Fine dining, quale futuro? Per Chicco e Bobo Cerea resterà ricercato ma deve cambiare

Insieme a Francesco, Barbara e Rossella, l’azienda di famiglia "Da Vittorio", guidata dall'estro e dalla fantasia di Enrico e Roberto Cerea, sta segnando un'epoca della cucina e della ristorazione italiana. I due chef in coro: «Ci saranno nuove tendenze, nuovi credo, nuove mode, ma alla fine la cucina dovrà essere buona, oggi e in futuro»

07 aprile 2023 | 05:00
di Luca Bassi

Vittorio Cerea al relais di Brusaporto non c’è mai stato di persona. Il quartier generale della famiglia dal 2005 è stato un suo progetto, il suo ultimo capolavoro che, purtroppo, non ha avuto la fortuna di vedere, fatto e finito, con i propri occhi. Ma in via Cantalupa tutto parla di lui: ci sono delle foto che lo ritraggono, dei piatti che lo richiamano. E poi la moglie Bruna e i cinque figli, riuniti sotto il suo nome, Vittorio, che ormai è diventato un segno distintivo della grande cucina e dell’ospitalità italiana. Non a caso, ci sono tre stelle Michelin a confermarlo. Insieme a Francesco, Barbara e Rossella, l’azienda di famiglia - che oggi è diventata un impero vero e proprio - è guidata dall’estro e dalla fantasia dei fratelli Enrico e Roberto Cerea, che dietro ai fornelli stanno segnando un’epoca.

Tutti uniti nel nome di Vittorio...
Se oggi siamo quello che siamo lo dobbiamo principalmente a nostro padre - sottolineano insieme Enrico e Roberto Cerea, per tutti Chicco e Bobo -. In famiglia siamo in tanti e in questi anni siamo stati capaci di diversificarci, lavorando sempre con attenzione, competenza e precisione, qualsiasi cosa stessimo facendo. Questo ci ha portato a essere precursori di alcune tendenze, proprio come fece nostro padre 55 anni fa, quando iniziò il tutto. Lui è stato un pioniere, è riuscito a far mangiare il pesce in una città di terra come Bergamo. Riusciamo solo a immaginare quanto debba essere stato difficile.

Il relais a Brusaporto. Poi la pasticceria, St. Moritz, Milano, Shanghai, Macao, Saigon. Tutti progetti impegnativi, che mentre prendevano vita ci hanno spesso portato a pensare ‘ma chi ce l’ha fatto fare?’. Quando sono diventati realtà e hanno iniziato a viaggiare con le loro gambe, però, ci hanno regalato una soddisfazione enorme. Per questo non siamo mai fermi, siamo sempre alla ricerca di una nuova sfida, di un nuovo traguardo.

Il Covid, la paura, la ripartenza a razzo...
Il Covid ha segnato un periodo storico. Ma dopo la pandemia c’è stata una ripartenza incredibile, soprattutto per il nostro settore, e sono nate tante opportunità. La gente aveva bisogno di riprendersi quello che gli era stato portato via - spiega Chicco Cerea -, voleva tornare a vivere delle esperienze importanti, voleva relazionarsi, voleva farsi vedere. Il ristorante è il posto migliore per tutto questo, di qualsiasi livello esso sia. Poi, capisco che non tutti possono permettersi un certo tipo di conto, ma anche noi abbiamo lavorato tantissimo, in alcuni casi molto più di quello che pensavamo.

Nel post Covid ho notato un grandissimo entusiasmo, potevamo dare qualsiasi cosa nel piatto che la gente era felicissima comunque - sottolinea lo chef -. I piatti più cari erano quelli che andavano di più, era incredibile. Ora le cose si sono assestate, la gente viene per vivere un’esperienza consapevole, preparata, coinvolta. Quella bolla è finita, ma si continua comunque a lavorare benissimo.

 

Il personale, una famiglia allargata
Com’è ovvio che sia, anche noi abbiamo vissuto la problematica della carenza di personale. La viviamo tutt’ora - spiega Bobo Cerea -. Un tempo potevamo permetterci di scegliere i volti nuovi, oggi sono i ragazzi che vengono a fare il colloquio a chiudere con ‘Ok, ci penso e vi faccio sapere’. Noi viviamo ogni giorno come se fossimo tutti una famiglia. Chi lavora al nostro fianco lo trattiamo come se fosse un cugino, un fratello, un parente. Poi c’è chi resta per decenni e chi invece decide di prendere un’altra strada, serenamente: abbiamo aiutato tanti nostri collaboratori a trovare nuove esperienze in altri stellati nel mondo.

