Siamo andati nella "capitale" dei Galli in Italia. Siamo a Senigallia, fondata tra il 389 e il 383 a.C. dalla tribù gallica (appunto, ndr) dei Seno, rinomata località marinara marchigiana, diventata negli ultimi tempi meta di pellegrinaggio di tanti buoni palati, gourmet addicted, food lovers o più semplicemente buongustai.
Moreno Cedroni
Uno dei motivi principali per cui, se passi da Ancona o nei paraggi, fai una deviazione è il socio Euro-Toques
Moreno Cedroni, e a dirlo non siamo mica noi italiani, che potremmo anche essere di parte. Lo dice la guida Rossa, la Bibbia della cucina, la Michelin. Lo dice a suon di stelline, due per la precisione (sulla terza ci stiamo lavorando!), cucite sul petto dello chef. Lo dice il suo essere un passo avanti, sempre. Senza farlo pesare, mai. Avanti, lo era nel 2000, quando aprì il “
Clandestino susci bar" - badate a come scrisse “susci” - o nel 2003 quando creò la prima salumeria di pesce in Italia, "Anikò" a Senigallia.
Ha gli occhi di uno al quale il tempo vuole un gran bene. Occhi vivi di chi sa che la vita deve prenderla a morsi, soprattutto se vuole evitare certe sportellate, che farebbero vacillare anche una quercia secolare. Parliamo di uno che prima si diploma alla scuola nautica di Ancona e poi appena ventenne apre il suo primo ristorante a Marzocca.
Scrive libri, di quelli fatti bene, ad Expo è stato uno dei nostri ambasciatori più rappresentativi e non stupitevi di trovarlo in versione alchimista nel suo laboratorio di ricerca, adiacente al ristorante, The Tunnel: un nome, un perché! Non entra la luce del sole in quel posto, sappiatelo, ma siate coraggiosi, varcate la soglia di quella porta. Ne vale la pena.
Dedica dolci alle api, e trae ispirazione per la sua piccola pasticceria dalla fiaba di Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie. Il suo è un pensiero creativo; José Carlos Capel, massimo critico gastronomico spagnolo e presidente di Madrid Fusión, lo ha definito un rivoluzionario. Non fatichiamo a comprendere la grandezza dell’uomo, ancor prima che del professionista.
La differenza oggi la fa il modo in cui ha saputo affrontare questi 36 anni di “attività”, anni in cui tutto è cambiato, ma proprio tutto, tranne la sua mano, il suo palato, la sua visione ma soprattutto quella luce negli occhi che una volta che ti si posa addosso non la spegni più.
Chi è Moreno Cedroni? Un ragazzo con una passione per la cucina diventata talento, tanto lavoro, tanto studio, tanti progetti, alcuni anche non riusciti bene. Apro la Madonnina nell’84, avevo vent’anni, poca esperienza ma tanta fame, con la ricchezza dei sapori della cucina della nonna e della mamma e di un orto dietro casa che mi aveva fatto nascere nel km 0 senza saperlo.
Madonnina del Pescatore
Quando le danno del visionario cosa pensa? Alcune cose le ho fatte anche troppo in anticipo. Più che altro ho realizzato tante idee senza pensare al punto di pareggio: ci credevo. Vedi Anikò la salumeria di pesce ora street food, un chiosco nato nel 2003 quando ancora non esisteva lo street food e il panino gourmet.
Visionario per aver cambiato modo di abbigliarsi in cucina, dal pantalone sale e pepe a grembiuli bianchi e algidi. Visionario per aver trasformato il sushi in susci, rendendolo oggetto di studio e arricchendolo di nuovi temi ogni anno, legati al crudo. Visionario per essermi invaghito dell’immortalità del cibo e aver iniziato a produrre conserve e marmellate.
Visionario per gli abbinamenti particolari: sicuramente cioccolato e
riccio di mare, la bufala di caprese o il bounty di seppia ti fanno credere di esserlo, allora sì, forse hanno ragione, un po' visionario lo sono.
Come avete fatto, parlo al plurale pensando al collega Mauro Uliassi, al manipolatore di dolci Brunelli, a trasformare Senigallia in quello che a tutti gli effetti oggi è diventato un Luna Park del gusto? Mi piace che si usi il termine Luna Park che avevo coniato qualche tempo fa per Senigallia! In effetti è proprio così, si mangia bene dappertutto, a tutte le fasce di prezzo, ed è diventata una meta imperdibile per tutti gli amanti dell’enogastronomia, anche perché i nostri vini negli ultimi anni sono cresciuti esponenzialmente.
Perché ha scritto una lettera al presidente della sua Regione?L’ho scritta prima delle elezioni, per lanciare dei sassolini nello stagno, anche se ho scritto cose note a tutti, però, strano ma vero, mai affrontate nel giusto modo dalla politica. Facile dire che le Marche sono state premiate dalla Lonely Planet, se dopo i mezzi che devono portare i turisti da noi non funzionano o per lo meno, non bene come le regioni con le quali confiniamo, che non vedono l’ora di assorbire i nostri turisti.
