Bollicine perfette per infiniti abbinamenti, ma attenzione alle mode...

La tendenza a trasformare molti vini in spumanti sta dilagando sul mercato, ma i risultati non sono così soddisfacenti. Produrre vini come Prosecco e Champagne richiede cultura e conoscenza

12 maggio 2022 | 11:30
di Marco Reitano

Negli ultimi 15 anni il mercato dei consumatori di vino è stato inondato da una vera e propria tempesta di anidride carbonica. Improvvisamente, produrre un vino spumante, per tantissime case vinicole è sembrata una scelta quasi obbligata. In realtà l’obbligo non c’era, possiamo piuttosto parlare di “moda” e/o “richiesta di mercato”. Era in effetti inevitabile che il successo planetario di vini come Champagne e Prosecco (ad esempio) sfociasse in un vero e proprio contagio, alimentando richiesta e offerta di “bollicine", e catturando sempre più l’attenzione dei produttori vitivinicoli.

 

Lo spumante non è per tutti

Siamo stati così sommersi da centinaia di etichette “gassate”, assistendo in particolar modo ad un impiego “nuovo” dei nostri vitigni autoctoni, da nord a sud Italia, isole incluse. Questa ventata ha colpito anche me che, travolto dall'avvento di spumanti, mi sono maggiormente documentato e cimentato nell'assaggiare tantissimi prodotti della tipologia, e a dire il vero, senza particolari o entusiasmanti sorprese. La spumantizzazione di qualità, nelle sue diverse sfaccettature, è una pratica per vini da uve di territori particolarmente vocati, ed è virtù della maestria di cantinieri specializzati, esperti.

Insomma, se fino a ieri hai fatto vini fermi, improvvisarsi “spumantizzatore" non è propriamente l'idea migliore. Esiste infatti una consolidata cultura della tipologia, fatta di luoghi d’origine, di vitigni performanti per qualità, e da pratiche di cantina secolari, sia in Italia che all’estero. Detto questo, sono sempre attratto dalle novità, dall'evoluzione del gusto e delle produzioni che cambiano. In definitiva, sono convinto che ci vorrà ancora qualche anno per verificare il vero potenziale (se c’è) di spumanti da vitigni quale il Sangiovese in Toscana, Il Negramaro in Puglia, o il Bombino nel Lazio, solo per citarne alcuni.

Il potenziale è ampio

Nello spirito di valorizzazione del nostro territorio poi, non confido affatto nel successo (per fare un esempio) di vini spumanti elaborati da uve Nebbiolo magari incautamente sottratte alla produzione di eccellenti vini rossi quali il Barolo. Certo è vero anche che il consumo di questi nuovi spumanti è perlopiù relegato al mercato locale, regionale, di prossimità all’azienda. Sono vini “facili” da consumare agli aperitivi con gli amici al bar; durante eventi quali matrimoni o cerimonie in generale, col vantaggio comune del prezzo modico.

Molti produttori comunque, esportano la quasi totalità della produzione verso mercati esteri dove, senza preoccuparsi troppo della provenienza geografico/regionale sono richiesti vini “spumanti” o “simili al Prosecco” e, a basso costo. Per quanto riguarda le carte dei vini dei ristoranti più curati invece, si riscontra di certo anche qui un’attenzione crescente verso le bollicine. La versatilità della tipologia in abbinamento alla gastronomia moderna è un aspetto vincente: il crescente consumo di vini spumanti a tutto pasto ne è la riprova. 

Parliamo ovviamente di locali dove c’è sempre stata attenzione nel selezionare i vini, e che offrono un numero di etichette superiore alla media. Su queste carte si consolidano le regioni viticole come la Champagne o la Franciacorta che, crescono nel numero di etichette presenti. Sono affiancate comunque da novità/produttori (perlopiù di metodo Classico), di aree viticole nuove (è il caso del sud Inghilterra), o di aziende dedite al 100% alla spumantizzazione in aree più vocate/fresche, come sull'appennino o in Sicilia (è il caso dell’Etna). Da segnalare poi come la corrente bollicine abbia appassionato molti ristoranti che ne hanno fatto carattere distintivo della propria offerta, relegata esclusivamente a questa tipologia. 

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Alberto Lupini


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