Figlio mio, ma quanto mi costi? E i giovani si allontanano dal lavoro

In Italia dilaga un'eccessiva disoccupazione giovanile, gli adolescenti si allontanano da lavori come il cuoco. Questo riflette una perdita di valori e una mancanza di rispetto per il lavoro, mentre i genitori cosa fanno?

06 settembre 2024 | 11:15
di Rocco Pozzulo

Crescere un figlio, dalla nascita fino all'università, comporta costi significativi, specialmente se si desidera anche garantirgli un tenore di vita dignitoso e opportunità migliori rispetto a quelle delle generazioni passate. Anche una volta raggiunta la maggiore età, molti giovani rimangono a carico dei genitori, che continuano a supportarli in ogni aspetto della vita. Per amore dei propri figli, i genitori sono spesso disposti a fare sacrifici personali.

 

Secondo un'indagine accreditata, 5 italiani su 10 convivono con i propri figli adulti, e di questi quasi la metà è completamente a carico dei genitori, assorbendo mediamente circa un terzo delle spese mensili della famiglia. In Italia, l'uscita dei figli dal domicilio genitoriale avviene molto tardi, un dato che rappresenta un record assoluto in Europa. Rispetto ad altri Paesi, il “target” italiano presenta due caratteristiche distintive: l'iperfamilismo e e la mancanza di percorsi lavorativi importanti. Questo fenomeno ha un impatto notevole, poiché molti giovani, si concentrano esclusivamente sul proprio percorso di studi, cercando di costruire una carriera in quell’ambito una volta terminata la formazione.

Il valore delle esperienze lavorative per gli adolescenti: un investimento sul futuro

In passato, i giovani spesso lavoravano già durante l’adolescenza, specialmente nei mesi estivi, per potersi permettere qualche sfizio senza pesare completamente sul bilancio familiare, che era comunque limitato. Questo permetteva di sviluppare autostima, senso di responsabilità e maggiore consapevolezza del valore del denaro. Inoltre, le esperienze lavorative offrivano ai giovani importanti insegnamenti di vita, consentendo loro di maturare in anticipo rispetto ai loro coetanei che non avevano simili opportunità.

Oggi, molti genitori ritengono impensabile “rovinare” l’estate dei propri figli facendoli lavorare, dopo un anno dedicato allo studio. Personalmente, non posso esprimere un’opinione dal punto di vista genitoriale, ma come docente di un Istituto Alberghiero, considero un errore non incoraggiarli a fare esperienze lavorative e di vita che siano adeguate e giustificabili. I sacrifici e le energie richieste in giovane età sono meno gravosi e più facilmente spendibili. Anche tra gli studenti di ristorazione, non tutti sono motivati a impegnarsi in una stagione lavorativa completa, ritenendo sufficiente il numero di ore di “stage” svolte nelle aziende attraverso il protocollo “scuola-lavoro”.

Il paradosso della disoccupazione giovanile: sfruttamento e protezionismo

Inoltre, in periodi di vera emergenza occupazionale, molti studenti sono scoraggiati dall’intraprendere una “stagione lavorativa” a causa della paura di essere sfruttati, contribuendo così all’aumento del numero di posti vacanti in Italia. Personalmente, e mi assumo la piena responsabilità di quanto dico, credo che alcuni genitori siano forse troppo protettivi e accondiscendenti nei confronti dei propri figli. Accontentarli in tutto non lo considero educativo; qualche “NO” nella vita di un adolescente è necessario. Abbiamo uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alti d’Europa, ma a volte mi chiedo, in maniera sarcastica, se non sia tutto un grande inganno!

Esistono interi settori industriali e dei servizi che operano con un ciclo produttivo “h24”, e trovo paradossale e assurdo che i giovani si allontanino dalla ristorazione perché si lavora la domenica e durante le festività importanti. Poi ci sorprendiamo quando avvengono tragedie come l’omicidio di un ragazzino di 16 anni, ucciso a coltellate da due coetanei di “famiglie per bene” per un debito di soli 250 euro. Siamo arrivati a uno stato di grave insofferenza giovanile, caratterizzato da una perdita complessiva di valori, intolleranza al sacrificio e mancanza di rispetto per gli altri, perfino per la vita umana stessa. Con tutto il rispetto per ogni punto di vista, credo che qualche “NO” e un sano scappellotto siano ancora utili nella crescita di un ragazzino.

Rendere la professione di cuoco adatta ai giovani: impegni e sfide della Fic

La Federazione Italiana Cuochi, nel suo piccolo, si impegna da anni con i giovani per rendere la professione più gestibile e adatta alle esigenze della vita personale, avanzando richieste del tutto legittime alle Istituzioni. Non nego le difficoltà della nostra professione e le dinamiche che hanno portato alla situazione attuale; è doveroso che tutti noi riconosciamo le responsabilità e gli errori del passato. L’imprenditoria, i sindacati, la politica, le associazioni di categoria, inclusa la Fic, sono tutti colpevoli di non aver colto tempestivamente i “segnali di insofferenza” che il nostro lavoro trasmetteva.

Cercheremo di preservare gli aspetti migliori di questa professione, recuperando quegli stimoli e quelle attenzioni che hanno alimentato la passione nelle generazioni passate, le stesse generazioni che certamente hanno ricevuto numerosi “no” e più di qualche sacrosanto ceffone!

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Alberto Lupini


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