I numeri sono impietosi: a due settimane dalla riapertura del commercio dopo oltre due mesi di lockdown, circa il 20% delle quasi 800mila imprese del commercio italiane sono ancora chiuse. Sotto la media è il settore della ristorazione: ad oggi, secondo un’indagine di Confcommercio hanno riaperto i battenti solo il 73% dei bar e ristoranti (contro l’82% della media generale), a conferma delle gravi difficoltà delle imprese impegnate nei consumi fuori casa, che pagano la carenza di lavoro con perdite che sfiorano in molti casi il 70%.
Ad oggi ha riaperto solo il 73% dei locali pubblici
Non solo, quasi un’impresa su tre fra quelle che hanno riaperto,
rischia di chiudere di nuovo, questa volta in maniera definitiva, a causa non solo della mancanza di clienti, ma anche delle difficili condizioni di mercato, dell’eccesso di tasse e burocrazia, della carenza di liquidità. L'indagine di Confcommercio, in collaborazione con Swg, fa dunque luce su una situazione di crisi generalizzata che riguarda tutto il settore.
In particolare, per quel che riguarda i pubblici esercizi, i motivi della mancata riapertura riguardano soprattutto l’adeguamento dei locali ai protocolli di sicurezza sanitaria. Tra chi ha aperto, la gestione dei protocolli di igienizzazione-sanificazione e la riorganizzazione degli spazi di lavoro sono state condotte con successo e senza particolari difficoltà, sebbene nella seconda settimana emerga qualche problema aggiuntivo rispetto alla settimana precedente.
Le brutte notizie arrivano piuttosto dall’autovalutazione degli intervistati sul giro d’affari: già nella prima settimana la media dei giudizi si collocava largamente al di sotto della sufficienza. Nella settimana successiva questi timori si confermano: il 68% degli imprenditori dichiara che i ricavi delle prime due settimane sono inferiori alle aspettative, quando già le aspettative stesse erano piuttosto basse. La stima delle perdite di ricavo rispetto ai periodi “normali” per oltre il 60% del campione è superiore al 50%, con un’accentuazione dei giudizi negativi nell’area dei bar e della ristorazione, segmento dove si concentrano maggiormente perdite anche fino al 70%.
Solo due quinti delle micro-imprese presenta addetti e, quindi, solo questa frazione avrebbe avuto necessità della cig in deroga. Specularmente, il ricorso a ulteriori prestiti è prevedibilmente piuttosto rarefatto. Le imprese di minori dimensioni, avendo perso per oltre 2 mesi quasi il 100% del fatturato non hanno convenienza a contrarre ulteriori prestiti i quali andrebbero ripagati con un reddito futuro la cui formazione appare oggi molto incerta.
Le valutazioni conclusive di Confcommercio sono dunque negative. Al momento, dall’esplorazione delle due indagini, svolte a distanza di una settimana, emerge una significativa oscillazione dei giudizi tra la voglia di tornare a fare business e percezioni piuttosto cupe sull’andamento dei ricavi, il tutto condito da un esplicito orientamento delle imprese volto a smussare l’impatto delle difficoltà e dei problemi.