Bresciani (Fic): Il certificato vaccinale è una garanzia di sicurezza per i clienti

Lo chef dell'Antica Cascina San Zago e presidente Fic Promotion Srl (Federazione italiana cuochi) rilancia l'idea del passaporto per chi si è vaccinato: «Aiuterebbe le imprese a ripartire in sicurezza» . L'alternativa? «Scegliere fra apertura a pranzo o a cena per assecondare le esigenze di ogni singolo locale»

12 febbraio 2021 | 13:10
di Nicola Grolla
Con l'Italia prevalentemente in zona gialla (in attesa del monitoraggio del weekend), i ristoranti sono tornati a riempirsi. Un vero e proprio sold out spinto anche da San Valentino che, quest'anno, cade di domenica e ha fatto letteralmente impazzire i telefoni di diversi locali. Compresa l'Antica Cascina San Zago dello chef Carlo Bresciani che, durante l'ultima puntata del talk show Diritto e Rovescio è tornato a proporre l'introduzione del passaporto vaccinale come «strumento di garanzia» tanto dei clienti quanto del personale.

Lo chef Carlo Bresciani

Il presidente di Fic Promotion Srl (Federazione italiana cuochi) e membro di Euro-Toques Italia rilancia un'idea supportata in prima battuta da Italia a Tavola e che permetterebbe alle persone vaccinate di poter iniziare il ritorno alla sospirata normalità: cinema, teatro, ristorante alla sera, palestra, viaggi. Proposta che ha avuto anche il benestare dell'Unione europea ma che incontra ancora qualche ostacolo. D'altronde, se Bruxelles ha aperto alle proposte dei singoli stati (comprese quelle italiane di Luca Zaia e Vincenzo De Luca), quest'ultimi gestiscono autonomamente la propria strategia sanitaria. Passaporto vaccinale compreso, «che farebbe bene anche al turismo», rincara Bresciani.

Come è andata la prima settimana in zona gialla? Che aspettative per San Valentino?
Premesso che la mia attività non è proprio alla portata di tutti, la clientela ha risposto molto bene nei weekend. Durante la settimana la richiesta è ancora scarsa, ma quando c’è un occasione allora c’è pienone. È il caso di San Valentino, che quest'anno cade di domenica e ha sostanzialmento spinto le prenotazioni già dai primi giorni di riapertura. Attualmente, l'Antica Cascina San Zago può ospitare fino a un massimo di 180 coperti, ma mi sono fermato a 100: voglio dare un certo senso di tranquillità ai miei clienti.

In tv ha rilanciato l'idea del passaporto vaccinale. Che benefici potrebbe portare alla sua attività?
Sono estremamente favorevole all'introduzione del passaporto vaccinale. Non penso sia uno strumento discriminatorio, ma una sorta di assicurazione, una garanzia di tranquillità e serenità. Il cliente che entra nel mio ristorante, deve poter pranzare in sicurezza. Un aspetto che sarebbe difficile garantire se, al tavolo affianco, fosse seduta una persona che sappiamo essere non vaccinata. Lo stesso ragionamento vale anche per i miei dipendenti. Devono essere garantiti che, nell'eseguire il proprio lavoro al meglio, non si debbano anche preoccupare di un possibile contagio in sala o in cucina. La paura di ammalarsi, d'altronde, è legittima. Ma dobbiamo darvi una risposta. Inoltre, il passaporto vaccinale farebbe bene anche al turismo, che rappresenta un driver per le attività di ristortazione.

In che senso?
Con il passaporto vaccinale potremmo tornare a viaggiare. E così potrebbero farlo anche i turisti stranieri che vengono in Italia anche per la cucina, per una serata al ristorante. Negli Usa ci sono già 30 milioni di vaccinati, Israele è già arrivato a coprire la quasi totalità della popolazione e l'Italia viaggia verso i due milioni di vaccinati. Di questo passo, attraverso il passaporto vaccinale, pormetteremo a un bacino potenziale di clienti di tornare nei nostri locali. Infine, ci tengo a ricordare che, di fatto, un passaporto vaccinale già c'è. Quando si prenota un viaggio per il Sud Est Asiatico, per esempio, la prima cosa da fare è il vaccino contro la febbre gialla. E nessuno obbietta, altrimenti non sarebbe possibile partire e godersi la vacanza.

