Igles Corelli ricorda Giacinto Rossetti: «È stato come un padre per me»

Lo chef Igles Corelli ricorda Giacinto Rossetti, fondatore del Trigabolo di Argenta, dove Corelli ha mosso i primi passi: «È stato fondamentale per me, come un padre: era un cultore della materia prima: mi ha insegnato»

28 novembre 2024 | 18:15

La notizia della scomparsa di Giacinto Rossetti, fondatore e anima del leggendario ristorante Trigabolo di Argenta (Ferrara), lascia un vuoto profondo nella comunità gastronomica italiana. Un locale che ha segnato un’epoca, contribuendo a definire la cucina contemporanea del nostro Paese. Igles Corelli, chef alla guida della cucina del Trigabolo per 14 anni, ha dato per primo l’annuncio della morte, esprimendo un sincero rammarico: «Lui per me è stato come un padre: l’ho conosciuto a 22 anni e mi ha lanciato nel mondo della gastronomia, trasmettendomi la passione per la ricerca delle grandi materie prime. Era un vero fanatico della qualità, e il legame tra noi ha portato alla nascita del ristorante, che rappresenta un po’ la mia filosofia di cucina».

Giacinto Rossetti e il Trigabolo

«Da un’idea nata in un contesto paesano - dice Corelli -, è venuto fuori un progetto moderno, che ancora oggi molti ci invidiano e rimpiangono. Purtroppo, Giacinto non potrà vedere il docufilm che stiamo realizzando sul Tregabolo, né il libro dedicato a lui. Sarebbe stato il coronamento del suo sogno». Proprio il Trigabolo è stata una palestra per tanti: «C’eravamo io, Bruno Barbieri, Mauro Guarandi e altri ragazzi che poi sono diventati grandi chef, anche stellati: c’era un ambiente coeso. Eravamo un gruppo unito, nato anche da un’amicizia sincera. Giacinto ci ha offerto l’opportunità di sperimentare, mantenendo sempre una linea rigorosa e una cucina ben definita».

Giacinto Rossetti, l’eredità

Rossetti lascia quindi un grande vuoto, non solo per Corelli: «Giacinto è stato fondamentale all’inizio della mia carriera. Mi ha sempre stimolato, portandomi in giro per l’Italia alla scoperta di prodotti e tradizioni. Era un grande appassionato di vino: in un’epoca in cui non c’era Instagram, visitavamo insieme le cantine per scegliere personalmente le bottiglie. Questo approccio alla qualità era il marchio di fabbrica del Trigabolo. Diceva sempre: “Per cucinare il pesce, ci vuole il pesce”. Era un cultore della materia prima e credeva fermamente nel valore delle mani esperte che la lavorano».

E sull’eredità che lascia, lo chef è chiaro: «Innanzitutto, non scendere mai a compromessi sulla qualità delle materie prime, nemmeno per questioni economiche. E poi, avere fiducia nelle persone che collaborano con te».

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Alberto Lupini


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