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Il fine dining è morto? No, se punta sull'esperienza del cliente

Il fine dining è davvero morto? Il dibattito tra chef come Felice Lo Basso e Raffaele Alajmo riaccende la discussione sull'alta cucina tra costi elevati, formule troppo rigide e clienti in cerca di esperienze più flessibili. La soluzione sembra essere quella di rimettere al centro l'esperienza del cliente, ma ascoltando le sue esigenze e privilegiando la convivialità e la socialità

di Mauro Taino
Redattore
29 gennaio 2025 | 18:47
Il fine dining è morto? No, se punta sull'esperienza del cliente
Il fine dining è morto? No, se punta sull'esperienza del cliente

Il fine dining è morto? No, se punta sull'esperienza del cliente

Il fine dining è davvero morto? Il dibattito tra chef come Felice Lo Basso e Raffaele Alajmo riaccende la discussione sull'alta cucina tra costi elevati, formule troppo rigide e clienti in cerca di esperienze più flessibili. La soluzione sembra essere quella di rimettere al centro l'esperienza del cliente, ma ascoltando le sue esigenze e privilegiando la convivialità e la socialità

di Mauro Taino
Redattore
29 gennaio 2025 | 18:47
 

Il fine dining è morto. O forse no. A riaccendere il dibattito è stato lo scambio di battute - a distanza - tra Felice Lo Basso e Raffaele Alajmo. Il primo che ha chiuso il suo locale milanese proclamando il decesso del fine dining stesso, il secondo che crede che l'alta cucina, se declinata in un certo modo, con la convivialità e la socialità al centro, abbia ancora mercato. Ma, al netto dell'esemplificazione plastica delle due posizioni, il dibattito rimane aperto, ma puntando sulla soddisfazione del cliente ha ancora diverse carte da giocare. 

Lo Basso-Alajmo e la morte del fine dining

In un'intervista al Corriere della Sera, Lo Basso aveva annunciato la chiusura del suo ristorante stellato a Milano (Felix Lo Basso Home&Restaurant) e una nuova riapertura a Lugano. I costi degli affitti, i temi legati a sicurezza e trasporti, ma soprattutto al centro delle critiche di Lo Basso c'è un modello che non ritiene sostenibile: «Non c'è più una clientela italiana alto spendente, e manca anche quella straniera. A Milano - e in tutta Italia - non funziona l'alta cucina, funzionano i posti che fanno intrattenimento e basta. Guadagna solo chi non ha la stella, i ristoratori come me fanno una fatica pazzesca».

Il fine dining è morto? No, se punta sull'esperienza del cliente

Si è riacceso il dibattito sul fine dining

Lo Basso propone un unico menu degustazione, fisso e a sorpresa, a 230 euro per un massimo di 12 commensali, seduti ad un bancone. Un format che riproporrà anche a Lugano, ma con ulteriori opzioni: «Sarà uno spazio polivalente: bistrot con tre sale, aperitivi, eventi e un fine dining da 12 coperti come a Milano... altrimenti non ci si sta dentro, il fine dining e basta non si può più fare, è morto. Però almeno in Svizzera tutto funziona, la qualità della vita è alta, c'è capacità di spesa, c'è sicurezza».

Ma è proprio il format a non convincere un imprenditore come Raffaele Alajmo che gestisce - con il fratello e chef stellato Massimiliano - Le Calandre. «Se tu hai un locale con 12 posti al bancone - ha detto a Repubblica -, in cui tutti sono seduti in linea e mangiano la stessa cosa, è come se la clientela guardasse uno spettacolo: lì il soggetto è solo il menu, con l'esperienza gastronomica e chi la prepara. Si parla di un ristorante fatto e creato solo per chi desidera l'esperienza di cucina di Lo Basso, peraltro con gli alti costi che comporta. Se questo è il fine dining, beh sì è morto e deve anche morire. Il ristorante è un'altra cosa, deve poter dare dei servizi di accoglienza, di comfort, deve togliere degli obblighi: non puoi dover mangiare per forza alle 20 senza scegliere».