L'intervento di Carlo Bresciani a Dritto e Rovescio a favore del passaporto vaccinale (Fonte: Facebook)

Eppure la campagna vaccinale italiana sembra andare a un ritmo altalenante.
È indispesnabile che la campagna vaccinale vada spedita. Devono vaccinare 24 ore al giorno, tutti i giorni e in qualsiasi situazione. Io sono un cuoco e quando sono impegnato in certi eventi non guardo quante ore lavoro. So che devo portare a casa un risultato e faccio tutto quello che serve per raggiungere l’obiettivo. Anche lavorare 12 ore se serve. Mi aspetto lo stesso anche per le vaccinazioni.

Più persone vaccinate significa anche meno spese in termini di sicurezza?
Direi di sì. Più si alza la percentuale di persone vaccinate e meno c'è bisogno di spendere per la gestione della sicureezza del locale. Ad oggi, per l'Antica Cascina San Zago, abbiamo speso più di 10mila euro per la messa a norma del ristorante. Abbiamo preso dispenser in stile, utilizziamo lo ionizzatore, ecc. Insomma, non abbiamo elemosinato. Ma d'altronde non avevamo scelta: non ci possiamo permettere di richiudere un’altra volta altrimenti il business non è più sostenibile.

Dopo San Valentino, Pasqua è da segnare con il circolino rosso sul calendario.
Sì, le festività pasquali possono rappresentare la svolta per il settore. In primo luogo, se arrivassimo così, in zona gialla, a Pasqua vorrebbe dire che siamo riusciti a tenere sotto controllo l'epidemia durante i mesi precedenti riuscendo anche a lavorare, nonostante le limitazioni. In secondo luogo, da Pasqua in poi, anche grazie a un clima più mite, potremmo tornare a utilizzare le terrazze, i dehors e tutti gli spazi all'aperto, così come è stato la scorsa primavera-estate. Certo, se anche solo un dipendente si ammalasse, dovremmo chiudere temporaneamente e rallentare l'attività con il rischio di mancare una grossa opportunità per fare cassa.

Rispetto alla fine dei precedenti lockdown, come ha ritrovato stavolta i clienti?
Un po’ di differenza nell'approccio al ristorante, al magiare fuori casa c'è. Lo scorso anno, all'indomani della fine del primo lockdown, c'era maggiore spensieratezza. Il periodo peggiore sembrava alle spalle e la prospettiva dell'estate favoriva una certa distensione. Stavolta ho notato clienti più attenti rispettoso delle distanze. Le richieste che ora ci arrivano, infatti, sono sempre per un posto in una sala più grande, oppure per un tavolo più appartato, decentrato, lontano dagli altri commensali. In ogni caso questo non influisce sulla voglia e il desiderio dei clienti di sedersi e fare un pasto completo. Si vede che vogliono proprio godersi il cibo.

Sarebbe pronto ad accogliere i clienti anche alla sera?
Assolutamente sì. Ma diciamo pure che una grande differenza fra pranzo e cena sostanzialmente non esiste. Il contatto al ristorante avviene solo in certe determinate occasioni alla fine di un evento, durante un drink in piedi. Tutte cose che ora, da protocollo, non si possono fare. Su questo tema, però, ho anche una proposta alternativa.

Prego.
Il pensiero che mi assilla è perché lo Stato abbia stabilito che tutti i ristoranti sono uguali. Ma non è così. Per caratteristiche, posizione, clientela tipo i ristoranti potrebbero dividersi in due: chi fa servizio a pranzo e chi fa servizio a cena. Potremmo quindi decidere di permettere a un locale di scegliere quali dei due servizi effettuare. Se sceglie la sera, non può aprire a pranzo e viceversa. In questo modo, le imprese potrebbero adattare meglio le limitazioni in atto alle proprie esigenze di business.

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Alberto Lupini


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