Passione, impegno e creatività: valori comuni per Massimo Bottura e Giblor's
Lo chef tristellato veste da quasi vent'anni le divise dell'azienda di Carpi (Mo). Una collaborazione virtuosa che ha dato vita anche alla collezione Unique. Di seguito il suo pensiero sulla ristorazione
A Carpi (Mo) Giblor's (Gruppo Rossini Trading) è un punto di riferimento nel settore dell'abbigliamento professionale. Le sue collezioni, frutto di un mix di stile e tecnologia innovativa, sono studiate per migliorare il benessere di chi lavora. E per questo apprezzate. Tra i numerosi estimatori di alto livello, anche Massimo Bottura, associato Euro-Toques, tre stelle Michelin, più una verde, a Modena con la sua Osteria Francescana, ormai un marchio famoso ovunque oltre a essere un tempio della ristorazione. Non a caso, per due volte è stato riconosciuto come miglior ristorante al mondo da “The World's Best Restaurants”. Bottura e la sua brigata vestono Giblor's da quasi vent'anni.
Bottura e Giblor's, qualità e sostenibilità due punti fermi
«Con Giblor's abbiamo in comune l'ossessione per la qualità e lavoriamo ogni anno per migliorarla curando ogni dettaglio, dalle materie prime alla vestibilità finale del capo - spiega Massimo Bottura - Unique, la collezione che abbiamo sviluppato insieme, presta attenzione alla sostenibilità, in linea con uno dei valori fondanti di tutti i nostri progetti». «La collaborazione con Massimo – puntualizza Roberto Giberti, amministratore delegato di Giblor's - per noi è fonte di orgoglio e di grande ispirazione. Ci ricorda che passione, impegno, creatività e collaborazione sono la ricetta per l'eccellenza. È quello che cerchiamo di fare tutti i giorni in Giblor's, quando studiamo nuove collezioni e quando concentriamo il nostro impegno per creare capi unici e di grande personalità». Un rapporto virtuoso, che è sfociato in un incontro dove, con Massimo Bottura, si è approfondito lo stato dell'arte e il futuro dell'universo ristorazione.
In generale, siamo ormai abituati a degustare piatti rivisitati (e in qualche caso letteralmente stravolti). Ma quanto è difficile innovare, senza però dimenticare le ricette originarie e la tradizione?
Bisogna conoscere la tradizione alla perfezione per poterla rivoluzionare. In questo modo siamo in grado di prendere il meglio del passato e portarlo nel futuro. Rompiamo la tradizione, il nostro passato, non per prenderne le distanze ma per ricomporlo attraverso un pensiero contemporaneo. L'idea principale che ha guidato il mio lavoro e quello del mio team negli ultimi 25 anni è quella della Tradizione in Evoluzione. La nostra cucina è come un laboratorio: osserviamo, sperimentiamo, collaboriamo tutti insieme unendo ispirazioni che arrivano da tutto il mondo, dal Canada al Giappone. Persone da tutto il mondo vengono a Modena e ci chiedono la vera cucina italiana, quella tradizione maestosa e ingombrante che nessuno vuole cambiare, soprattutto gli italiani stessi. Ma lasciandola immutata e piatta, corriamo tutti il rischio di rimanere bloccati. Creare distacco ci permette invece di giocare con i nostri ricordi culinari e cercare nuovi modi per renderli accessibili anche a coloro che non condividono i nostri sapori d'infanzia. Questo non significa negare la nostra tradizione e buttarla via; al contrario, ne implica una profonda conoscenza. Il nostro lavoro non consiste nel dimenticare il passato, ma nel guardare a esso in modo critico invece che nostalgico, trovando il modo più appropriato per condividerlo, in modo che possa vivere e sopravvivere nel tempo in un costante lavoro di evoluzione.
Tra gli ingredienti non può chiaramente mancare la creatività. Come la interpreta Massimo Bottura e dove si può ricercare l'ispirazione?
