Assunzioni regolari, turni di lavoro definiti e consegne effettuate con motorini elettrici. Il tutto realizzato da ragazzi in divisa, dotati di protezioni anti-Covid e a un costo fisso orario concordato con il ristoratore. Nell’inferno del delivery e dei rider sfruttati per pochi euro al giorno dalle multinazionali del cibo a domicilio, la startup Starbox sembra un miraggio. «Siamo nati il 6 marzo scorso, quando uffici e aziende stavano chiudendo i battenti per il primo lockdown», ricorda Boutros Lama, 42 anni, una carriera da manager tra Spagna e Italia e un master in Business administration alla Sda Bocconi.

Arrivato a Milano per aprire la filiale italiana di una multinazionale iberica, che invece ha fatto un passo indietro, Lama ha pensato di non mollare. Anzi. «Avevo già fatto il piano commerciale e ho deciso di andare avanti da solo perché avevo creato la mia rete di relazioni in Italia». Un modello di business solido, innovativo e diverso da quello dei big del delivery come Just Eat che, dopo l’ennesima protesta, ha deciso che dal prossimo anno offrirà ai propri rider un contratto di lavoro dipendente, sotto quale forma ancora non si sa. «Io sono abituato ad andare controcorrente, non mi interessa il guadagno facile perché porta con sé i problemi dei grandi operatori e poche opportunità», dice Lama, che per lanciare Starbox si è consultato anche con i suoi ragazzi - tutti ex fattorini sfruttati dalle multinazionali del cibo a domicilio - e si è ispirato a un’indagine di Coldiretti sul delivery dalla quale emergeva che le famiglie intervistate mettevano tra le priorità di una consegna l’equità del compenso e l’impatto green.
Da questa idea è nata Starbox, una startup che assume i suoi fattorini, utilizza motorini elettrici Askoll - in collaborazione con l’operatore eCooltra - e mette a disposizione del ristoratore un servizio di delivery a costo fisso orario che a conti fatti diventa assai più conveniente del 30-35% sullo scontrino che i ristoratori pagano a operatori come Glovo, troppo spesso in cambio di un servizio scadente, poco igienico e lontano anni luce dall’immagine di qualità che lo chef cerca per “trasferire” il proprio locale a casa dei clienti. E così la consegna a domicilio, invece di un biglietto da visita, per molti locali diventa un incubo, un ripiego a cui si ricorre solo per non chiudere completamente il locale, ma senza vera convinzione.

«Il mio modello di business è rovesciato rispetto a quello dei colossi del food delivery», spiega il manager, «perché i miei corrieri sono dedicati a quel cliente e arrivano a fare come minimo 4 consegne all’ora. Starbox è un partner nel delivery, non incassa una percentuale e il fattorino si trova direttamente sul punto vendita al momento della chiamata, mentre con le piattaforme quando arriva l’ordine è il rider che decide se accettare o meno la consegna».
Attualmente Starbox ha 15 fattorini impiegati a pranzo e cena, ma il progetto è quello di farli lavorare nell’arco di tutta la giornata con la consegna di altri prodotti, mentre in futuro alcuni furgoncini elettrici affiancheranno i motorini per poter fare delivery capillare per l’e-commerce. «Ora siamo attivi su Milano, Roma, Bologna e Bergamo», continua Lama, «i nostri clienti sono dark kitchen e catene di ristorazione che, evitando le piattaforme di delivery, hanno la conoscenza diretta del proprio cliente a cui possono rivolgersi con offerte mirate senza passare dalle multinazionali che diventano loro proprietarie di quei dati. Perché sempre più spesso il ristoratore cucina e vende, ma non sa a chi».
Per informazioni: starboxdelivery.it