Oggi un tavolo tra Governo e Regioni per stabilire la riapertura dell'Horeca, tra le altre attività, già dal 18 maggio invece che dall'1 giugno. Una scelta importante, verso la quale sta spingendo anche Fipe - Federazione italiana pubblici esercizi con la sua petizione. Una direzione inevitabile, perché il settore della ristorazione naviga in un vero e proprio "mare di crisi". Non si parla solo di trattorie o ristoranti classici: anche l'alta cucina risente di questa situazione. Parola di Alessandro Borghese, che in un'intervista al Corriere della Sera accusa lo Stato che «con la sua assenza sta radendo al suolo la ristorazione italiana» tutta.
Alessandro Borghese
I problemi sollevati dallo chef, volto noto della tv italiana, sono principalmente due «Manca un sostegno economico al settore [...], ma anche
le regole per iniziare a progettare la ripartenza non ci sono». Alessandro Borghese fa i conti anche con la sua azienda, AB - Il lusso della semplicità, il catering, la consulenza, il pasticio... «Da quando è iniziato il lockdown ho perso quasi metà degli introiti». A venire meno le cene private, ma anche i matrimoni (settore che dalla crisi Covid-19 è stato colpito duramente) e tutte quelle prenotazioni legate agli eventi annullati o rimandati.
Queste mancanze, chiaramente, non riguardano solo Borghese, ma tutto il settore: la Fipe infatti parla di perdite fino a 34 miliardi di euro in un anno per il settore, con 350mila posti di lavoro a rischio. Inoltre, niente introiti ma comunque soldi "da sborsare" per il carismarico chef: «Sto anticipando l'assegno della cassa integrazione ai miei 64 collaboratori: non potevo permettere attendesso mesi prima dell'arrivo dei fondi a causa della burocrazia». Una burocrazia che evidentemente sta ancora ostacolando i pagamenti promessi dal Governo, tanto che è di pochi giorni fa la notizia dei sindacati che, rivolgendosi al premier Giuseppe Conte, hanno chiesto di accelerare i tempi perché la situazione si sta facendo insostenibile. Un'iniziativa, questa di Borghese, nei confronti dei suoi dipendenti, lodevole, comune a tanti altri imprenditori. «Ma così non si può resistere a lungo. Un altro mese. Se le cose non di smuovono dovrò decidere cosa fare con il personale, le spese d'affitto e le bollette».
Una situazione difficile. Alessandro ne parla agitato, lo riferisce lo stesso Corriere. Non tanto per sé: «Ho le spalle larghe, saprò affrontare qualsiasi scenario». La sua preoccupazione va verso quei colleghi che «vivono degli incassi di bistrot, trattorie e osterie, soprattutto in provincia... Sono molto preoccupato per loro». Una preoccupazione ancora più lecita se si pensa alla
difficoltà non tanto di riaprire, ma di sopravvivere nei prossimi mesi/anni. A Roma, ad esempio, un'attività su 5 rischierebbe di non riaprire secondo le stime della Cna della Capitale. Un esempio?
Il Ristorante La Capanna, il più "antico" al mondo.
Borghese dà allora un suggerimento: «Le istituzioni dovrebbero avviare un tavolo nazionale con i rappresentanti dei ristoratori, per ragionare su problemi e soluzioni». Il riferimento che ha in mente è quello della Regione Campania, che ha chiesto la consulenza, tra gli altri,
allo chef bistellato Gennaro Esposito. «Poi servirebbero
finanziamenti a fondo perduto - prosegue Borghese - anche perché ci vorrà tempo prima che i ristoranti tornino a riempirsi».
AB Il Lusso della Semplicità
Questi suggerimenti in realtà sono delle vere e proprie richieste d'aiuto. A dirlo è uno chef che, quando riaprirà, lo farà a Milano - probabilmente quindi il 1° giugno. Ancora più urgenti diventano quindi per quei ristoratori che la saracinesca potrebbero alzarla già dal 18 in altre regioni con meno contagi. «Mancano appena tre settimane e non ci sono le regole, anche solo per capire quanto costerà far ripartire le attività. Qualche esempio? Sanificare un locale da 300 metri quadrati costa tra i mille e i 3mila euro. Ogni quanto sarà necessario farlo?». E ancora, «come dovranno essere allestiti i locali?»: a questo proposito la voce dei 4 metri di distanza da un tavolo all'altro ha fatto rabbrividire le associazioni di categoria, preoccupate per le conseguenze drastiche sul fatturato dei locali con una norma del genere. Ne ha parlato anche lo stesso Borghese: «Se sarà di due metri il mio ristorante passerà da 95 coperti a 65. Ancora sostenibile. Se dovesse essere di più dovrà ripensare del tutto l'attività, in qualche maniera farò, ma tantissimi ristoratori non saranno nelle condizioni di riaprire».
Sull'ipotesi di dividere di un metro e 20 centimetri allo stesso tavolo due persone che cenano insieme, ma non sono conviventi, Borghese commenta «Una stupidaggine». «Qualcuno dovrà domandare - spiega - ai clienti se sono parenti e in caso contrario dividerli? Non scherziamo, chi verrà insieme sarà cosciente di quello che fa. Mi preoccupa invece che possa essere richiesto il distanziamento in cucina. Il fine dining ha piatti che richiedono anche 2 o 3 persone per la preparazione». Senza parlare poi di quei ristoranti (anche stellati) con una cucina minuscola, che non potrebbero adeguarsi.
Più tranquillo Alessandro Borghese per quanto riguarda le mascherine: «Mi sembra il problema minore». Ne risentirà un po' il contatto, l'attenzione che di solito il cameriere regala, ne risentirà magari un po' la spiegazione del piatto, «farà fatica a spiegarlo, dato che avrà la bocca coperta». Ma niente di cui preoccuparsi troppo, come per l'obbligatorietà dei guanti: «Potrebbe persino diventare un tocco di classe». Alessandro pensa ai grandi hotel negli anni '70.
E naturalmente, l'obbligo di prenotare il proprio tavolo «diventerà la normalità, così da evitare file all'ingresso». Alessandro Borghese si è già mosso su questo terreno: «Nel mio ristorante da un anno e mezzo viene chiesta la carta di credito per riservare un tavolo. La penalità per chi non si presenta senza avvisare è di 100 euro a commensale. Ho ricevuto tante critiche, ma è stata la scelta giusta e credo la introdurranno in molti».
Conclude commentando il delivery, tendenza sempre più affermata nella ristorazione di oggi. Secondo Borghese «non è il futuro». Lui non ci sta pensando: «Da un lato non avevamo attivato questo servizio per il ristorante prima del lockdown e non abbiamo voluto improvvisarci; dall'altro non credo convenga economicamente per la mia cucina, ai costi alti dei prodotti e del lavoro dovrei aggiungere un altro 35% per l'azienda che si occuperebbe del servizio di delivery». Anche il take away non è per lo chef la soluzione: «Il mio ristorante è al primo piano e il take away sarebbe complesso da gestire in sicurezza».