Nel momento in cui si è padroni della tecnica, si conosce se stessi, si prende coscienza dei propri mezzi e si sviluppa la capacità critica. Solo in quel momento sarà possibile abbandonarsi alla creatività, vedere il mondo con occhi diversi, ricchi di curiosità. L'ispirazione può arrivare ovunque e in qualsiasi momento, soprattutto negli attimi più inaspettati. Bisogna sempre lasciare una finestra aperta all'inaspettato. Il segreto è essere pronti a cogliere quel lampo di luce nell'oscurità, perché una volta passato, è perso per sempre. Ogni momento rappresenta un'opportunità, siamo noi che dobbiamo dedicargli il tempo e l'attenzione necessaria per trasformarlo in una risorsa. Dobbiamo essere in grado di cogliere la bellezza che ci circonda anche nelle sue forme più imperfette, e, soprattutto, avere la curiosità di valorizzarne il potenziale inespresso. L'intuito sta quindi nel non smettere di essere curiosi e aprire gli orizzonti, lasciandosi contaminare da tutto, persino da un errore.
Negli ultimi tempi si è sviluppata una certa sensibilità verso la sostenibilità, che riguarda anche le materie prime utilizzate in cucina. Perché il legame tra mondo della ristorazione e sostenibilità sta diventando sempre più stretto? Come si può sviluppare una maggiore attenzione verso il benessere green, partendo dal cibo?
La sostenibilità parte da come pianifichi il futuro. Negli ultimi anni gli chef sono stati chiamati a guardarsi attorno, a uscire dalla propria cucina e a impegnare le proprie conoscenze e la propria visibilità per migliorare il nostro sistema alimentare. Non solo a livello di spreco alimentare, ma anche di malnutrizione, di sostenibilità dei prodotti e di qualità degli ingredienti. Per me è importantissimo che gli chef siano anche attivisti, che usino la propria immagine per creare cambiamento. L'atto del cucinare così come quello di nutrirsi deve diventare una scelta etica, non più solo di gusto. Chiediamoci da dove viene quello che abbiamo nei nostri piatti, quale sia il suo passato, ma anche e soprattutto come vediamo il suo futuro. Grazie alla cultura possiamo costruire un futuro in cui il rispetto per il cibo siede a capotavola. Oggi più che mai abbiamo a disposizione mezzi potentissimi per diffondere idee e innescare una rivoluzione, insieme. E ogni chef, ogni ristorante ha il dovere di provare a stimolare questo cambiamento attraverso la creatività, il valore dell'ospitalità, la forza della bellezza e la qualità delle idee: chi ha molto non può dimenticare gli altri e ha ogni giorno la possibilità e la responsabilità di agire.
Come immagina il futuro della ristorazione in Italia e su quali aspetti bisognerà puntare, con passione e fiducia, per poterci evolvere e migliorare?
Ho sempre detto che il cibo è cultura, e ha il potenziale di collegare ognuno di noi al mondo che ci circonda. Nel nostro futuro abbiamo bisogno di mettere in atto un sistema che valorizzi le relazioni, rispettoso del singolo procedimento, del singolo prodotto e innanzitutto della persona. Ad esempio, avere un rapporto diretto con i produttori può aiutare anche a creare una catena di relazioni umane che mettono in rilievo l'importanza e il ruolo di ciascuno, rendendolo parte di un sistema vantaggioso per tutti. Inoltre, vedo anche una grande opportunità per un dialogo reale tra il mondo della ristorazione e gli altri campi della conoscenza. Mi piacerebbe che ci si interroghi di più, che si ascoltino le esperienze di chi si occupa quotidianamente delle grandi sfide che abbiamo come società, anche attraverso altre discipline – penso ad artisti, designer, accademici - che spesso hanno le conoscenze ma non la visibilità necessaria per diffonderle. Ecco, ritengo che grazie a questo dialogo gli chef possano davvero diventare ambasciatori del cambiamento.
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Alberto Lupini
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