A pochi giorni dall’Assemblea annuale della Fic, la Federazione italiana cuochi, che si terrà a Milano lunedì 14 e martedì 15 aprile, il presidente Rocco Pozzulo affronta le problematiche principali che si trova ad affrontare una professione che è ancora in attesa di essere riconosciuta come usurante, ma che deve fare i conti anche con una preoccupante carenza di personale a causa di scarsi riconoscimenti economici, ma soprattutto di una difficoltosa conciliazione lavoro-vita privata. E anche le scuole di formazione si trovano a dovere fare i conti con diverse criticità, a cominciare dalla carenza di materie prime da impiegare negli istituti.
Assemblea Fic, Pozzulo: la cucina del futuro
Partiamo dall’Assemblea di Milano: cosa c’è all’ordine del giorno?
L’Assemblea annuale è un appuntamento fondamentale per l’approvazione del bilancio e delle attività associative. Ogni iniziativa comporta spese e ricavi, ed è quindi necessario approvare il bilancio per garantire la continuità della vita associativa e organizzare al meglio le attività, affrontando anche temi come il tesseramento e altri aspetti operativi. Quest’anno, però, l’assemblea si arricchisce di nuovi contenuti, grazie alla partecipazione di ospiti esterni che contribuiranno al dibattito. Il focus sarà sul futuro della cucina e sul ruolo dei giovani cuochi, un tema che ci sta particolarmente a cuore, soprattutto in ottica di ricambio generazionale. Tutto questo nasce da una riflessione sul momento storico che stiamo vivendo, caratterizzato dalla crescente difficoltà nel reperire personale. Sempre più persone, soprattutto tra i più giovani, mostrano disinteresse nel proseguire in questo mestiere, spesso scoraggiate dai ritmi intensi, dagli orari di lavoro e dall’impegno richiesto in cucina.

Rocco Pozzulo, presidente Fic
È un problema dei giovani?
Molti dicono: “L’abbiamo fatto anche noi”, e io stesso per 15 anni ho lavorato 18 ore al giorno. Ma oggi i giovani, giustamente, rivendicano anche il diritto a una vita privata. Sempre più ragazzi scelgono di lavorare con turni unici di 8 ore, e poi tornare a casa. È una scelta legittima, perché non è detto che per essere cuochi o cuoche si debbano sacrificare completamente le relazioni sociali. Pensiamo, ad esempio, al classico giorno libero del lunedì: con chi può passarlo un cuoco? Solitamente solo con altri colleghi, perché gli amici che lavorano in altri settori sono tutti impegnati. È solo un esempio, ma rende l’idea. L’obiettivo deve essere proprio questo: rendere la vita dei professionisti più equilibrata, permettere loro di mantenere rapporti sociali al di fuori della cucina e vivere una quotidianità più sostenibile.
C’è anche un fattore economico in questo?
Attualmente, molte persone non si avvicinano alla professione per vari motivi. Inoltre, c'è chi, ahimè, utilizza malissimo le persone, e i giovani in particolari. I cuochi un tempo venivano pagati in un certo modo, mentre oggi la situazione è diversa. Il problema principale è che, a causa del Covid, molti cuochi hanno lasciato la professione per dedicarsi ad altre attività, spesso meno remunerative, ma che garantiscono almeno la possibilità di tornare a casa la sera. È evidente che un’infermiera non sta a casa la domenica, ma perché, in un contratto, non si può prevedere che anche un cuoco possa avere un sabato libero ogni tanto per uscire e godersi la cosiddetta "pizza del sabato" con gli amici? La questione centrale è proprio questa. E se parliamo di stipendi, se si interroga il nostro settore, la questione non riguarda solo un minimo salariale: il cuoco è un professionista, come un medico o un altro esperto. Il valore professionale del cuoco dovrebbe corrispondere al costo richiesto per la sua competenza, e dovrebbe essere lui a gestire il proprio percorso. È vero che fattori come la parte economica potrebbero incidere, ma, in questo momento, ciò che le persone cercano davvero è una condizione di lavoro che permetta loro una vita più equilibrata.
Assemblea Fic, Pozzulo: a rischio la tradizione della cucina italiana
Cosa può fare la Fic in merito?
Il nostro presidente onorario, Enrico Crippa ha iniziato a concedere tre giorni liberi alla settimana al suo personale. È chiaro che lui, avendo un tre stelle, può permettersi di chiudere il ristorante per alcuni giorni. In alcune strutture, come ad esempio a Roma, i nostri associati lavorano in grandi catene alberghiere dove si fa il turno unico. In questo caso, può capitare che abbiano sabato e domenica liberi. Con questo sistema, riescono a fare un turno e poi tornano a casa, con una rotazione che garantisce due giorni liberi a settimana. E in questo caso, la rotazione può anche includere il sabato e la domenica, in quanto c'è un'alternanza. Ovviamente, questo richiede che il ristoratore o l'albergatore assuma più personale, e qui entrano in gioco le politiche del governo. Ho chiesto personalmente al capo di gabinetto della premier Giorgia Meloni di considerare un aiuto da parte dello Stato, come l’abbassamento del costo del lavoro. Questo permetterebbe ai ristoratori di assumere più personale e di garantire condizioni migliori per chi lavora, perché altrimenti, con il costo del lavoro elevato, non sarebbe possibile mantenere il personale.