Fine dining: tra prezzi e menu

Lo Basso, però, non è l'unico stellato a chiudere. A Modica (Rg), lo chef Accursio Craparo ha chiuso il suo ristorante gourmet per puntare su un progetto più accessibile (Radici - L'Osteria di Accursio), mentre a Lecce, il ristorante Bros' ha invece optato per una "pausa creativa". Motivazioni e situazioni diverse, ma certamente tutti devono fare i conti con una capacità di spesa inferiore. Eppure, lo scoglio non sembra essere (solo) di tipo economico, anche perché Giancarlo Morelli ricorda: «I prezzi nel mondo della ristorazione vanno di pari passo al mondo che sta intorno, perciò un imprenditore non può di sicuro, per stare vivo, abbassare i prezzi: bisogna invece che si faccia una riflessione sul fatto che i salari sono rimasti fermi e il potere di acquisto è cambiato».

Il fine dining è morto? No, se punta sull'esperienza del cliente

L'esperienza al ristorante deve permettere la socialità tra i commensali

ll solo menu degustazione sta diventando sempre più limitante per i clienti, che desiderano maggiore libertà nella scelta dei piatti dello chef. Il rischio è che si sentano più ospiti che clienti, con un'esperienza vincolata e poco flessibile. «I soli menu degustazione - sottolinea Tommaso Arrigoni di Innocenti Evasioni a Milano - creano molti limiti al consumatore: non è una formula che può essere unidirezionale. In questo momento bisogna essere quanto più elastici possibili allargando la tipologia di offerta al massimo per raccogliere ogni esigenza: imporre il solo menu degustazione o solo un tipo di cucina farebbe chiudere la forbice».

Fine dining, una sostenibilità difficile

È anche vero che molti chef cercano di ampliare la propria offerta, senza limitarsi al solo ristorante di punta, sia esso stellato o meno e in questo caso non c'è solo l'esempio, virtuoso, di Da Vittorio che accanto al proprio tristellato di Brusaporto (Bg) propone una serie di alternative - catering incluso - dove poter entrare in contatto con la cucina proposta e che è arrivato ad essere il primo gruppo italiano per fatturato nel mondo della ristorazione.

Dare la possibilità di iniziare a sperimentare una proposta gastronomica, permette di avvicinare nuove fasce di clienti: dai giovani (con le sempre più numerose proposte per under 35, come ad esempio - ma è uno tra i molti - di Andrea Berton a Milano) a bistrot e affini che rappresentano una prima tappa per chi vuole avvicinarsi ad una cucina di eccellenza ad un prezzo più basso in una logica di “assaggiare per credere” prima di arrivare al locale di punta (per quanto la cucina non sia ovviamente la medesima), ma anche per chi si concede un piccolo lusso e non ha una grande capacità di spesa. Senza dimenticare i business lunch.

Fine dining, vince l'esperienza

E allora, per fare sopravvivere il fine dining, inteso nel senso migliore del termine, la chiave è quella di mettere al centro il cliente. «Quella di Lo Basso - dice Alajmo - è un tipo di interpretazione dell'alta cucina che è stata fatta e comincia a avere dei problemi. Se hai un pranzo d'affari in 4 e devi parlare o se vuoi conoscere una persona in una cena a due, non hai intimità, non funziona. Il ristorante è un luogo di socializzazione, dove ci si vuole rilassare: nella vita siamo pieni di obblighi, ma a tavola no: un locale che abbia solo due binari non va». Ma soprattutto, sono la convivialità e la socialità le componenti da preservare, perché permettono al cliente di investire il proprio tempo (e il proprio denaro) a fronte di un'esperienza che ha un valore in termini di piacevolezza durante il pasto.

Il fine dining è morto? No, se punta sull'esperienza del cliente

I business lunch possono rappresentare un'opportunità anche nel mondo del fine dining

Una ricetta che riguarda l'ambiente - che deve essere caldo, intimo e accogliente -, ma anche la proposta culinaria. «Il vero lusso oggi non è il caviale, ma la semplicità che ti regala emozioni», per usare un'espressione di Chicco Cerea. Anche perché, secondoArrigoni, «sembra che l'utente finale si sia un po' stancato del fine dining inteso come una proposta troppo ricercata». Spazio allora ad una cucina che è si ricercata, ma ancorata ai sapori della tradizione e che, sostiene Morelli, sia «concentrata sul territorio e abbia al centro il gusto e ciò che vuole l'ospite». In altre parole, quelle di Lucio Pompili, «bisogna invece tornare a far divertire la gente: i locali pieni sono quelli dove ci si diverte, quelli attrattivi e con cibo di qualità».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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