Mancano regole e quando se ne ipotizzano, tutto fa pensare che comportino costi eccessivi o limitazioni fuori luogo. Sempre per i ristoratori, naturalmente. La discussione sulle riaperture di bar e ristoranti non cessa e ora si sposta sui dehors. La proposta di cancellazione della tassa sull’occupazione del suolo pubblico preannunciata dal Ministro Dario Franceschini per consentire ai locali di ampliare la propria superficie all’esterno ha una logica, ma non può essere la soluzione a tutto. Se ne era già accorto il Sindaco Giusepe Sala che per primo l'aveva lanciata.
Tavolini all'aperto senza tasse per il suolo pubblico
Primo, semplicemente perché non tutti i locali hanno davanti alla propria vetrina lo spazio necessario per aprirsi e posizionare sedie e tavolini e allora concedere di non pagare una tassa a chi invece può permetterselo creerebbe delle differenze sostanziali all’interno del settore. In Regione Lombardia era stata proposto di
cancellare la tassa su plateatico, ma non se ne è fatto più nulla.
Antonio Decaro, presidente dell’associazione dei Comuni (Anci), da giorni sta cercando di capirci qualcosa di più sull’idea, sia in cabina di regia (quella presieduta dal premier Giuseppe Conte con i Ministri Francesco Boccia e Roberto Speranza), sia negli incontri con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. L’idea è stata ribadita nei giorni scorsi ai sottosegretari del Mef (Laura Castelli e Antonio Misiani). La tesi è che non sarebbe corretto riscuotere la Tosap (la tassa sull’occupazione sul suolo pubblico) e la Tari (tassa sui rifiuti) per i tre mesi di chiusura dei locali.
Oltre all’idea c’è anche l’attuazione però. Sembrerebbe, per non perdersi nella solita burocrazia elefantesca, che tutto potrebbe avvenire con un’autorizzazione semplice e una norma che consenta di derogare al parere delle sovrintendenze ai Beni culturali. Decaro lo sta già facendo a Bari, dove autorizza l’occupazione per una superficie maggiore fino al 50% davanti al locale, il tutto con una mail all’ufficio del Municipio.
Tuttavia c’è un aspetto economico da non dimenticare perché la coperta è corta e nessuno naviga in acque tranquille. I Comuni infatti chiedono allo Stato aiuti, dal momento che la mancata riscossione delle imposte di cui sopra produrrà certamente effetti sulle entrate. Tra le altre richieste dei Comuni: agevolazioni per chi paga l’affitto per i locali attraverso risorse a fondo perduto o cessione del credito d’imposta a banche o ai proprietari degli immobili per evitare il pagamento dei mesi di chiusura, e la reintroduzione della cedolare secca per favorire una riduzione dei canoni d’affitto.
La sensazione in tutto questo è che si stia stiracchiando la discussione per evitare di concedere riaperture anticipate. Se è vero che, a parole e con miriadi di infiniti incontri, si sta valutando di concedere la riapertura il 18 maggio invece che l’1 giugno, è altrettanto vero che anche se dovesse esserci il via libera in pochissimi potrebbero alzare la saracinesca. Perché il preavviso sarebbe davvero risicato e allora tra comprensione delle norme, eventuali ritocchi, organizzazione, formazione e altro ancora la riapertura ufficiale slitterebbe senza dubbio.
E quando si riapre? Se le regole fossero così ferree come si vocifera, sarebbe una riapertura quasi dannosa. Su tutte si scongiura l’ipotesi della distanza di 4 metri tra i tavoli già condannata duramente dalla Fipe (Federazione dei pubblici esercizi) con il presidente Lino Enrico Stoppani che ha annunciato: «Con queste regole è preferibile tenere tutto chiuso. A quel punto lo Stato dovrà aiutare 1,25 milioni di persone che dovranno vivere sulle sue spalle». Secondo la Fipe rischia di chiudere l’80% dei locali, che sono di dimensioni ridotte.
Più attuabile la distanza di 1 metro e 20 ai tavoli, con mascherine da indossare solo alla cassa e per andare in bagno, prenotazione obbligatoria, protezioni per il personale e distanza tra i tavoli idonea a concedere il passaggio dello stesso senza pericoli.