È a rischio anche la tradizione della cucina italiana?
Da Roma in su, gran parte del personale in cucina è extra-comunitario. Non sono razzista, io stesso ho studenti extra-comunitari nelle mie scuole, che sono ben integrati e che guadagnano stipendi dignitosi nelle cucine. E questo è positivo! Tuttavia, mi chiedo: chi racconta la vera storia della nostra cucina? Chi conosce la cultura gastronomica italiana e la sua tradizione, come ad esempio la vera storia della cotoletta alla milanese? Il futuro della cucina è questo, e ci preoccupiamo molto di come cambiano le cose. Ma oggi, cosa mangiano i giovani? Le nostre nonne e mamme non ci saranno più, e ci si chiede: cosa accadrà alla nostra tradizione gastronomica? Non vogliamo entrare in discussioni politiche, ma è importante comprendere che non si può più chiedere a un cuoco di lavorare 15 ore al giorno, dicendo: "Stai qui in cucina, lavora e poi vai a casa". Alcuni potrebbero dire che chi vuole fare carriera deve sacrificarsi, lavorare con passione e dedizione. Ma dicono: "A vent'anni, i miei amici vanno al mare e io sono in cucina. Voglio anch'io avere la possibilità di uscire con gli amici, di stare con la famiglia o semplicemente di passare del tempo da solo". È una questione di equilibrio e di vita privata. Il vero punto è questo. Ovviamente, chiediamo ai giovani di impegnarsi, di avere talento, passione, umiltà e la voglia di apprendere. Però, i tempi in cui noi abbiamo iniziato sono diversi da quelli odierni. Noi abbiamo fatto enormi sacrifici, ma oggi il giovane non è più disposto a seguire lo stesso percorso e chiedono: "Non mi interessa com'era prima, cosa ci proponi oggi?".
Assemblea Fic, Pozzulo: è ora che quella del cuoco venga riconosciuta come professione usurante
Quanto è stringente la necessità di veder riconosciuta la professione come usurante?
Durante l’assemblea di Milano, avremo in videocall il presidente dell’Inail. Abbiamo portato tutta la documentazione e creato anche un video che presenteremo ufficialmente più avanti riguardo al lavoro svolto. Abbiamo richiesto un tavolo tecnico all'Inail per approfondire la situazione attuale, incluse le problematiche relative alle malattie professionali, in particolare lo stress in cucina. Lo stress in cucina, infatti, non è dovuto solo alla mole di lavoro, come alcuni potrebbero pensare, ma è una condizione legata alla professione. Attraverso i nostri studi, abbiamo evidenziato che lo stress in cucina si verifica principalmente durante il servizio, non tanto a causa della passione che c'è nel lavoro, ma per l'intensa concentrazione richiesta nelle ore di punta, quando si devono servire i clienti, impiattare e svolgere altre operazioni. Abbiamo analizzato anche l'impatto su aspetti come l'apparato dentario, il sistema vascolare, e altri fattori legati allo stress, e speriamo che questi studi possano essere utili. Abbiamo contattato il presidente dell'Inail e siamo riusciti a farlo intervenire in assemblea, per capire cosa si può fare concretamente. In questo momento, lo Stato e le istituzioni sono poco reattive. Il nostro obiettivo è portare avanti la nostra causa con un documento pronto e chiedere allo Stato se riconosce o meno queste problematiche. Nonostante abbiamo documentazione ufficiale, fornita non solo dalla Fic, ma anche da medici, ospedali e altri esperti, lo Stato ha dato risposte insufficienti su questo tema. Riguardo alla parte economica, capisco anche le difficoltà. Se noi diciamo che i cuochi, in base alla documentazione inviata e che hanno a disposizione, devono anticipare tre anni per la previdenza, questo comporta un aggravio per il sistema previdenziale. Non è che non lo comprendiamo. Tuttavia, interventi simili sono stati fatti per altre categorie, come gli insegnanti e altri professionisti.

Quella del cuoco è una professione che va riconosciuta come usurante
Un primo passo era stato il riconoscimento della professione di cuoco.
Parliamo di una categoria importante, che ha un valore rilevante nel panorama italiano, non solo per il PIL nazionale, ma anche per l'economia che ogni giorno produciamo - pensiamo ai fornitori, a chi vende, alle tasse pagate - è possibile che lo Stato non riesca a comprendere la reale gravità del settore? Questo è un tema politico, devono intervenire. Qual è il futuro che la politica prevede per la ristorazione? Stiamo parlando di persone che hanno il compito di far ingerire un prodotto, e a chi lo affidiamo? Anche la certificazione che abbiamo creato è in linea con questa necessità. Non è interessante fare inquisizioni, ma è fondamentale comprendere che chi manipola il cibo deve essere consapevole dei reali pericoli che può causare, se non segue le tecniche e le modalità corrette di preparazione, rigenerazione, abbattimento e così via. Questo è ciò che vogliamo promuovere.
