regno Unito dall’Unione europea vengono meno, in capo alle persone fisiche residenti in Italia:

  • la deducibilità dal reddito complessivo dei contributi a fondi pensione istituiti nel Regno Unito (art. 10 co. 1 lett. e-bis) del TUIR);
  • la detrazione d’imposta per i canoni di locazionedegli studenti di Università con sede nel Regno Unito (art. 15 co. 1 lett. i-sexies) del TUIR).

 

2.3.2 Dividendi e plusvalenze

Nei rapporti con il Regno Unito viene meno la disposizione dell’art. 47-bis del TUIR, che per presunzione assoluta non considera mai privilegiati, ai fini della tassazione dei dividendi e delle plusvalenze, i regimi accordati da Stati dell’Unione europea.

 

2.3.3 Consolidato fiscale

Per effetto del recesso del Regno Unito dall’Unione europea vengono meno:

  • la possibilità di optare per il consolidato fiscale tra società “sorelle”, se la controllante è residente nel Regno Unito (art. 117 co. 2-bis del TUIR);
  • la possibilità di consolidare le stabili organizzazioniitaliane di società con sede nel Regno Unito (art. 120 co. 1-bis del TUIR).

 

2.3.4 Trasferimento della sede all’estero

Per effetto del recesso del Regno Unito non è più possibile optare per la rateizzazione dell’im­posta “in uscita” (exit tax), di cui all’art. 166 co. 9 del TUIR, se il trasferimento della sede dell’im­presa avviene verso il Regno Unito.

Analoga preclusione è prevista per le operazioni assimilate al trasferimento “diretto” (es. incorporazione, da parte di società con sede nel Regno Unito, di società italiane).

 

2.3.5 Redditi di natura finanziaria

Le principali disposizioni in materia finanziaria che vengono meno per effetto del recesso del Regno Unito dall’Unione europea sono riassunte nella tabella che segue.

 

2.3.6 Altre novità

Per effetto del recesso del Regno Unito dall’Unione europea vengono meno, ad esempio:

  • la possibilità di accedere al regime forfetario per i soggetti residenti nel Regno Unito che producono in Italia almeno il 75% del proprio reddito complessivo (art. 1 co. 57 lett. b) della L. 190/2014);
  • la possibilità, per i residenti italiani titolari di immobili nel Regno Unito, di assolvere l’IVIE sul valore catastale (art. 19 co. 15 del DL 201/2011);
  • l’esenzione dall’imposta italiana sulle successioni dei titoli di Stato emessi dal Regno Unito (art. 12 co. 1 lett. h) e i) del DLgs. 346/90).

 

2.4 Norme che fanno riferimento ai rapporti con Stati “White list

Come già rilevato, continuano ad esplicare efficacia nei rapporti con il Regno Unito le norme fiscali che fanno riferimento ai rapporti con Stati appartenenti alla white list, o che garantiscono un adeguato scambio di informazioni.

Tra queste si menzionano, a titolo esemplificativo:

  • le diverse disposizioni che accordano ai residenti di Stati appartenenti alla white list (Regno Unito, quindi, compreso) l’esenzione dalle imposte italiane sulle plusvalenze su partecipazioni qualificate, sugli interessi delle obbligazioni dei “grandi emittenti”, sui proventi degli OICR ita­liani, ecc.;
  • le disposizioni che consentono ai residenti italiani di evitare l’adozione nel quadro RW dell’ap­proccio “look through”,se le partecipazioni rilevanti detenute sono localizzate nel Regno Unito;
  • la possibilità di optare per l’imposizione sostitutiva del 7% per i residenti nel Regno Unito ti­to­lari di pensioni estere che trasferiscono la residenza in Italia;
  • la possibilità, per le imprese, di dedurre le perdite su creditiverso clienti residenti nel Regno Unito assoggettati a procedure concorsuali equivalenti a quelle previste dal diritto italiano.

 

3 Principali effetti in materia di sicurezza sociale e distacco dei lavoratori

Per quanto concerne la legislazione applicabile in materia di sicurezza sociale nello scenario post Brexit, occorre prendere in considerazione il Protocollo sul coordinamento della sicurezza sociale contenuto nell’Accordo commerciale e di cooperazione stipulato il 24.12.2020.

Si tratta, in estrema sintesi, di un Accordo multilaterale tra il Regno Unito e l’Unione europea, che trova applicazione nei confronti:

  • di tutti gli Stati membri, ma non di Gibilterra e dei territori d’oltremare;
  • delle persone, compresi gli apolidi e i rifugiati, che sono o sono state soggette alla legislazione di uno o più Stati cui trova applicazione lo stesso Protocollo, nonché ai loro familiari e superstiti.

