A marzo 2021 gli smart worker erano 5,7 milioni. Sei mesi dopo la cifra era scesa a 4,07 milioni. Ma nel periodo post-pandemia il numero potrebbe assestarsi intorno ai 4,38 milioni di lavoratori. Per tutti loro le aziende sono chiamate a pensare a nuove forme di welfare aziendale, a partire dal servizio mensa. A quasi due anni dall’inizio della crisi pandemica, infatti, la ristorazione collettiva commerciale ha dovuto far fronte a nuove richieste che hanno accelerato l’evoluzione del settore verso forme ibride; come quelle che sta assumendo il mondo del lavoro.
I numeri dello smart working post pandemia
Come riportato da una ricerca del Politecnico di Milano, nell’epoca post-Covid ai dipendenti delle grandi aziende saranno accordati in media 3 giornate agili (per un totale di circa 2,03 milioni di lavoratori coinvolti), 2 quelle nella Pubblica Amministrazione (per circa 680mila dipendenti pubblici coinvolti). Un modo per rispondere alle nuove esigenze di bilanciamento fra vita privata e impegno lavorativo. La scelta di proseguire con lo smart working è motivata dai benefici riscontrati da lavoratori e aziende. L’equilibrio fra lavoro e vita privata è migliorato per la maggior parte di grandi imprese (89%), Pmi (55%) e Pubblica Amministrazione (82%). E questo sebbene la combinazione di lavoro forzato da remoto e pandemia abbia avuto anche conseguenze negative sugli smart worker: è calata dal 12% al 7% la percentuale di quelli pienamente “ingaggiati”, il 28% ha sofferto di tecnostress, il 17% di overworking. Insomma, passare tutta la settimana lavorativa da remoto non è vincente. Anche da un punto di vista di efficienza alimentare.
Carlo Scarsciotti (Oricon): «Lo smart working non deve banalizzare l'aspetto nutritivo della mensa»
«Il welfare è da intendere, infatti, non solo sotto l’aspetto economico legato al valore del pasto ma anche come diritto alla corretta nutrizione. Aziende committenti e della ristorazione si fanno carico ogni giorno della salute e del benessere dei dipendenti, attraverso l’erogazione di pasti sani, vari ed equilibrati. Lo smart working non deve banalizzare questo aspetto: una ricerca condotta da Euromedia Research per conto di Oricon nel dicembre 2020 con l’obiettivo di indagare l’impatto del lavoro da casa sugli italiani ha evidenziato che il 16,1% degli intervistati ha mangiato di più, il 68,6% ha seguito un’alimentazione più disordinata, poco bilanciata, dedicando anche uno spazio minore alla “pausa pranzo”», ha affermato il presidente dell’Osservatorio ristorazione collettiva e nutrizione Carlo Scarsciotti.
Carlo Scarsciotti, presidente Oricon
Sodexo nelle aziende con Brio!
Ecco allora che il ritorno in ufficio, per quanto ibrido, può rappresentare il compromesso giusto per lavoratori, datori di lavoro e aziende della ristorazione collettiva che, nel frattempo, hanno messo in campo diversi progetti. Uno di questi, Brio!, è stato lanciato da Sodexo: «Si tratta di una soluzione realizzata in casa. Abbiamo studiato delle ricette da veicolare facilmente, sia a livello di trasporto attraverso dei camioncini refrigerati e l’impiego del nostro personale che consegna i pasti direttamente presso le aziende convenzionate. In più, garantiamo la freschezza dei prodotti e la loro provenienza italiana e quanto più locale», racconta Enrico Bartoli, direttore segmento aziende di Sodexo Italia. Per la preparazione delle pietanze Sodexo si appoggia a una rete di ghost kitchen sparse sul territorio così da rendere più flessibile la risposta alla domanda di pasti da parte dei lavoratori che possono ordinare via web app e pagare online attraverso strumenti di pagamento elettronici oppure alla consegna sfruttando i buoni pasto.
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Dipendente che si gode il suo pasto ordinato tramite Brio
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Uno dei piatti proposti da Sodexo per l'autunno
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Più attenzione nella scelta degli ingredienti per attrarre i dipendenti in ufficio
A livello di preparazioni, in linea con i trend salutistici che hanno preso sempre più piede dall’inizio della pandemia, Sodexo ha previsto piatti che rispettino la stagionalità, facciano pochissimo ricorso alla carne rossa e non utilizzino ingredienti energivori come l’avocado, per esempio. Mix che puntano a intercettare i gusti dei lavoratori e favorirne il loro ritorno in ufficio. «I servizi di ristorazione collettiva hanno acquisito grande importanza nel corso degli ultimi due anni. Soprattutto nel comparto manufatturiero dove la mensa ha garantito la continuità aziendale. In generale sono stati apprezzati i valori di flessibilità, capacità di reagire alle necessità e implementare i protocolli di sicurezza. Aspetti che hanno fatto aumentare il valore percepito da parte dell’utente. Tanto che oggi molte aziende guardano al potenziamento del servizio mensa in forma ibrida come elemento di attrattività», conclude Bartoli.
Cirfood ha scelto il format Qubì
Un approccio simile a quello di Sodexo è avvenuto anche in casa Cirfood: «La voglia di fare innovazione e la capacità di anticipare le tendenze del mercato hanno spinto l’azienda a lanciare Qubì, un format di ristorazione aziendale che risponde alle nuove esigenze di imprese e lavoratori, garantendo flessibilità di orari e spazi. Si tratta di uno smart restaurant che, senza il bisogno di una cucina interna, rende semplice mangiare bene in ogni momento della giornata», sintetizza Marcello Leonardi, national key account director di Cirfood.
Marcello Leonardi (Cirfood): «La mensa rimane il servizio welfare più gradito dai dipendenti»
L’azienda è attualmente impegnata a rinegoziare molti contratti, in particolare nei settori definiti white collar (assicurativo, bancario e uffici in genere), ma già prima della pandemia aveva sposato un approccio molto flessibile, sia in termini di format sia di soluzioni tecnologiche al fine di rendere il servizio sempre più smart. «Stiamo pertanto semplicemente accelerando su queste proposte, anche in considerazione del fatto che la pausa pranzo è e rimane il servizio di welfare più gradito dai dipendenti. Siamo certi verrà mantenuto, anche se con modalità rinnovate», aggiunge Leonardi. Ciò che sicuramente resterà invariato è la richiesta di «alta qualità, territorialità e sostenibilità dell’offerta gastronomica» unite a una dose maggiore di tecnologia. Come la nuova app Appetie lanciata da Cirfood per integrarsi con i sistemi di ordinazione dei ristoranti aziendali serviti.