Sinceramente credo che la problematica del personale ci abbia permesso di prendere nuove consapevolezze - commenta invece Chicco Cerea - . Nel mondo della ristorazione c’erano tante cattive abitudini che avevano bisogno di un qualcosa di forte per essere spazzate via. Da parte mia, ho capito ancora di più quanto sia bello lavorare in un ambiente sereno: il nostro è un lavoro già di per sé parecchio impegnativo… La cosa più bella è instaurare un rapporto di fiducia e di rispetto. Vogliamo che il nostro ospite si senta come a casa sua, che viva un’esperienza perfetta, e per far sì che questo accada serve che anche per i nostri collaboratori sia così. Pochi giorni fa abbiamo organizzato una giornata a Leolandia, l’abbiamo chiamata ‘Noi, una famiglia’. Non è retorica, ci crediamo davvero.

Il futuro dell’alta ristorazione: organizzazione e aggiornamento
Quando sento di un ristorante che chiude, piccolo o grande che sia, provo sempre un grande dispiacere - spiega Bobo Cerea -. Il nostro tipo di ristorazione ha meno margini, non è facile da mantenere e non è semplice da portare avanti. Il nostro segreto è stato il diversificare la nostra proposta: il fatturato non si conquista per caso ma con le idee, la preparazione, e anche con un po’ di fortuna. Non possiamo comunque nascondere che questo tipo di ristorazione crea sofferenza. Belle le stelle, bello il fine dining ma poi i conti devono tornare. Nostro padre lo diceva sempre: facciamo, sbrighiamo e disfiamo, ma alla fine occhio sempre al cassetto.

Ci saranno nuove tendenze, nuovi credo, nuove mode, ma alla fine la cucina dovrà essere buona, oggi e in futuro - sottolinea Chicco Cerea - . Arriveranno cose nuove, il fine dining resterà qualcosa di ricercato ma in forme diverse, probabilmente in modo anche più divertente rispetto a oggi. La gente non si aspetta più il cameriere impettito che quasi non si relaziona, oggi il cameriere lavora comunque in modo professionale e impeccabile, ma anche più leggero e coinvolgente. Io, ad esempio, adoro l’interazione: non mi sognerei mai di fare un servizio intero chiuso in cucina senza incontrare gli ospiti.

 

I prezzi alti? Un’esigenza da comunicare...
Quando andiamo a creare i prezzi del menu abbiamo dei parametri da rispettare, dei conti ben precisi da fare. Non facciamo niente a caso - analizza Chicco Cerea - . Se vuoi proporre pesce di mare pescato e non allevato hai costi che sono sei-sette volte superiori. A tutto questo poi dobbiamo aggiungere i costi che una struttura come la nostra ha, cose che fanno parte dell’esperienza che vive chi sceglie il nostro ristorante: il marchio Da Vittorio ha 220 persone assunte, alle quali vanno poi aggiunte quelle che lavorano a chiamata. Tutti osservano due giorni di riposo: si lavora su turni che permettano a chiunque di vivere una vita anche fuori dal ristorante. L’economia aziendale è fondamentale. Leggo anche io di grandi locali che chiudono, a volte in modo improvviso e inaspettato. Credo che in alcuni casi il problema non sia l’alta ristorazione, ma qualcosa che non funzionava a monte. L’alta ristorazione, se organizzata come si deve, funziona ancora e funzionerà anche in futuro. In modo diverso forse, ma funzionerà. I nostri ospiti non si lamentano mai del prezzo, anzi capita che al momento del conto prenotino subito per la volta successiva. Vent’anni fa capitava di gente che andava via dopo aver letto la carta e aver visto i prezzi, oggi chi viene sa dove sta andando e cosa sta facendo. Noi abbiamo l’unico grande obiettivo di non deludere chi, pagando cifre importanti, decide di sedersi al nostro tavolo, magari per una giornata storica della sua vita.

Anni fa c’era la percezione del ‘troppo caro’ - aggiunge Bobo -, oggi grazie a dio questa cosa sta un po’ scemando perché è cambiata la comunicazione. Chi ci sceglie lo fa per un motivo. Vediamo anche tanta gente che risparmia un anno pur di provare la nostra cucina: per noi è un’emozione unica ogni volta.

Un occhio al passaggio generazionale
Ne parliamo spessissimo, è un pensiero fisso di tutti noi fratelli - spiegano in coro Chicco e Bobo - . È chiaro che sogniamo di vedere qualcuno della famiglia che possa portare avanti tutto questo, un giorno. Ora abbiamo tredici componenti giovani che stanno facendo esperienze in Europa e nel mondo, com’è stato anche per noi prima dei nostri trent’anni, ma ad oggi nessuno ha le idee chiarissime. Comunque il timone ora è in mano a noi. Al passaggio generazionale ci pensiamo, ma credo che sia chiaro che qui nessuno ha fretta di passare la mano: abbiamo ancora tanti progetti da portare a termine, tutti insieme.

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