Da una parte Confindustria, che parla di “economia di guerra” e di aziende a rischio chiusura; dall’altra i sindacati, che invece lamentano maglie troppo larghe, patti non rispettati e poca sicurezza per i lavoratori, prospettando persino uno sciopero generale. Il nuovo decreto con cui il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, domenica sera, seguendo quanto era già stato deciso dalla Regione Lombardia, ha operato un’ulteriore stretta alle attività produttive del Paese, lasciando aperte di fatto solo le filiere “necessarie”, non piace a nessuno e provoca una frattura importante tra industriali e rappresentanti dei lavoratori.
Vincenzo Boccia
«Con questo decreto si pone una questione che dall'emergenza economica ci fa entrare nell'economia di guerra. Il 70% del tessuto produttivo italiano chiuderà». Non usa tanti giri di parole il presidente di Cofindustria, di
Vincenzo Boccia, prospettando un futuro nero per il tessuto industriale italiano.
«Dobbiamo porci due domande - dice ancora Boccia - come far arrivare i prodotti essenziali a supermercati e farmacie, e come fare per far riaprire le imprese e riassorbire i lavoratori, visto che la cassa integrazione aumenterà. Dobbiamo occuparci e preoccuparci di come uscire da questa criticità per evitare che molte aziende, se non tutte, per crisi di liquidità potrebbero non riaprire più nel giro di poche settimane. prosegue. Quanti giorni, quanti mesi può sopravvivere un'azienda che arriva a fatturato zero?».
Con questo nuovo decreto sono moltissime le persone che rimangono a casa, se si calcola che resta aperto solo il 20-30% delle attività intese come essenziali. «È un'operazione massiva che costerà tanto, allo Stato e a tutti noi - dice ancora il numero uno di Confindustria - ci avviamo a mesi difficili e dobbiamo evitare di non pensare alla "fase 2": dobbiamo vincere la battaglia contro il virus e almeno per la difesa, non dico il rilancio, dell'economia».
Per Boccia la preoccupazione non basta, serve l'azione per fare in modo che lavoratori e imprenditori superino questa fase di transizione. «Abbiamo proposto al governo di allargare un fondo di garanzia che permetta di avere liquidità di breve alle imprese per superare questa fase di transizione - conclude Boccia - Usciremo tutti con un debito ma che potrà essere pagato a 30 anni, come un debito di guerra. Dobbiamo intervenire per fare in modo che, quando tutto sarà finito, le aziende riaprano e tutto, con gradualità, torni alla normalità».
Di tutt’altro avviso, invece, i sindacati, secondo cui, al contrario, il Decreto firmato da Conte tiene aperte ancora troppe attività. Reazioni dure arrivano dunque anche dalla parte dei rappresentanti dei lavoratori, che arrivano a minacciare uno sciopero generale.
«Siamo pronti a proclamare in tutte le categorie che non svolgono attività essenziali lo stato di mobilitazione e la conseguente richiesta del ricorso alla cassa integrazione, fino ad arrivare allo sciopero generale - dicono Cgil, Cisl e Uil - Non era questo quello che avevano profilato al tavolo di palazzo Chigi. Siamo molto irritati: si tratta di un Dpcm inaccettabile perché è inutile al fine di contenere il contagio allargare così le maglie dello stop imposto al settore manufatturiero», dicono conversando con l'Adnkronos.
Maurizio Landini
Questa mattina sulla questione è intervenuto ancora il segretario della Cgil
Maurizio Landini, che ha puntualizzato: «Abbiamo detto non di scioperare in senso generale ma che, laddove non ci sono le condizioni di sicurezza, se i lavoratori, le Rsu e le categorie proclamano uno sciopero, hanno il sostegno di Cgil».
A fronte della stretta, richiesta per combattere il virus, e nonostante l'incontro di sabato sera durante il quale «il governo aveva presentato una lista molto stretta di attività da mantenere aperte e che riguardava i servizi essenziali, questa lista domenica si è allargata. Abbiamo scoperto che, al mattino, Confindustria, con una lettera, ha chiesto di allargare le maglie del decreto, e a quel punto abbiamo preso una posizione: noi non siamo d'accordo che attività non essenziali mettano a rischio la salute dei cittadini», ha evidenziato Landini.
In mattinata i metalmeccanici lombardi hanno annunciato uno sciopero di 8 ore mercoledì 25 marzo. Lo ha fatt sapere il segretario generale della Fim-Cisl, Marco Bentivogli. La decisione, spiega, «è stata presa perché si consideri la Lombardia una regione dove sono necessarie misure più restrittive sulle attività da lasciare aperte».