Assemblea Fic, Pozzulo: mancano le materie prime a scuola
In questo scenario, come stanno le scuole di formazione?
Secondo me c'è tanto da cambiare. Noi ci lamentiamo da tempo, ma sembra che sia una questione personale per noi, cuochi, visto che le ore dedicate alla nostra materia sono sempre poche. Lo Stato continua a lottare per creare posti di lavoro, ma se un ragazzo si iscrive a un istituto alberghiero, dovrebbe poter lavorare in maniera seria. Il primo problema che affrontiamo a livello nazionale è che grazie al PNRR sono state rinnovate le attrezzature, ma non abbiamo i soldi per acquistare le materie prime. Ogni giorno combattiamo con questo. Abbiamo anche parlato con il Ministro Valditara di questo problema. Noi, come Federazione Cuochi, abbiamo detto che bisogna affrontare la situazione. Su questo c’è una tassa da pagare di 120 euro: 20 euro obbligatori che vanno allo Stato e 100 facoltativi. La domanda è: se vado in un negozio di telefonia e un telefono costa 500 euro, ma posso prenderlo gratis, chi lo pagherebbe? La realtà è che oggi metà degli studenti non versano la quota, con tutte le difficoltà che ne derivano: mancano risorse economiche per acquistare materiale. Abbiamo acquistato una temperatrice per il cioccolato, ma non abbiamo il cioccolato per usarla. Questo è un problema serio per la formazione, oltre alla riduzione delle ore di lezione e alla diminuzione delle ore pratiche, che sono fondamentali. L'italiano è importante, lo studio dell'inglese anche, ma la formazione pratica e l'insegnamento delle tecniche è cruciale. Noi abbiamo chiesto al Ministro di rendere obbligatoria una tassa di 100 euro per l'acquisto delle materie prime, ma ci è stato detto che non si può fare per ragioni di opportunità politica. Ma un ministro dovrebbe anche fare scelte impopolari.

Nelle scuole di formazione per cuochi spesso manca mancano le materie prime
Cosa si dovrebbe fare per rendere attrattive le scuole di formazione?
La cucina ha un enorme valore sull'impatto turistico, visto che ogni anno arrivano tanti stranieri che mangiano nei nostri ristoranti. Ma a chi affidiamo la cucina? A persone non formate, non professionali? Questo è un aspetto che dobbiamo affrontare seriamente, ma sembra che nessuno voglia capirlo, o forse non ci sono risorse economiche. Ma come è possibile che lo Stato non riesca a trovare 16 milioni di euro per dare risorse agli istituti alberghieri per l’acquisto delle materie prime? Diventa difficile pensare che questo settore sia veramente considerato importante. Il segnale che arriva è molto negativo. La realtà è che tutti cercano di andare avanti come possono, ma sarebbe giusto fermarsi e riflettere sul futuro della cucina italiana, su dove vogliamo arrivare e cosa vogliamo fare. Un giovane che si iscrive a un istituto alberghiero ha l'idea di fare il cuoco, ma se sapesse che il suo lavoro è riconosciuto come usurante, questo gli darebbe un forte incentivo. Significa che sta scegliendo una professione che ha un riconoscimento importante e che gli permetterà anche di gestire la sua vita privata in futuro. Questo è un aspetto fondamentale. Chiaramente, un giovane che si iscrive a questa scuola spera anche di diventare un grande chef, come Carlo Cracco, che è nostro associato e amico. Il talento e la passione sono decisivi, ma c’è anche un altro aspetto: una scuola adeguata. Le attrezzature ci sono, le esercitazioni pratiche sono possibili, ma servono orari giusti per le tecniche e per la parte teorica. Un giovane si iscrive all’alberghiero principalmente per questo, per formarsi nella sua professione. Cosa succede però alla formazione dei docenti? Si dà più importanza a corsi di computer, che sono utilissimi, ma ci si chiede mai se sarebbe utile che si facesse esperienza direttamente in un ristorante? Questo è un aspetto fondamentale.

C’è anche un problema legato agli studenti che, terminati gli studi, non esercitano la professione?
Il dato nazionale ci dice che solo il 13% degli studenti che si iscrivono nelle quattro materie tecnopratiche - cucina, sala, bar e ricevimento - continua nella professione. È una percentuale molto bassa, soprattutto perché oggi la professione non è più così attrattiva. C’è stato anche un calo dovuto al fatto che molti si iscrivevano agli istituti alberghieri sperando di diventare cuochi televisivi, ma non è così. Per arrivare a quel livello, bisogna avere davvero qualcosa da raccontare e costruire una carriera. La realtà è che molti si iscrivono all'alberghiero come scuola di passaggio, proprio perché è una scuola dell’obbligo. I ragazzi completano i loro cinque anni, ma non ci sono stimoli. Bisogna rendere l’alberghiero una scuola più attraente, con più risorse e opportunità, per aumentare la percentuale di quelli che effettivamente continueranno nella professione. Oggi la cucina è una delle materie con la percentuale più alta, ma anche in questo settore c'è molto da fare.