Nove spunti di riflessione da affrontare come challenge per acquisire quella linfa ulteriore che è a sua volta condizione necessaria per incrementare le competenze delle brigate e dei social media manager, per rivitalizzare e trasmettere ai più giovani quella passione evergreen in assenza della quale saremmo al cospetto di un mestiere gramo piuttosto che di una professione nobile quanto necessaria.
In che contesto si inseriscono i nove spunti
Bonifiche naturali, premi e castighi, quando generosi e quando cinici, che il mercato attua con tempismo accorto. Leggiamo così due dati fondamentali che fotografano lucidamente l’anno 2023. La spesa alimentare fuori casa, quindi in gran parte la frequentazione del ristorante, ha raggiunto quasi 90miliardi di euro. Circa 28mila imprese del settore, quindi in gran parte ristoranti, hanno cessato l’attività.
Circa 28mila imprese del settore, quindi in gran parte ristoranti, hanno cessato l’attività
Ma questo secondo dato, già di per sé dolentemente significativo, va letto nella sua interezza: a fronte di mortalità pari a 28mila circa, vi è natalità pari a 10mila circa. Il saldo negativo di 18mila circa, correlato ai quasi 90 miliardi di spesa fornisce idea di quanto possa essere considerato positivo lo scenario della ristorazione: un minor numero di ristoratori a dividersi una torta più grande.
Perché i nove spunti? La mappa delle chiusure
Se fossimo indotti a dichiarare, sulla base di sensazioni e di esperienze vissute o comunque percepite, le tre città dove i ristoranti appaiono sempre pieni, è molto probabile che diremmo Firenze, Roma e Milano. Staremmo dicendo il vero: forti flussi turistici, evidente turismo leisure ma anche turismo business e comunque consistente bacino d’utenza locale.
Le tre città dove i ristoranti appaiono sempre pieni sono Firenze, Roma e Milano
Ma, ecco l’elemento che svela il fenomeno nella sua interezza, queste tre città hanno vissuto i più vistosi decrementi: -5% circa Firenze, -3% circa Roma, - 2% circa Milano. Entrambe con un -1% circa si situano ad una sorta di quarto post ex-aequo Napoli e Torino.
Quali le cause che hanno provocato così tanta “mortalità”?
Vedremmo un’unica grande causa che a sua volta, mestamente, palesa macroscopici errori di gestione. La “madre di tutte le cause” è la carenza di analisi di scenario, l’incapacità di intercettare i segnali prima deboli e poi vistosi, degli insorgenti cambiamenti nella società.
Il mercato ha punito coloro i quali sono rimasti inerti e quindi incapaci di reagire
Tutto ciò ha comportato assenza di vision e conseguente zero volontà di investimenti. Insomma, il mercato ha punito coloro i quali sono rimasti inerti e quindi incapaci di reagire al cospetto di quattro fenomeni:
- i nuovi comportamenti del cliente cagionati dal post pandemia
- il ribaltamento del rapporto domanda / offerta di personale
- i rincari energetici
- l’inflazione
Dall’analisi Swot ai nove spunti
Saggiamente, responsabilmente e in modalità consapevole, qui il ristoratore dovrebbe attuare l’analisi Swot, ovvero l’analisi dei suoi punti di forza (S=strengths=forze), dei suoi punti di debolezza (W=weaknesses=debolezze), e l’analisi delle opportunità (O) e delle minacce (T =threats=minacce).
Se l’analisi SWOT viene effettuata lucidamente, senza “raccontarsi bugie” e senza pietismi, si è già a buon punto e quasi certamente il ristoratore comprende che l’alternativa all’estinzione alla quale giungere mediante mesta agonia nel volgere del termine breve, è la capacità/volontà di evolvere, trovando il gusto (ancor prima della necessità impellente) di adeguarsi ai cambiamenti (di cui sa fare attenta lettura) lanciandosi “challenge”, ovvero sfide. Sfide ardimentose ma mai velleitarie, beninteso.
A questo punto, spontanea sorge la domanda: “Ma se chi doveva perire è perito e chi è sopravvissuto adesso va forte, perché costui dovrebbe porsi tanti problemi?” La risposta sta nella massima cinese: “Il tetto si ripara quando c’è il sole!”
Ecco a seguire i nove spunti di riflessione.
Spunto numero 1: superamento del concetto obsoleto degli “orari di apertura”
Ergo, ristorante AAO. AAO è acronimo che sta per Almost Always Open. Un ristorante che permanesse nel pigro comportamento di stare aperto al pubblico soltanto negli orari tanto canonici quanto desueti di pranzo e cena, si voterebbe ad irriguardoso (irriguardoso per se stesso e per l’utenza) declino. Pranzo e cena permangono i cardini quotidiani di un modo di estinguere in maniera soddisfacente l’insorgere di appetito (non chiamiamola fame, sarebbe blasfemia). Pranzare e cenare fuori casa comporta il valore aggiunto della sana e gioiosa convivialità.
Pranzare e cenare fuori casa comporta il valore aggiunto della sana e gioiosa convivialità.
