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Fine dining, il prezzo fa davvero la differenza?

Si riflette sullo stato di salute del fine dining e al centro del tavolo sono posti diversi argomenti: dalla proposta gastronomica a quella economica. Su questo ultimo aspetto e per capire se siamo davvero di fronte ad una crisi ecco cosa ne pensano chef di prim'ordine come Tommaso Arrigoni, Andrea Berton, Giancarlo Morelli, Luigi Pomata, Lucio Pompili e Daniele Zennaro

di Mauro Taino
Redattore
11 luglio 2024 | 05:00
Fine dining, il prezzo fa davvero la differenza?
Fine dining, il prezzo fa davvero la differenza?

Fine dining, il prezzo fa davvero la differenza?

Si riflette sullo stato di salute del fine dining e al centro del tavolo sono posti diversi argomenti: dalla proposta gastronomica a quella economica. Su questo ultimo aspetto e per capire se siamo davvero di fronte ad una crisi ecco cosa ne pensano chef di prim'ordine come Tommaso Arrigoni, Andrea Berton, Giancarlo Morelli, Luigi Pomata, Lucio Pompili e Daniele Zennaro

di Mauro Taino
Redattore
11 luglio 2024 | 05:00
 

«Cos’è il fine dining?». La provocazione, ma nemmeno troppo, porta la firma di una istituzione della cucina italiana come Giancarlo Morelli. Ma da qui parte una riflessione sul mondo dell’alta ristorazione che spazia dalle proposte in termini di menu fino a quelle di natura economica. E proprio su questo aspetto, occorre capire le motivazioni che portano a proporre i piatti e i menu degustazione - altro tema di grande attualità - ad un certo prezzo.

Fine dining, è vera crisi?

Sempre Morelli rilancia nell’inquadrare che tipo di ristorazione si intende per fine dining: «Se per fine dining parliamo di un posto, fosse anche una osteria, dove si mangia bene e si ha un grande servizio, allora da questo punto di vista non c’è nessuna crisi. È una storia che si ripete da quando c’è la ristorazione: ce n’è una compresa dalla maggior parte delle persone e una riservata a chi è disposto a vivere una certa esperienza». Lo chef, però, lancia un monito: «La ristorazione deve essere per tutti, ma è ingiusto parlare di crisi ed è sbagliato. Anche perché se va in crisi il fine dining, va in crisi il mondo della ristorazione perché trascina il movimento».

Fine dining, il prezzo fa davvero la differenza?

Lo chef Andrea Berton
 

Non lontana la posizione di Andrea Berton: «Il termine crisi non è correttissimo, ma è pur vero che bisogna sempre essere attuali e attenti alle esigenze del pubblico. Tuttavia non la percepisco come una crisi, ma se esistesse, magari può diventare un’opportunità per fare meglio e offrire qualcosa di migliore agli ospiti». Luigi Pomata, dell’omonimo ristorante a Cagliari, ammette che, per una serie di circostanze, a livello generale «il fine dining si sta un po’ ridimensionando», mentre Tommaso Arrigoni (Innocenti Evasioni, Milano) evidenzia come «non stiamo vivendo un momento florido» e che «l’utente finale sia un po’ annoiato da un fine dining inteso come proposta troppo ricercata».

Fine dining, il prezzo fa davvero la differenza?

Lo chef Daniele Zennaro

Per Daniele Zennaro (Algiubagiò, Venezia), invece, molto dipende anche dalle dinamiche che portano la clientela al ristorante: «Quando arriva l’estate qui da noi assistiamo ad un cambio di clientela, con una gran quantità di turisti che arriva in zona per spostarsi velocemente e non sempre c’è la giusta comunicazione all’utente finale che in quest’area ci sono ristoranti che fanno fine dining. A partire da settembre, invece, la clientela torna di alto livello».  «C’è una riflessione da fare», secondo Lucio Pompili (Symposium, Cartoceto in provincia di Pesaro-Urbino) che chiarisce: «In Italia ci saranno 20/30 ristoranti di fine dining: veri, autentici, con offerte fantastiche. E piacciono. Gli altri fanno finta, scimmiottano ed è meglio che, in questo caso, si torni ad una cucina regionale italiana».

