Scemato quello sull’aumento delle utenze (ma a breve ne sentiremo parlare nuovamente), qual è il lamento ricorrente dei ristoratori? Eccolo, è questo qui: “Non si trova personale”. Quanta demagogia in questa affermazione. Verrebbe da dire, saggiamente. sapendo che a volte un pizzico di facezia non guasta: “Chi cerca trova; quindi, cerca bene e vedi che trovi”. Il punto è proprio qui. Siamo sicuri che il ristoratore sa chi, come, dove, perché (sì, anche perché) e quando cercare? Quanto ben più vicino alla soluzione del suo problema sarebbe il ristoratore se umilmente, con la disciplina dell’approccio serio e meditato, previa analisi dello scenario, quelle domande se le ponesse per davvero e ad esse cercasse risposte efficaci e razionali.
Quando la domanda diventa offerta
Proviamo a fornire spunti di riflessione toccando un punto che, non a torto, è ritenuto cruciale sia per chi domanda (il ristoratore domanda prestazione di lavoro) e chi offre (il lavoratore offre competenza). Un momento, ma questa è svolta copernicana: aiuto; ma cos’è? Adesso l’offerta è quella della persona provvista di skills e la domanda è quella del datore di lavoro? Ma allora questo datore di lavoro è diventato un cacciatore di skills? Sembrerebbe proprio di sì.
Il datore di lavoro è diventato un cacciatore di skills
Forte è lo stupore al cospetto di questa commutazione di ruoli: la domanda che diviene offerta e l’offerta che diventa domanda. E però poi - della serie “in che mondo viviamo” - ci si adegua e, tornando al supposto punto cruciale, il buyer di skills, tra sé e sé si dirà: “E va bene, si tratta di pagare un po’ di più; mi sono convinto, io in sala voglio camerieri motivati e lo stesso dicasi per la brigata di cucina. Pago qualcosina in più e così, ne sono certo, li motivo”. Errore, errore grave! Talmente grave da fungere da innesco, sorta di effetto valanga, ad una serie di errori successivi.
Quando i soldi non bastano
Si tratta di prendere atto che i soldi, da soli, non motivano. I soldi sono ben capaci di demotivare allorquando sono percepiti come “pochi”, ma non sono mai bastevoli a motivare. Repetita iuvant: i soldi da soli non motivano: anzi, laddove percepiti come “pochi”, demotivano. E allora si tratta di manovrare altra leva che abilita la motivazione e non vi è contraddizione nel notare che in essa sono comunque presenti i soldi, però inseriti in meccanismo ben diverso dalla “busta paga”.
La leva dello schema incentivante
La leva la definiamo “schema incentivante”. Nella terza decade di ogni mese (il mese è lasso temporale indicativo quanto semplice, in alternativa si può pensare al bimestre) il ristoratore ha una riunione con i suoi collaboratori e comunica loro l’obiettivo di “scontrinato” del mese (bimestre) venturo. Abbiamo gioco qui, per mera facilitazione espositiva, a parlare di 100. 100 inteso come numero base, ovviamente. Insomma, non è che stiamo parlando di 100 euro. Dunque, il patron sa esporre, validamente argomentando, il motivo che induce a ritenere cento l’obiettivo di scontrinato del mese/bimestre venturo: obiettivo quantitativo ardimentoso, ma non velleitario. Alla fine del mese/bimestre piò accadere che l’obiettivo cento non sia stato raggiunto e allora suona il warning, un campanello d’allarme. Qualcosa non va. Sono problemi del patron ma non è che costui abbia proibizione a parlarne con i suoi collaboratori, tutt’altro. Secondo caso: si è raggiunto proprio l’obiettivo. Evviva siamo stati accorti e bravi. Un brindisi, più o meno letteralmente un brindisi, ma nulla di più. In fondo, abbiamo fatto il nostro dovere: centrare l’obiettivo 100.