Ma le tempistiche del vivere quotidiano, non ultimo il confine tra giorni feriali e giorni festivi che da netto e rigoroso diviene “liquido” ed indistinto, generano una domanda di fruizione di locali di ristoro ad elevato standing che laddove non presidiati dai ristoranti, diventano ulteriore territorio di conquista, più che meritata, da parte dei bar e dei corner di valevole Gdo.
Parliamo del brunch, oggetto non più ignoto la cui domanda è già ben presente soprattutto nelle città medie e grandi. Parliamo di happy hour che sappiano avere contenuti di edutainment per i quali vi è domanda latente a fronte di offerta che non appaga.
Si pensi, ed è solo un mero esempio, all’inserimento di Cheese Corner volti a rendere non banale i momenti preserali, con abbandono del “prosecchino” di per sé bevanda inesistente e dei melanconici finger food di fattura industriale ammucchiati in ciotoline di ordinanza.
Il brunch, oggetto non più ignoto la cui domanda è già ben presente soprattutto nelle città medie e grandi
Per un attimo lambendo l’universo delle pizzerie, si pensi ad un nuovo abito mentale del patron pizzaiolo che in determinate fasce orarie sappia e voglia servire i cosiddetti “fritti” non come piatto iniziale in attesa della pizza, bensì proprio come la proposta adatta, insieme con appropriato calice di vino, al suo modo originale di “fare” happy hour.
Ed ancora, si pensi nelle fasce orarie successive al cosiddetto pranzo e alla cosiddetta cena, a proposte di dessert, in autonomia, ovvero non come il dolce closing del pasto completo, ma come momento a sé, con abbinato un buon passito o un buon rhum, o quant’altro possa esaltare la proposta.
Spunto numero 2: proposte temporanee
Ergo, Lto. Lto è acronimo che sta per Limited time offer. Offerte limitate nel tempo da intendere, sia ben chiaro, come esatto opposto dello sconto. L’agevolazione, “l’offerta” non consiste nell’applicare prezzo scontato. Lto consiste, evidente ed interessante la commutazione paradigmatica, nel proporre “chicche rare” agli happy few che siano lesti nel cogliere l’opportunità che gli si offre.
Un esempio di Lto può essere la cena a tema dove è guest in cucina solo per quella sera uno chef particolarmente bravo e famoso
Può essere la cena a tema dove è guest in cucina solo per quella sera uno chef particolarmente bravo e famoso. Può essere la cena imperniata su alcuni prodotti di difficoltosa reperibilità. Possono essere momenti particolarmente interessanti di edutainment.
Sia come sia, il concetto forte è che si sta erogando un servizio costituito da risorse carenti e perciò preziose, disponibili non per tutti bensì per gli happy few che tempestivamente aderiscono. Negli Stati Uniti, la si prenda come notazione di colore, all’acronimo Lto abbinano l’acronimo Fomo che sta per Fear of missing out, ovvero la paura di rimanere escluso dalla Lto, il timore di non essere tra gli happy few.
Spunto numero 3: l’evoluzione del take away
Ergo, il take away nobilitato. Anche il ristorante di elevato standing, opportunamente equipaggiandosi sin dal ridisegno del layout della cucina, eroga il servizio take away su ordinazione. E lo fa sia attrezzandosi per consegnare ad orario convenuto al cliente che passa nel locale a prelevare quanto ordinato, sia divenendo anello cardine di un flow che ha a monte un soggetto che riceve le “comande” dai clienti ed a valle un soggetto che effettua la consegna a domicilio prelevando le pietanze, opportunamente sottoposte a doveroso package, dal ristorante.
Anche il ristorante di elevato standing eroga il servizio take away su ordinazione
Realtà quali Deliveroo, Glovo, Just Eat, sono ben presenti nelle grandi città ed il rider, ovvero colui il quale in bicicletta o in motorino effettua la consegna a domicilio, comincia a costituire presenza abituale in determinate aree.
Spunto numero 4: vendere i prodotti che si adoperano
Ergo, le proposte on the shelf. Per nulla difficile a realizzarsi, sebbene neanche sia cosa semplicissima a fronte di eventuali complicanze burocratiche, si tratta semplicemente e pragmaticamente di commutare lo store in shop. Diciamo meglio. Il ristorante dispone di sua cambusa e di sua cantina. Sono “oggetti” sottoposti a flow continuo di entrata (i fornitori che alimentano) e di uscita (le richieste dalla cucina e dalla sala).
Orbene molti degli items costituenti cambusa e cantina posso essere messi a vista, graziosi ed accattivanti gli spazi idonei, per acquisti che il cliente può agevolmente effettuare. È fare leva sull’effetto emulazione. In convivialità si è appena degustata un’ottima pietanza (sovente un primo), sono resi noti gli ingredienti principali che, guarda caso, sono anche disponibili a scaffale. Si acquistano e ci si cimenta a casa.
Gli items costituenti cambusa e cantina posso essere messi a vista
Soprattutto tra i millennials, fruitori principali di questo nuovo servizio, è tendenza il considerarsi home chef. Oltre al vantaggio immediato dell’incremento degli incassi, il ristoratore si giova anche del vantaggio indotto di una migliore relazione con i suoi fornitori e di un ulteriore motivo di soddisfazione per la sua clientela.
