Il tormentone di Ferragosto ormai è stato scelto e cavalcato: l'obbligo di Green pass nelle mense aziendali. Dal momento in cui il Governo ha pubblicato la Faq nella quale spiegava l'introduzione della norma, a sorpresa, si è scatenato un tutti contro tutti politico, sociale, sindacale, economico. E se dal punto di vista delle discussioni tutti possono esprimere la loro opinione cercando di difendere i propri diritti (fino ad un certo punto perchè la certificazione è al momento il modo più drastico per uscire dalla pandemia), dal punto di vista economico il tempo da perdere è poco.
Le aziende della ristorazione collettiva hanno sperato fino all'ultimo che questo obbligo non arrivasse e, ancor di più, hanno spinto fino all'ultimo (e lo faranno ancora) perchè cada l'obbligo più gravoso: dare la responsabilità ai "ristoratori" di controllare che i lavoratori abbiano il Green pass. Obbligo che invece per ora resta, così come previsto per la ristorazione tradizionale. Le lamentele di questa ultima parte sono arrivate a grappoli dal 6 agosto (giorno dell'entrata in vigore) con schermaglie che si sono succedute lasciando, come molte altre volte accaduto, tutti nella terra di nessuno, disorientati e con "mezze regole" da dover interpretare.
Conti della serva
Dalla parte mense la situazione cambia poco; mentre si chiedono incontri, si lanciano proclami, si fanno scioperi e si continua a lavorare per un'intesa, le aziende della ristorazione collettiva prendono la calcolatrice e fanno i conti della serva, mangiandosi le mani nel vedere i loro fatturati ulteriormente erosi da costi, limitazioni e smart working. Ci sediamo a tavolino con Corrado Leoni di Vi-Cook, che lavora con aziende in tutta Italia, circa 50 le sedi attive, e si fa presto ad arrivare ad una conclusione.
«Per noi - spiega - il problema economico sussiste. La responsabilità di controllare che ricade sulle nostre spalle pesa sul fatturato. Perchè? Perchè dobbiamo mettere a disposizione una persona in più a lavorare che (ovviamente, vista la freschezza della notizia) è fuori dal contratto stipulato con ogni cliente. In soldoni vuol dire che ogni azienda della ristorazione collettiva deve sborsare 20 euro all'ora per ognuno di questi dipendenti; se consideriamo che solitamente l'impiego è di due ore (ma può essere anche superiore in alcuni casi) significano 40 euro al giorno. E se consideriamo che questo costo deve essere sostenuto in ogni sede, i costi sono presto fatti».
2mila euro, più gli smartphone
Per le aziende come Vi-cook significa "regalare" 2mila euro al giorno, allo Stato che ha preso questa sciagurata decisione e di riflesso ai clienti (le aziende, fabbriche, ospedali, scuole) che sono state sollevate dall'onere. A questi 2mila euro bisognerebbe poi aggiungere i costi dei dispositivi da mettere a disposizione per verificare i green pass, smartphone solitamente di cui ogni azienda deve, in fretta e furia, dotarsi per non venire meno alla Faq-legge. Stimare a quanto possa ammontare questa cifra in più non è semplice, ma supponendo che il più economico degli smartphone costi almeno 100 euro si arriva a somme stellari. Sempre prendendo il caso di Vi-Cook, ovvero di un'azienda che lavora su 50 sedi, significa dover spendere altri 5mila euro che - almeno qui - sono sottoforma di "capitali" e non di "spese correnti", ovvero: comprato uno, risolto il problema.
Controllori richiamati dalle ferie?
Ma l'altro problema riguarda il "capitale umano". In periodo ferragostano, di ferie che vengono godute un po' da tutti, sarà così facile per la collettiva riuscire a reperire un addetto per ogni sede? Vero è che anche fabbriche e aziende stanno marciando ampiamente sottoritmo, ma una persona comunque serve, che in sala ci siano 10, 100 o mille persone. A questo punto il bacino di personale da ricercare nel mondo Horeca si amplierebbe ulteriormente, la voragine diventerebbe più profonda.
Oppure ogni azienda potrebbe rimboccarsi le maniche come sta facendo la ristorazione tradizionale e trovare una soluzione economica e interna. Questo, appunto, sia per far quadrare i conti ma, soprattutto, per tutelare in primis i propri dipendenti e poi anche tutti i lavoratori che si siedono al tavolo per pranzare. Davvero non si riesce a staccare una persona, già in servizio e compresa nei costi previsti pre-green pass, e metterla a controllare gli ingressi? Le recriminazioni di categoria non sono forse un po' eccessive se rapportate ai benefici a cui si va incontro, ovvero uscire dalla pandemia e tornare a lavorare al 100%?
Ricadute anche a lungo termine
Per la collettiva il problema economico è ancor più pesante perchè si tratta di un'ecomomia a sè stante. «Per noi - prosegue Leoni - i calcoli si fanno al centesimo, devono rispettare bandi precisi per cui anche la più piccola variazione a fine anno incide e parecchio. L'obbligo del green pass avrà un'influenza negativa su di noi anche prossimamente: se verrà meno gente a mangiare, le somme dei bandi diminuiranno, magari anche dell'1% ma il peso specifico sarà importante».
Idea alternativa per chi non ha il pass
Qualche soluzione alternativa già c'è nell'orbita delle mense aziendali ed è lo stesso Leoni a rivelare la propria esperienza. «Già da una settimana - racconta - abbiamo iniziato a sperimentare la lunch-box per quei lavoratori che non dispongono della certificazione. I nostri clienti hanno accolto la proposta anche se l'obbligo del pass ancora non era in vigore, ma tirava una brutta aria. Per non rischiare assolutamente nulla, in tanti hanno detto sì alla nostra idea. Possiamo fare solo un primissimo bilancio parziale di come sta andando perchè al momento stiamo lavorando solo su 6 impianti: chi chiede il box è solo il 2% dei lavoratori. Man mano che si tornerà a pieno regime potremo avere una fotografia più chiara».
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Alberto Lupini
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