Era un cuoco, oggi è anche un imprenditore. Come fanno queste due anime, con interessi distanti, a convivere? Ero e sono un cuoco, il lato imprenditoriale c’è, solo affinché i conti siano positivi e ci siano marginalità per rinnovarsi, per fare ricerca, per fare un’accurata manutenzione del ristorante, che fa sembrare i locali sempre giovani.
Etica, sostenibilità: concetti così tanto di moda, oggi. Ha senso parlarne nell’alta ristorazione? Eccome! Di moda si, per fortuna, almeno possono entrare nella mente di tante persone. Credo che, solo rispettando il mondo che ci ospita e le persone che producono gli ingredienti che ci fanno preparare ottimi piatti, possiamo dire di dare un buon esempio ai futuri cuochi.
Cucina vs Sala. Perché tra le due anime di un ristorante, spesso, la pace è solo apparente? Pace apparente. Durante un servizio è come durante una partita di finale di coppa: ci possono esser incomprensioni, che poi devono finire subito e le stesse servire a crescere. Sia sala che cucina hanno come obbiettivo la soddisfazione del cliente.
Parliamo del momento storico. Come ha vissuto il lockdown a Senigallia? E la ripresa come sta andando? Il lockdown è stato un periodo di studio e parzialmente di lavoro nel laboratorio alimentare.
Ci siamo preparati per le riaperture come se non fosse successo nulla, con un po' di timore, lo ammetto, ma con molta determinazione volta a ricominciare e soprattutto riassumere tutte le persone alle quali era stato promesso il lavoro.
La stagione ci ha premiato, permettendoci di non chiudere con percentuali di perdita disastrose.
Delivery sì. Delivery no. Lei da che parte sta? Abbiamo fatto delivery con i piatti di Anikò dal 17 aprile al 17 maggio, interessante ma difficilmente ripetibile, perché i piatti che possono arrivare perfetti a casa, con il delivery non sono molti.
È cambiato l’approccio della gente all’alta ristorazione? Direi di no, ci facevamo tante seghe mentali, ma poi la gente è sempre quella che, una volta entrata nel ristorante, vuole esplorare il più possibile e divertirsi.
Cucina vs Instagram. Quando tardano a mangiare un suo piatto, servito alla temperatura perfetta, per fare l’ennesima foto, qual è il suo primo pensiero? No, aspetta, non lo ritengo una cosa negativa, con le luci giuste e i telefoni di nuova generazione le foto vengono belle subito, quindi secondo me questo aspetto non inficia più la qualità del piatto.
Accanto al suo ristorante, troviamo dallo scorso anno, The Tunnel. A fare gli onori di casa un chimico. Ma lei non faceva il cuoco? Cosa accade precisamente in quello che a tutti gli effetti si configura come un laboratorio di ricerca? Nel 2019 ho pensato che solo la ricerca poteva permetterci di crescere, e poteva portare il nostro pensiero creativo avanti, quindi il Tunnel è un insieme di attrezzature diverse da quelle che troveresti in una cucina, seppur professionale. In cucina con le attrezzature che hai fai un piatto nuovo ma non puoi fare ricerca.
Quanta tecnica c’è nella sua cucina? E quanta tradizione? Tanta tradizione, che solo unita alla contaminazione e alla tecnica può portare ad una cucina in continua crescita. In tale direzione sto orientando tutte le mie forze da qualche anno.
Quanta ricerca c’è dietro un suo piatto? Penso ad un dolce in carta questa estate: Ape Regina. Pazzesco.Veramente pazzesco. Tutto inizia da viaggi, contaminazioni appunto, poi progetti, prove, assaggi, sbagli, e poi finalmente vedi la luce. Il tempo è variabile, dalla settimana ai 20 giorni.
Un nome: Luca Abbadir, il suo sous chef. Racconta anche i piatti in sala. Quanto lavoro c’è dietro la vostra intesa? Quando ha scoperto di essere bravo, chef, anche ad insegnare l’arte? Con Luca c’è un rapporto di fiducia reciproca, tantissimo confronto, lui è un fuoriclasse. Saper insegnare non è scontato. A me piace, lo faccio con passione.
Le stelle Michelin… pesano più sull’uomo o sullo chef?Pesano se ogni giorno non dai il massimo, ma se ogni giorno tutti i ragazzi del team danno il loro meglio, diventa un’opportunità che ti sprona a fare sempre meglio.
La sua sala. In rosa. Tante donne. Alcune indimenticabili. Altre storiche. Allora è possibile che una donna lasci il segno in un ristorante? In sala.In primis Mariella, da sempre nella sua scala di valori ci sono i clienti; poi Mati, nostra figlia e poi io per ultimo… Scherzi a parte, la sua presenza è unica, e contamina le altre persone, donne o uomini che siano, e poi un grazie vorrei farlo, anche, alle persone storiche della sala della Madonnina, un riferimento per tutti, nessuno escluso. Cosa sarebbe un ristorante, come il nostro, senza quel racconto condiviso che avviene solo in sala?
Una destinazione enogastronomica. Dove andiamo?Paesi Baschi, sempre.
Che sapore ha la felicità? Quella degli spaghetti alle vongole della mamma.
Per informazioni:
www.morenocedroni.it