Spunto numero 5: vera e trasparente filiera corta
Abbondantemente alle spalle la stagione del cosiddetto km zero, tra i concetti più fatui ed assurdi che abbiano contaminato i primi due decenni del secolo corrente, si sta divenendo consapevoli dell’importanza della filiera corta.
Si acquista per quanto possibile direttamente dai produttori
Si acquista per quanto possibile direttamente dai produttori, saltando il ganglio intermedio del grossista/rappresentate, con benefici evidenti ed immediati sia per il ristoratore che per il cliente. Maggiore freschezza dei prodotti, incremento della valenza fiduciaria con fornitore che diviene partner.
Spunto numero 6: nuovi valori che divengono necessari
Trasparenza, tracciabilità, blockchain. Fattori che dall’essere valori distintivi vanno velocemente commutandosi in elementi necessari la cui assenza mal depone.
Rendere edotto il cliente su cosa c’è “nel piatto”, su come e quando gli ingredienti sono giunti in casa e sul come sono stati trattati è sfida che il ristoratore deve necessariamente accettare, a ciò attrezzandosi. Non mal tollerato e fastidioso fardello burocratico, bensì l’intreccio di trasparenza e tracciabilità costituisce il soddisfacimento immediato di un’esigenza cognitiva che il cliente giustamente ed opportunamente avverte come irrinunciabile.
Casi interessanti di blockchain già esistono ed impattano sugli anelli a monte
A tutto ciò è soluzione tecnologica di agevole fruizione (easy to use) la blockchain, ovvero l’insieme di trasparenza e di tracciabilità, senza timore alcuno di fake news e di malversazioni, a portata di app su smartphone.
Casi interessanti di blockchain già esistono ed impattano sugli anelli a monte: la materia prima, la trasformazione, la delivery. Si tratta di ampliare la catena ad essa aggiungendo l’anello ristorante (a sua volta composto da cambusa/cucina – cantina/sala) fino ad arrivare all’anello cliente/end user.
Spunto numero 7: gli asset tecnologici
Ovvero social media, reputation ed altro ancora. Non esserci sui social media equivale a non esistere. Esserci e non presidiare e governare con la necessaria professionalità è come scendere in campo con l’obiettivo di fare tanti goal, sì, ma nella propria porta. Ne consegue che c’è un solo modo per trarre legittimo giovamento dai social media: essere proattivi, individuare linea di comportamento e ad essa essere coerenti.
C’è un solo modo per trarre legittimo giovamento dai social media: essere proattivi
Uno studio recente e molto autorevole, a proposito di quella che oggi è chiamata “reputation economy” afferma che in un range da 1 a 5, essere valutati sotto il 4 preclude sostanziosi incrementi di clientela e addirittura mette a rischio anche frange di clientela consolidata. Come accettiamo una prenotazione? Come accogliamo il cliente? Come ci si accomiata dal cliente? Domande da porsi e risposte sincere da darsi, prima di recriminare sul bad score.
Spunto numero 8: Dop economy
Tendenza già in atto, si tratta di dare accelerata ulteriore: a beneficio dell’utenza, a beneficio proprio, a vantaggio di tutto il Bel Paese. Marcata attenzione e preferenza verso i prodotti di cui sia nota l’origine. Origine resa nota, opportunamente divulgata e protetta. Stiamo parlando delle Dop e delle Igp che nel nostro Bel Paese sono in numero di 326 per il solo cibo, senza parlare di vino.
Comprare produzioni Dop e Igp, fermo restando la naturale preferenza che nell’ambito di un prodotto Dop o Igp si possa avere per un produttore piuttosto che per un altro, significa dare valore prevalente al concetto di “originato”, a quale storia c’è dietro quel prodotto: perché è nato, come lo si faceva e come lo si fa, quale la specificità del territorio, quali le abitudini alimentari che lo preservano, ed ancora altro.
Bisogna evidenziare alla clientela (bambini inclusi) la scelta consapevole di dare priorità alle eccellenze
Evidenziare alla clientela (bambini inclusi) la scelta consapevole di dare priorità alle eccellenze del nostro patrimonio agroalimentare è attuare quel “patriottismo dolce” che è valore da recuperare e che innesca il volano virtuoso che induce a ragionare in quell’ottica sistemica troppe volte evocata vanamente.
Spunto numero 9: Articolo 9 della Costituzione
L’articolo 9 della nostra Costituzione così testualmente recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” È la nostra cucina attuale il portato di una cultura bimillenaria con sedimentazione accumulatasi nei secoli? Sono tempestivamente accolte le innovazioni che scaturiscono dalla ricerca e dalle sue applicazioni? Si potrebbe mai fare a meno delle nuove tecnologie a servizio dell’hospitality, della ristorazione e nell’ambito di essa sia per il backstage che per la cucina e per la sala nonché per vivere meglio nella reputation economy? E quale strumento migliore per tutelare il nostro paesaggio se non supportando come è conveniente e doveroso che sia le colture che danno vita alle nostre Dop e Igp?