Il mercato dei falsi ha tentacoli ovunque, in tanti settori e ha pure acquirenti. Un gusto perverso per qualcosa che “somiglia a” e che piace pure di più, che sia un’opera d’arte, un francobollo oppure un piatto di Carbonara.
Sì, proprio la Carbonara che è sì una delle ricette tipiche più apprezzate e celebri della cucina italiana, ma è pure la più storpiata. Le falsificazioni, le “rivisitazioni”, le modifiche sono molteplici e si è perso il conto di quante siano, ma l’ultima in ordine di tempo è stata proposta nientepopodimeno che sul New York Times, praticamente il corrispettivo dei piatti di pasta nel giornalismo internazionale: un’icona.
La Carbonara
Sui social impazza la polemicaI puristi della ricetta, gli amanti della Carbonara, gli
italiani insomma si sono subito indignati e sui social è scoppiato il
putiferio. Perché tanta furia? Perché nel presentare il piatto il quotidiano ricorda che la specialità romana è "tradizionalmente fatta con parmigiano, uova, guanciale (maiale stagionato) e pepe nero", ma la versione consigliata utilizza la pancetta, poiché è ampiamente disponibile e "conferisce una bella nota affumicata" e del
tomato.
E ancora: sull'ingrediente dei
pomodori viene riconosciuto che “non sono tradizionali nella carbonara, ma danno un sapore brillante al piatto”. Per la preparazione della salsa cremosa è invece consigliato di farla quando le uova crude vengono condite con la pasta calda, lontano dal calore diretto per evitare uova
coagulate. È sottolineato che la procedura può essere complicata, ma il metodo usato è infallibile. In particolare viene consigliato di aggiungere un po' d'acqua calda di
cottura per la pasta nelle uova sbattute e di condire la miscela di uova temperate nella pasta mescolando energicamente per poi avere una salsa liscia e lucida. Orrore.
La reazione dei cuochi romaniStrabuzzano gli occhi, ma neanche più di tanto visto che ormai ci hanno fatto il callo, i
cuochi laziali - romani ancor di più - che conoscono bene l’argomento e hanno le idee chiare. Ce le ha in particolar modo
Mario Mozzetti del ristorante
Alfredo alla Scrofa, un’icona della ristorazione mondiale, la patria delle pastasciutte, tra cui le celeberrime
Fettuccine Alfredo.
Mario Mozzetti
«Quando si parla di Carbonara - spiega Mozzetti - bisogna partire dal presupposto che è il
piatto più storpiato al mondo per cui questa novità del New York Times non ci sorprende e con noi si sfonda una porta aperta nel criticarla. Purtroppo conferma quanto il made in Italy sia maltrattato all’estero e quanta poca protezione venga garantita ai prodotti italiani. Basterebbe
proteggerli con un marchio registrato che consenta solo a chi ha la certificazione di commercializzare quel prodotto. Il nostro più grande
problema è che solo una minima parte dei turisti esteri conoscono la vera Carbonara. Faccio l’esempio degli americani che quando vengono da noi si aspettano di trovare nel piatto la panna o i funghi; noi invece rispettiamo al 100% la tradizione con una ricetta che tuttavia viene interpretata come
povera, a basso costo e anche a bassa qualità. Tutt’altro, perché gli ingredienti che bisogna utilizzare sono di alto profilo e la tecnica di preparazione prevede conoscenza ed esperienza».
Un
problema che non è solo della Carbonara: «Stiamo per lanciare la pasta Alfredo in purezza - spiega Mozzetti - ricalcando fedelmente la
ricetta originaria ma anche su questa dovremo affrontare le stesse difficoltà. Noi però continuiamo sperando, un giorno, che i nostri piatti vengano riconosciuti per la loro
autenticità».
La prende con più filosofia, ma senza scostarsi molto dal focus di Mozzetti,
Maurizio Serva del ristorante La Trota di Rivodutri (Ri): «Credo che i piatti della
tradizione possano essere modificati in qualche particolare - spiega - ma sono certo che solo chi ha una piena conoscenza e padronanza della tradizione e degli ingredienti possa permettersi di farlo. Non si può prescindere dal considerare che molte ricette tipiche sono nate da alcuni errori, ma il risultato rispetta comunque tutti i
canoni della cucina».
Maurizio Serva
Qualche esperimento Serva se lo concede: «Mi piace
giocare con le ricette della tradizione - ammette - ma quello che ricerco tutte le volte è il sapore, nessun piatto alla fine può avere un
sapore centrale diverso da quello originario. Posso cambiare le consistenze, posso concentrare qualche gusto, ma alla fine deve spiccare il
gusto caratteristico. Fondo anche due ricette molto diverse tra loro: ultimamente ad esempio ho creato l’Amatriciana in bianco unendo la ricetta
dell’Amatriciana con la
Gricia».
Serva spiega poi perché aggiornare le ricette può essere concesso: «Quando certi
piatti sono stati inventati - osserva - non esistevano gli strumenti che ci sono oggi e non c’erano tutte le possibilità di cui disponiamo di questi tempi. Penso ad esempio agli
gnocchi che una volta si preparavano con le
patate lessate ma risultavano pesanti perché carichi di acqua; oggi invece si sa che passare prima le patate ricoperte di sale nel
forno ne riduce la “pesantezza”».
Ma può essere tutto un problema di
nomi? Forse sì, se il New York Times avesse chiamato quella ricetta in un altro modo non sarebbe scoppiato il caso. «Il nome conta - conclude Serva - anche io sto molto attento. Ho proposto un dolce che prende ispirazione dalla
Zuppa Inglese ad esempio, ma l’ho modificato correggendo quelli che secondo me erano dei piccoli errori e alla fine l’ho chiamato “Come dire Zuppa Inglese”. Insomma, basta poco…».