Due grandi nomi della cucina italiana ricordano Gualtiero Marchesi, scomparso ieri a Milano all’età di 87 anni, e riconoscono in lui un esempio imprescindibile per tutti coloro che si avvicinano al mestiere di cuoco.
Massimo Bottura, cuoco tristellato dell’Osteria Francescana di Modena, ricorda così il Maestro: «Se penso agli anni Sessanta cito Cantarelli e la sua cucina di tradizione popolare miscelata alle tecniche di cucina classica francese; se penso agli anni Settanta è Bergese che al San Domenico porta la grande cucina; poi arriva Marchesi la cui cucina insegna una grande lezione, comprimere passioni dentro bocconi masticabili per trasmettere emozioni».
«Dopo l’esperienza con i suoi genitori nell’hotellerie, va in Francia a capire la nouvelle cuisine, poi si innamora del Giappone come tanti di noi hanno fatto, i giapponesi simili a noi per l’ossessione della qualità delle materie prime e l’uso etico della tecnica, al contrario di francesi e cinesi. Per Marchesi veniva prima la materia prima che non l’ego del cuoco. Poi inserisce la musica e l’arte nel suo lavoro e questo fa la differenza, “ruba” agli altri perché copiare se stessi è un esercizio sterile. “Ruba” la foglia d’oro dalla Madonnina e il riso giallo, che ogni famiglia milanese pensa di preparare al meglio, si trasforma in un’opera d’arte. Come Fontana ha tagliato la tela, così lui appoggia una foglia d’oro su qualcosa di molto popolare e lo trasforma come per magia».
Massimo Bottura e Andrea Berton
Lo chef patron del Ristorante Berton a Milano (1 stella Michelin),
Andrea Berton, che si trova alle Maldive per due cene in programma il 28 e il 30 dicembre, al telefono ci fa una promessa: «Le dedicherò al Signor Marchesi. Mi dispiace molto non essere in Italia e non poter essere al funerale di colui che è stato il mio maestro che per primo mi ha fatto capire cosa era questa professione in tempi non sospetti. Iniziai da lui, come primo lavoro, nel 1989. Quello che mi diceva sempre era: “Voi siete giovani e potete assorbire il più possibile, apprendere il più possibile”, una frase che ancora oggi ho bene impressa nella mente».
«Aver iniziato con lui e averci lavorato diventando prima sous chef e poi chef all’Albereta è stato bellissimo. Otto anni insieme. Ricordo quando mi portava con lui al mercato a comprare il pesce, oppure alla sera a fine servizio mi chiamava in ufficio e stavamo due, tre ore a parlare. Raccontava aneddoti di cucina, oppure parlava di arte e io ascoltavo e ascoltavo per capire e imparare cose che non conoscevo».
«Sono stati momenti molto significativi al di là dell’ambito legato alla cucina. Ha dato tanto a tutta la cucina italiana e diventerà sempre più importante perché deve essere studiato. Ciò che ha fatto Gualtiero Marchesi deve essere materia di insegnamento, l’Escoffier italiano. Eppure in Italia non è stato valorizzato in maniera giusta, non ha avuto il giusto riconoscimento. Quando lavoravo con lui e andavamo all’estero per realizzare eventi (era l’inizio degli anni Duemila) veniva riconosciuto e celebrato in Giappone o in Germania, ma non in Italia. Questo è ciò che gli è mancato. Lui ha cambiato l’immagine della cucina italiana, prima di lui le carni venivano tutte stracotte, dopo di lui è stato tutto diverso. Ha fatto capire le giuste cotture. Diceva: “La carne non deve essere ben cotta, ma cotta bene”. Ho messo in pratica tutti i suoi insegnamenti e li tengo sempre in grande considerazione».