Un ristoratore può rifiutare di servire un celiaco? Per rispondere a questa domanda la normativa a cui fare riferimento è l’articolo 187 del Regio Decreto 635/1940, detto anche TULPS, che sancisce: “Salvo quanto dispongono gli artt. 689 e 691 del codice penale, gli esercenti non possono, senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”. Eppure, ci sono casi di esclusione senza legittimo motivo, fra questi, per esempio, l’età anagrafica. E la celiachia?
Di fatto la legge obbliga il ristoratore a fornire al cliente cibo sicuro (“Gli alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato. 2. Gli alimenti sono considerati a rischio nei casi seguenti: a) se sono dannosi per la salute; b) se sono inadatti al consumo umano”, Regolamento Europeo 178 del 2002, articolo 14). Se non si è in grado di garantire un pasto sicuro al celiaco, perchè si teme il rischio di contaminare il piatto con glutine, non è tanto il rifiuto quello che va messo in atto, per legge, quanto l’informazione chiara: purtroppo non sono in grado di garantire il piatto da contaminazioni, quindi “senza glutine” (che, lo ricordiamo, significa glutine minore di 20 mg su kg, ovvero piccole tracce di questa sostanza) è la risposta corretta.
Chi gestisce un locale pubblico, come un ristorante, una pizzeria o un hotel, può trovare comunque molti modi per scoraggiare l’ingresso a determinate categorie di persone. E addirittura, per quanto infrequenti, sono capitati, anche recentemente, casi di ristoratori che non abbiano accettato di servire una persona perché celiaca, dicendo espressamente “non accettiamo celiaci”.
Ma al di là delle considerazioni etiche e normative, questa è una buona strategia? Probabilmente no.
Innanzitutto perché è difficile immaginare che il ristoratore non possa garantire davvero nulla. Il celiaco sa bene che, in assenza d’altro, una caprese o del prosciutto crudo con insalata, ad esempio, o altre preparazioni analoghe, prestando le minime attenzioni, sono la soluzione sicura in caso di assenza di altre alternative. La stessa Associazione Italiana Celiachia fornisce specifiche indicazioni a riguardo.
A questo proposito, quello che è importante evitare è la classica frase “tutti i miei ingredienti sono senza glutine, ma non garantisco contaminazioni”, frase tanto ambigua quanto scorretta: un piatto è o non è gluten-free e informazioni di questo tipo, come purtroppo si trovano anche in forma scritta su alcuni menù, sono passibili anche di sanzione o comunque di intervento da parte della Sanità Pubblica, perché in contrasto con la norma che impone: “Le informazioni sugli alimenti non inducono in errore (...) sono precise, chiare e facilmente comprensibili per il consumatore” (Articolo 7, Pratiche leali d’informazione, del Regolamento Europeo 1169 del 2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori).
In secondo luogo, perché, a fronte di un servizio senza glutine, anche minimo, ma sicuro, relativamente facile da offrire, chi decide di chiudere alle persone celiache, rinuncia sempre ad una grande opportunità di business. Rinuncia all’indotto di clienti che il celiaco porta con sé (familiari, amici, colleghi), e a un passaparola eccezionale, efficace a livello territoriale, ma anche nazionale, grazie alle innumerevoli e attivissime communities social dedicate alla celiachia.
Per aiutare chi gestisce i locali pubblici a offrire un servizio idoneo, sicuro al celiaco, e, allo stesso tempo, promuovere e massimizzare il minimo investimento fatto per offrire un’alternativa senza glutine alla propria clientela, l’Associazione Italiana Celiachia ha sviluppato il programma Alimentazione Fuori Casa senza glutine, volto a creare e supportare un network di locali informati, formati, consapevoli e guidati da tutor esperti che lavorano sul territorio.
Per saperne di più: https://www.celiachia.it/dieta-senza-glutine/progetto-alimentazione-fuori-casa/