I soldi non bastano per motivare il personale
Ma può (deve) accadere una terza cosa: l’obiettivo cento è stato superato. Poniamo che sia stato raggiunto il numero 120. Che si fa? Quel 20 che è il surplus tra il conseguito e l’obiettivo viene scisso in due parti uguali. Una parte va al ristoratore e una parte viene suddivisa, secondo criteri chiari e noti, ai componenti della valorosa squadra. Ovviamente il fifty/fifty è mera esemplificazione. Saranno le circostanze e le valutazioni del ristoratore a stabilire il vero share di quel surplus, sommessamente suggerendo al ristoratore di essere “generoso”. All that is given is not lost, proverbio indiano sovente citato da Gandhi: tutto ciò che è dato non è perduto.
Quando gli obiettivi sono (anche) qualitativi
Nella stessa riunione, o in riunione dedicata, il patron comunica gli obiettivi qualitativi (il precedente è obiettivo quantitativo, si è detto). Sono obiettivi specifici che possono impattare quando solo sulla cucina e quando solo sulla sala; addirittura, anche sulla singola persona in funzione della mansione svolta. In questo caso viene facile pensare al sommelier: premio a fronte di quali (non solo quanti) vini proposti (e venduti). Altro esempio per il personale di sala, premio a fronte di scontrini in cui è presente anche la voce dessert. Non andiamo oltre in quanto solo di esempi si tratta ed essi non devono fuorviare i concreti intendimenti del patron circa gli obiettivi qualitativi che si sente di assegnare in funzione della sua specifica realtà. Quindi, a fronte del raggiungimento di questi obiettivi qualitativi, i collaboratori si mettono in tasca altri soldini?
Lavorare per obiettivi può essere una strategia vincente
Ma non si era detto che i soldi da soli non motivano? Vero, e difatti, qui parliamo di premi che, al netto di casi rari, non sono espressi da soldi, bensì in prodotti e/o servizi in qualche modo attinenti alla serenità e alla lietezza della persona, rivalutando quell’approccio olistico che pare stia dissolvendosi. Anche qui, meri esempi: due biglietti per il teatro; voucher per cena per due persone; buono carburante; voucher per spesa in libreria; iscrizione a seminari, e tanto altro ancora. Si pensi anche a punti la cui accumulazione porta poi ad un premio che il vincitore può scegliere nell’ambito di una sorta di catalogo amorevolmente approntato dal ristoratore.Ma sarà mica arrivata la Befana? Assolutamente no: non ne avremmo bisogno; anzi, sarebbe controproducente. Qui c’è semplicemente il ristoratore che sa e vuole guardare nel termine medio. Costui ha capito che la qualità dei suoi collaboratori è tra gli elementi di maggiore importanza ai fini del successo dell’impresa.
Quando il turnover frena la crescita
Questo patron ha capito che la qualità non solo attuale, ma anche potenziale, generata da un processo di crescita professionale, ha come prerequisito il rifuggire da elementi considerati ineluttabilmente transienti (questo sta un poco qui e poi se ne va). Un turnover che, quando va bene è del 45% e quando è in media è addirittura del 60%, equivale a guidare per centinaia di km con il freno a mano tirato. Una zavorra tremenda, uno spreco enorme di energia. Il lavoratore transiente è un costo che magari solo apparentemente appare essere basso e perciò sopportabile. Il lavoratore motivato comporta in apparenza un costo non propriamente basso ma nel termine medio (per tacere del termine lungo) diviene fattore che concorre significativamente a determinare il successo del ristorante.
Quando le domande sono giuste
“Non si trova personale”. Ma lo cerchiamo ponendoci nel ruolo della domanda o dell’offerta? “Non si trova personale”. Ma lo si cerca che costi poco (ma neanche i broccoli al mercato li cerchiamo secondo il criterio del basso costo) o lo si cerca ponendosi la domanda “quanto rende” piuttosto che la domanda “quanto costa”. Cacciatori di skills adeguate, e coerentemente a ciò: cacciatori adeguati di skills adeguate. Recruiter, ovvero “cacciatori di skills” non ci si improvvisa. Giusto per cominciare a cimentarsi, condizione necessaria ma non sufficiente, almeno ci si concentri e in onestà intellettuale, si risponda alle domande sopra riportate e qui appresso per comodità di lettura riproposte: chi, come, dove, perché (sì, anche perché) e quando cercare. È un buon inizio e, si sa, chi ben comincia…