Fine dining, il valore della cucina va oltre il piatto

«C’è un percorso, un lavoro, uno studio, ma anche tante persone dietro ad un piatto», sottolinea Pomata che rimarca: «Si tratta di un modo per valorizzare tutto questo: con il fine dining paghi la marea di persone che servono per il servizio, per preparare il piatto...non solo il piatto. E siamo noi che dobbiamo spiegarlo al cliente attraverso il lavoro che fa la sala».

Fine dining, il prezzo fa davvero la differenza?

Lo chef Luigi Pomata
 

Tuttavia la consapevolezza del cliente se da un lato va costruita e indirizzata, dall’altro va anche inquadrata in un contesto più generale. «Non è possibile - evidenzia Pompili - che con questa cultura del buono e del bello che si applica ai cellulari piuttosto che agli orologi, si voglia risparmiare sugli spaghetti, anche se poi devi dare spaghetti che emozionano. Questa guerra ai prezzi bassi scatena l’industria: McDonald’s progetta di aprire un punto vendita ad ogni uscita autostradale e dove è già presente di raddoppiarlo. Forse ci vorrebbe che le buone trattorie e osterie propongano un format italiano, regionale e locale».

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Lo chef Lucio Pompili

Secondo Pompili la differenza sta proprio nel comunicare la propria proposta: «Quando si vuole mangiare un’insalata, si spende quello che ci vuole». A patto che valga la pena. E se è vero che c’è «troppa differenza tra domanda e offerta», è altrettanto vero che «dovrebbe aprire un ristorante solo chi lo sa gestire, prendendo esempio da chi sa fare impresa: non sempre un bravo cuoco è anche un bravo imprenditore».

Fine dining, il contesto economico

Se il problema della proposta, che va certamente approfondito, rimane centrale quando si propongono certi prezzi, figli del costo di qualità dello chef, della sua brigata e delle materie prime, ma anche dello studio, anche il contesto in cui si opera. Un tema posto in maniera vigorosa da Morelli: «I prezzi nel mondo della ristorazione vanno di pari passo al mondo che sta intorno, perciò un imprenditore non può di sicuro, per stare vivo, abbassare i prezzi: bisogna invece che si faccia una riflessione sul fatto che i salari sono rimasti fermi e il potere di acquisto è cambiato».

Fine dining, il prezzo fa davvero la differenza?

Lo chef Giancarlo Morelli
 

Una sorta di bolla è stata anche la ripresa post Covid, dove secondo Morelli si è speso quanto si era accumulato, forzatamente, durante i lockdown e per cui non si può assolutamente parlare di “crisi della ristorazione”, quanto piuttosto di un momento storico in cui il potere di acquisto è crollato, così come non si può parlare di crisi del vino: «La bottiglia fa lievitare il conto e molte famiglie oggi scelgono di uscire a cena una volta in più rinunciando ad ordinare il vino. Questo riguarda naturalmente le famiglie medie, chi è abbiente non soffre di queste dinamiche».

Fine dining, le proposte per attrarre nuovi clienti

Un filone che si sta iniziando a percorre è quello dei menu dedicati ai giovani. Uno dei primi casi è stato quello di Berton che a Milano offre un menu a 95 euro agli under 35 che comprende 5 portate con due calici di vino e soft drink inclusi. «Questa proposta del sabato a pranzo va proprio nella direzione di provare ad avvicinare un pubblico più giovane al mondo del cibo e della ristorazione». Giovani, ma non solo: «Ormai da qualche anno, e anche questo non fa differenza, proponiamo uno sconto del 20% nel mese di luglio a pranzo perché, come avviene in altri settori, ci sono periodi in cui si possono fare sconti. Nel nostro caso, essendo a Milano, a pranzo si registra in generale un calo di prenotazioni e così proviamo ad incentivarle a venire».

Fine dining, il prezzo fa davvero la differenza?

Lo chef Tommaso Arrigoni
 

L’idea del menu giovani viene proposta anche da Arrigoni (menu fisso a sorpresa servito al bancone e composto da tre portate con acqua e un calice di vino a 35 euro): «Il menu che proponiamo agli under 25 è ad un prezzo calmierato e ha l’intento di provare a far capire ai più giovani il valore del nostro lavoro e la differenza che c’è tra un ristorante come il nostro e lo street food. E credo che i ragazzi che vengono a provare questa esperienza percepiscono questa differenza».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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