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Nel Parco del Matese rinasce la sècena, antica segale ora Presidio Slow Food

Dimenticata per decenni e coltivata oltre i 900 metri, questa varietà resistente torna sulle tavole grazie a un progetto collettivo tra agricoltori, artigiani del gusto e ricercatori locali [...]

 
04 agosto 2025 | 16:48

Nel Parco del Matese rinasce la sècena, antica segale ora Presidio Slow Food

Dimenticata per decenni e coltivata oltre i 900 metri, questa varietà resistente torna sulle tavole grazie a un progetto collettivo tra agricoltori, artigiani del gusto e ricercatori locali [...]

04 agosto 2025 | 16:48
 

Nel Parco nazionale del Matese, tra le province di Caserta, Benevento, Campobasso e Isernia, rinasce la sècena, un'antica varietà di segale che per secoli ha nutrito le popolazioni locali e che è diventata ufficialmente un nuovo Presidio Slow Food. È un ritorno alla terra che parla di agricoltura di montagna, di resilienza e di legami ritrovati tra produttori, trasformatori e territorio, in un'area dove coltivare cereali oltre i 900 metri di altitudine è tutt'altro che semplice.

Nel Parco del Matese rinasce la sècena antica segale ora Presidio Slow Food

La segale del Matese è Presidio Slow Food

Secondo Costantino Leuci, referente Slow Food del presidio, questa segale era uno degli alimenti base nella dieta delle comunità del Matese, proprio grazie alla sua capacità di adattarsi a quote dove il grano non attecchiva: «Per secoli la sècena ha costituito uno degli alimenti base delle popolazioni locali, grazie alla possibilità di coltivarla anche ad altitudini notevoli, a 900-1000 metri, dove il grano non poteva crescere» spiega. Poi è arrivato il dopoguerra, con i suoi mercati più facili da raggiungere, l'industrializzazione, le farine bianche e “nobili”, e il pane nero è stato via via abbandonato. «I terreni sono stati lasciati a se stessi – continua Leuci – oppure convertiti ad altre colture; chi ha continuato a seminare la segale lo ha fatto solo per alimentare gli animali». Negli ultimi anni, però, qualcosa è cambiato. Grazie a un bando del ministero della Cultura, le amministrazioni comunali di Castello del Matese e Letino, in provincia di Caserta, hanno deciso di investire nel recupero della sècena e dei terreni dove veniva tradizionalmente coltivata. Il lavoro dei pochi agricoltori custodi ancora attivi, affiancati da un team dell'università Federico II di Napoli, ha permesso di aumentare le superfici coltivate e coinvolgere un numero crescente di aziende agricole: oggi sono nove. Leuci spiega che l'obiettivo era chiaro fin dall'inizio: «Recuperare la coltivazione per il consumo umano, facendo sì che produttori e trasformatori si avvicinassero. Con l'aiuto di Slow Food penso che ci siamo riusciti: abbiamo coinvolto pizzaioli, panificatori, un pastificio e un birraio, tutti interessati a usare la segale nelle loro preparazioni».

La zona di produzione è interamente compresa nel nuovo Parco nazionale del Matese, riconosciuto ufficialmente nell'aprile scorso. Un'area ricca di biodiversità, dove si alternano faggete, querce e pascoli stabili, e dove vola ancora l'aquila reale. Non a caso, una piccola piana a 900 metri si chiama proprio “Sècena”, toponimo che in dialetto locale significa segale. È qui che si concentra la coltivazione, con la semina tra fine settembre e novembre, e la raccolta che avviene tra fine giugno e inizio agosto, a seconda dell'altitudine. Patrizia Coluccio, che insieme al marito gestisce un'azienda agricola storicamente orientata ai legumi, ha già completato la mietitura. «Da quando si è ricostituito un gruppo di produttori abbiamo iniziato a pensare ai possibili utilizzi e siamo partiti con entusiasmo - racconta. Appoggiandoci a un trasformatore artigianale molisano abbiamo fatto una prova di gnocchetti con farina 100% di segale macinata a pietra e il risultato è stato positivo: chi l'ha assaggiata è tornato a comperarne altra. Ma oltre alla pasta secca si possono fare prodotti da forno e la crusca di segale potrebbe venire usata persino per affinare il formaggio di pecora: le idee non mancano e penso ne svilupperemo altre. Il problema è che, per adesso, la produzione è bassa».

Una questione di quantità, ma anche di tempi. La sècena non è un cereale da coltivazione intensiva: richiede attenzione, pazienza e disponibilità di seme, che ogni agricoltore deve conservare per la stagione successiva. Lo sa bene Roberto Navarra, che coltiva segale sopra i mille metri con la moglie Lavinia Zanoaga e che sta aspettando il momento della raccolta. «Abbiamo iniziato a coltivare la segale due anni fa, utilizzandola per la rotazione dei terreni che destiniamo alle patate. Quest'anno sarà il primo anno che trasformerò il raccolto in farina - ammette - e la richiesta di prodotto da pizzaioli e panifici è alta al punto che non riesco ad accontentare tutti». In autunno prevede di destinare alla segale tra i due e i tre ettari, compatibilmente con la disponibilità di seme. «A ogni raccolto dobbiamo tenerne una quota importante per la semina successiva, per cui aumentare la produzione è un processo lento. Ma i segnali sono ottimi: grazie al lavoro di Slow Food la segale del Matese si sta rivalutando e le possibilità economiche sono molte più di qualche anno fa. Chi trasforma la materia prima, come i ristoratori interessati a proporre pizze e piatti che raccontano il territorio attraverso una materia prima assolutamente locale, ci può aiutare a creare nuove preziose economie di piccola scala, ampliando le fonti di reddito».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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