La rinascita di Stefano Cerveni «La nostra forza sono i clienti»

Lo chef bresciano racconta in prima persona la sua Quarantena di uomo e di chef. Prima la paura e la decisione di rispettare il momento, poi il servizio di delivery e infine la riapertura con tanti clienti . «Abbiamo modificato poco della nostra offerta e stiamo lavorando tanto. La gente ha voglia di ristorante»

04 agosto 2020 | 08:30
di Federico Biffignandi
La questione non è solo economica, ma anche morale. Riaprire un ristorante dopo un periodo di lutti, apprensione, ripensamento della propria vita, clausura forzata è complicato non solo perché bisogna attenersi alle nuove norme, perché mancano i clienti, perché si fa fatica a pagare i dipendenti, ma anche perché viene da chiedersi se un’attività che richiama convivialità, gioia, condivisione, piacere, sorrisi possa davvero riaprire senza pensare a quello che è stato. Anche perché pure i cuochi sono esseri umani e oltre alla necessità o voglia di riaprire il proprio ristorante hanno dovuto fare i conti con i propri lutti, apprensioni, ripensamenti della loro vita e anche una clausura forzata. Ma i fornelli sono una vocazione e le maniche si sono subito rimboccate. Anche in quelle zone dove il virus ha fatto sfaceli, come a Brescia. È di queste parti (originario di Rovato), ad esempio, Stefano Cerveri che ha riaperto il suo Due Colombe (una stella Michelin a Corte Franca) ma anche le sue altre insegne come quella della Terrazza Triennale a Milano.


Stefano Cerveni

Il suo lockdown si è spezzato in due, anzi in tre perché le difficoltà sono iniziate già prima della Quarantena vera e propria, quando il livello di attenzione si stava alzando ora dopo ora, le limitazioni crescevano e la gente aveva sempre meno voglia di uscire di casa. Figuriamoci al ristorante con pranzi e cene annullate a raffica e ricevimenti prenotati per la Primavera che sono andati all’aria. Poi il lockdown vero e proprio con Cerveri che si è sentito «sottoterra» nei primi giorni per poi reagire e decidere di rimettersi a cucinare.



«Dopo Pasqua - ricorda - ho deciso di tornare al ristorante e di attivare con mia moglie il servizio di delivery. Non volevo però che fosse solo un modo per portare piatti pronti a casa dei miei clienti storici e così ho pensato di portare personalmente a casa la mia idea di cucina gourmet che però andava assemblata e completata dagli stessi clienti. Volevo coinvolgerli e regalare loro un momento di gusto e spensieratezza, ma soprattutto mantenere rapporti umani che in quel momento erano stati cancellati. Ed è andata molto bene. Non me la sono sentita di farlo prima, quando la situazione stava peggiorando sempre di più, perché non lo ritenevo coerente».


Il ristorante Due Colombe

Il servizio di delivery non si è fermato neppure dopo il 22 maggio giorno della riapertura vera e propria. Tutto si è rivelato andare oltre le aspettative perché, nonostante tutte le limitazioni del caso, la sua cucina continua a conquistare che sia a Corte Franca o a Milano. «Ci siamo attrezzati per riaprire secondo la legge - spiega il cuoco - ma non abbiamo stravolto la nostra offerta. Rimaniamo aperti da giovedì a domenica tenendo chiusi i ristoranti anche martedì e mercoledì oltre a lunedì, cosa che prima non accadeva. Giovedì e venerdì siamo aperti solo per la cena, domenica solo per il pranzo mentre sabato sia pranzo che cena. Abbiamo molta clientela, la gente ha voglia di uscire e di mangiare fuori casa e da noi si sente sicura. Per noi è tutto perché sono le persone che tengono vivo un ristorante».

Poche modifiche anche ai menu: «Abbiamo ridotto il numero di piatti - spiega Cerveni - ma cambiando più spesso la carta - ogni due settimane invece che ogni due mesi - così da offrire sempre qualcosa di diverso. L’obiettivo è comunque sempre quello di puntare ad un’altissima qualità della proposta perché chi viene a mangiare da noi sa riconoscerla e non ha paura di pagarla ciò che merita».

E la qualità non può che passare da materie prime eccellenti, meglio se del territorio per aiutare i produttori locali che faticano a riprendere la marcia ma anche perché è tra la propria gente e i propri luoghi che gli italiani hanno capito che si nasconde l’essenza della loro quotidianità e del loro lavoro, dei loro passatempi e delle relazioni umane.

La tenacia e la voglia di non stare a guardare sono nel dna di Cerveri: «Gli aiuti non sono mai abbastanza, questo è innegabile - spiega - ma a noi cuochi non resta che darci da fare il più possibile per sopravvivere, per arrivare all'anno prossimo e poi sistemarci meglio. Noi stiamo facendo fatica, ma stiamo reggendo senza licenziare nessuno, ma ottimizzando il lavoro».

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Alberto Lupini


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