 

3.1 Principi di coordinamento e legislazione applicabile

Nell’ambito del Protocollo in questione, trovano conferma i principi di:

  • non discriminazione tra gli Stati membri dell’Unione europea;
  • parità di trattamento;
  • assimilazione di prestazioni, redditi, fatti o avvenimenti;
  • totalizzazione dei periodi;
  • abolizione delle clausole di residenza (tale principio non trova applicazione con riferimento alle prestazioni in denaro relative alle prestazioni di invalidità e di disoccupazione);
  • divieto di cumulo delle prestazioni.

In merito alle regole di definizione della legislazione applicabile, si segnala che molti criteri sono stati mutuati dal regolamento (CE) 29.4.2004 n. 883, quali:

  • l’unicità della legislazione applicabile;
  • il principio di territorialità;
  • il regime applicabile ai pubblici dipendenti, a coloro che svolgono un’attività subordinata o autonoma normalmente a bordo di una nave, ovvero a coloro che non rientrano nelle ipotesi richiamate, per i quali assume rilevanza centrale lo Stato di residenza.

Diversamente dal citato regolamento, nell’ambito di applicazione materiale non rientrano le presta­zioni familiari, nonché le seguenti prestazioni previdenziali:

  • pensioni sociali ai cittadini senza risorse;
  • pensioni e indennità in favore di mutilati e invalidi civili;
  • pensioni e indennità ai sordomuti;
  • pensioni e indennità ai ciechi civili;
  • integrazione della pensione minima;
  • integrazione dell’assegno d’invalidità;
  • assegno sociale;
  • maggiorazione sociale.

 

3.2 Principali novità in materia di distacco ed esercizio di attività in più Stati

L’art. SSC.11 del Protocollo contiene le novità più interessanti in materia di distacco e individua soluzioni transitorie in attesa della comunicazione da parte del singolo Stato membro all’Unione euro­pea sul regime applicabile.

In particolare, si conferma quanto previsto dal regolamento (CE) 29.4.2004 n. 883, stabilendo la deroga al principio di territorialità per un periodo massimo di 24 mesi per il lavoratore autonomo e subordinato.

Inoltre, si prevede che gli Stati membri debbano comunicare all’Unione europea l’intenzione di derogare o meno alla disposizione sopra riportata. In assenza della comunicazione si mantiene il regime previsto dal regolamento 883/2004.

Restano inoltre confermati, all’art. SSC.12 del Protocollo, i criteri previsti dal regolamento (CE) 29.4.2004 n. 883 e applicabili a coloro che esercitino la propria attività contemporaneamente in due o più Stati membri, consentendo il versamento dei contributi in un solo Stato, nel rispetto del principio dell’unicità della legislazione applicabile.

Rispetto a quanto disposto in materia dal suddetto regolamento, è poi previsto che:

  • la persona che esercita abitualmente un’attività subordinata in due o più Stati membri (e non nel Regno Unito) è soggetta alla legislazione del Regno Unito se non esercita una parte consistente di tale attività nello Stato di residenza e se:
    – è alle dipendenze di una o più imprese o datori di lavoro, tutti aventi la propria sede legale o il proprio domicilio nel Regno Unito;
    – risiede in uno Stato membro ed è alle dipendenze di due o più imprese o datori di lavoro, tutti aventi la propria sede legale o il proprio domicilio nel Regno Unito e nello Stato membro di residenza;
    – risiede nel Regno Unito ed è alle dipendenze di due o più imprese o datori di lavoro, alme­no due dei quali hanno la propria sede legale o il proprio domicilio in Stati membri diversi;
    – risiede nel Regno Unito ed è alle dipendenze di una o più imprese o datori di lavoro, nessuno dei quali hanno la propria sede legale o il proprio domicilio in un altro Stato;
  • la persona che esercita abitualmente un’attività autonoma in due o più Stati membri (e non nel Regno Unito) senza esercitarne una parte consistente nello Stato di residenza è soggetta alla legislazione del Regno Unito se il centro di interessi della sua attività si trova nel Regno Unito. Tale disposizione non si applica alle persone che esercitano abitualmente un’attività subordinata e un’attività autonoma in due o più Stati membri.

Per ulteriori dettagi o approfondimenti ci si può rivolgere a:

Studio Perrucchini Ronzoni & Partners

Passaggio Canonici Lateranensi 1
24121 Bergamo
Tel 035 216100 - Fax 035 249927
luca.ronzoni@sinapsisrl.it

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