Un altro chef, dopo Matteo Baronetto a Del Cambio e Marcello Trentini a Magorabin, lascia il mondo del fine dining a Torino. Dopo tre decenni di carriera e un locale diventato punto di riferimento nel capoluogo piemontese, Nicola Batavia chiude le porte del ristorante Birichin e del bistrot The Egg. Una scelta radicale, dettata non dalla fatica o dal calo di ispirazione, ma da una decisione personale: quella di mettere la famiglia - e in particolare il figlio Vittorio - al primo posto. Dopo 32 anni, cala così il sipario su uno dei ristoranti simbolo della scena gastronomica torinese.

Lo chef Nicola Batavia chiude il Birichin: addio al fine dining dopo 32 anni
«È una scelta di vita. Un cambiamento che sentivo di dover fare. Ho vissuto tante vite in tanti luoghi nel mondo. Ora ho deciso che il mio posto, nei prossimi anni, sarà il più vicino possibile a mio figlio. Ho venduto il locale a due ragazzi, qui faranno pizze gourmet. Mio figlio Vittorio ha dieci anni. Sono diventato padre tardi, di anni ne ho 58 e non voglio perdere tempo. Quando lo racconto agli amici mi dicono "fai bene, per la carriera non ho visto crescere i miei"» ha raccontato Batavia al Corriere della Sera.
Batavia lascia Torino: «Non voglio più perdere un attimo della vita di mio figlio»
Birichin, in via Monti 16, ha segnato una parte importante della storia recente della ristorazione torinese. Con The Egg, nato dall'iconico piatto “Uovo, fonduta, patata, nocciola e cacao”, Batavia aveva affiancato al ristorante un bistrot più informale, ma sempre riconoscibile per stile e filosofia. Ai suoi tavoli, in oltre trent'anni, si sono seduti personaggi del calibro di Silvio Berlusconi, Sergio Marchionne, Lucio Dalla, Giorgio Panariello, Jovanotti, Renato Zero, gli Elkann, i Lavazza, molte star della Nike e persino Kobe Bryant.
Ma ora, dopo anni passati tra Torino e Milano - dove vive e lavora la sua compagna - Batavia ha deciso di dire basta ai continui spostamenti e di cambiare completamente ritmo: «Se mi spaventa questa scelta? Certo, a volte ci penso, ma è proprio per questo che ho venduto il locale, per poter tagliare il ponte, prendere una decisione definitiva. Se vendere e traslocare è un lutto, io ne vivo due. Perché ho venduto anche la mia casa di Moncalieri: in due settimane sposto prima le cose del ristorante e poi l'appartamento. Ho quasi 59 anni, il Birichin è sempre stata la mia creatura fino a quando, 11 fa, appunto, ebbi la fortuna di diventare padre di Vittorio. La mia compagna vive e lavora a Milano e io, per tutto questo tempo, ho viaggiato» ha spiegato.

Addio al Birichin: Batavia lascia Torino e il suo ristorante per la famiglia
Oggi Batavia guarda avanti, consapevole della portata della sua scelta, ma anche convinto di voler essere presente nella quotidianità di suo figlio: «Non voglio più perdere un attimo della vita di Vittorio e, finalmente, ho deciso di trasferirmi. Lui è la mia vita. Torno a Milano, in questi giorni faremo tante feste per salutare gli amici e i clienti affezionati. Poi sarò qui da turista, Torino è una città splendida se non devi lavorarci. E fra qualche anno vedremo» ha detto.
Nicola Batavia continuerà a seguire consulenze internazionali
Non si tratta però di un addio totale alla cucina: Batavia continuerà infatti a seguire consulenze internazionali, tra Francia e Dubai, e sarà coinvolto anche nei progetti legati alle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026. Ma per ora, la priorità è un'altra: «Ora cercherò di riposarmi un attimo e continuerò a gestire le mie consulenze per il mondo, dalla Francia a Dubai e, soprattutto, cercherò di passare più tempo possibile con mio figlio andando a prenderlo a scuola e portandolo a giocare a pallone. Prendo una pausa, ho ancora tante cose in ballo nel mondo. E tanti impegni, anche le Olimpiadi». Insomma, una scelta che chiude un capitolo importante della ristorazione torinese, ma apre una nuova pagina, tutta personale, nella vita di uno chef che ha sempre fatto a modo suo.
Torino e i ristoranti: una città in fase di cambiamento
La decisione di Nicola Batavia, come annunciato ad inizio articolo, non è isolata e arriva a poche settimane dagli annunci di Matteo Baronetto, che ha lasciato lo storico Del Cambio dopo dieci anni, e di Marcello Trentini, che ha chiuso Magorabin dopo 22 anni di attività. Tre uscite di scena importanti, tre figure simboliche del fine dining cittadino che scelgono di voltare pagina. Tre storie diverse, ma che raccontano la stessa sensazione: qualcosa si sta chiudendo, e qualcos'altro - ancora difficile da definire - sta prendendo forma. Intanto in città si moltiplicano i segnali di un cambiamento più ampio. Si parla di un calo delle presenze nei locali, soprattutto nelle zone di piazza Vittorio e San Salvario, con percentuali che si aggirano attorno al 30-40%. Diversi ristoranti e bar sono stati messi in vendita, mentre in parallelo cresce il dinamismo sul fronte imprenditoriale, con acquisizioni, ristrutturazioni e nuove aperture che stanno ridisegnando la mappa.

Matteo Baronetto ha lasciato lo storico ristorante Del Cambio dopo dieci anni
Il gruppo Gerla 1927, ad esempio, continua ad espandersi: dopo aver rilevato lo storico bar Dezzutto in via Duchessa Jolanda, ha messo le mani anche su La Pista al Lingotto, Platti in corso Re Umberto, il centralissimo Caffè Norman e altri locali storici del panorama cittadino. A muoversi c'è anche il gruppo Suki Sushi e Fusion, mentre Maison Capriccioli ha riaperto in via San Domenico con la cucina firmata da Christian Mandura e Andrea Turchi, in un progetto che guarda al Mediterraneo con tecnica francese. Si parla anche di nuove aperture tra le Langhe e il quartiere Vanchiglia.
Cresce, poi, Torino Society, realtà fondata a fine 2022 con l'ambizione di diventare un riferimento nell'hospitality di fascia alta. Tra i locali già in portafoglio ci sono il Monferrato 1820, FraTò, Esca, Wallpaper e la pasticceria Beatrice, rilevata da poco. A guidare le cucine c'è Federico Allegri, con un team che include nomi già noti come Stefano Bartolomei e Federico Francesco Ferrero. Anche la cantina Damilano, da anni attiva nella ristorazione, continua a investire nel settore: dopo il pastificio Defilippis e il bar Zucca, ha riaperto Il Gramsci e guarda a nuove operazioni in arrivo nei prossimi mesi. Insomma, Torino cambia, e con lei anche il modo di vivere la ristorazione. Meno ritualità, forse, più fluidità. Meno centralità del fine dining, più attenzione a nuovi format e a modelli sostenibili.