Passione e istruzione per risollevare la ristorazione: così lo stellato Giancarlo Perbellini ha riassunto all'Adnkronos la ricetta per affrontare la cronica carenza di personale che attanaglia il comparto. Ma lo chef veronese non si è limitato a denunciare il problema: infatti, ha anche proposto una soluzione a due punte. Da un lato, investire sulla formazione, soprattutto nelle scuole alberghiere, per colmare le lacune di un sistema educativo spesso inadeguato alle esigenze del mondo del lavoro; dall'altro, valorizzare la passione come motore trainante per i giovani che si affacciano a questo mestiere, spesso scoraggiati da orari massacranti e salari non sempre adeguati. «Noi ad esempio cerchiamo di dare, in tutti i locali, due giorni di riposo, in qualche locale anche due giorni e mezzo, per cui sulla risorsa umana investiamo tanto. Comunque è un mestiere che è determinato tanto dalla passione».
Lo chef stellato Giancarlo Perbellini
«Questo grosso problema (della mancanza di personale, ndr) è nato dal post-Covid perché prima, bene o male, c'erano difficoltà, ma non per la cucina, più che altro per la sala - ha spiegato Perbellini. Comunque la parte che manca di più è l'istruzione che non siamo riusciti a migliorare, soprattutto nelle scuole. Le cose, ad ogni modo, piano piano stanno cambiando ma è sempre stato un lavoro con orari massacranti».
Il mestiere dello chef-imprenditore in Italia secondo Perbellini
Perbellini ha poi affrontato il tema dell'imprenditorialità nel mondo della ristorazione: «Quali sono gli aspetti economici di un'attività di uno chef imprenditore oggi in Italia? Fondamentalmente bisogna avere una base, una struttura che gestisca, avere un controllo di gestione che è fondamentale in un'attività come la nostra. È la base di tutto il nostro lavoro, nel senso che partiamo dal progetto quando apriamo un nuovo locale e poi puntiamo sulla continuità nel controllo. Ci sono differenze all'estero? Come gestione fondamentalmente no, devo dire che noi abbiamo attinto molto da quando eravamo a Hong Kong e dalla gestione molto attenta, molto capillare, soprattutto ai numeri, che c'è all'estero. Poi nel contesto della gestione è ovvio che le risorse umane in Italia sono fuori controllo e ci sono tutta una serie di spese che all'estero non esistono, perché noi siamo subissati dalla burocrazia».
Perbellini e la scelta di non diventare uno chef "televisivo"
Inoltre, Perbellini ha spiegato i motivi che l'hanno spinto a non diventare uno chef "televisivo": «Di proposte ne ho ricevute, ho anche fatto un programma sul Gambero Rosso che si chiamava "Casa Perbellini" che riguardava il mio mestiere. Il giorno che decidi di fare televisione devi anche cambiare fondamentalmente il tuo modo di fare, il tuo mestiere, perché o fai una cosa o ne fai un'altra. Il film "The Menu"? L'ho visto: all'inizio era veritiero, poi un po' esagerato. Devo però dire che la televisione e il cinema hanno dato dei benefici a questo mestiere, specialmente in Italia. Hanno sdoganato un mestiere anche se poi, come per tutte le cose, c'è stato un eccesso per cui tutti pensavano ad aver passione e che fosse facile fare lo chef».
Le confessioni all'Adnkronos di Giancarlo Perbellini
Un unico mestiere che, al netto delle due stelle Michelin, Perbellini svolge bene, grazie anche alla massima attenzione che presta alla qualità dei prodotti: «Fondamentalmente è sempre la qualità del prodotto dalla quale partiamo, poi è ovvio che nella costruzione del piatto giochiamo a bilanciare i menu, ma alla base di tutto, dalla pizzeria al ristorante gourmet, tutti hanno la stessa filosofia. Noi la maggior parte dei prodotti li mettiamo fuori cottura, per trasferire la qualità del prodotto. Sono attenzioni per preservare l'artigiano che l'ha fatto e la qualità del prodotto stesso».
Qual è il piatto preferito di Giancarlo Perbellini?
Infine, la confessione del piatto preferito: «Io vengo dalla bassa Veronese e il risotto lo mangerei a colazione, pranzo e cena, è una delle cose che mi piacciono molto, come la Nutella. In questo momento abbiamo cambiato visione sul risotto, non lo metto mai nei menu perché specialmente gli stranieri fanno molta fatica a mangiarlo, non sono abituati a consumarlo, è cambiata la temperatura e le abitudini della gente. Per cui lo mettiamo sempre fuori menu».