Oggi la formazione rispecchia grossomodo la poca volontà politica di strutturare e organizzare il comparto turistico nazionale da parte degli organi preposti. Partono progetti, si odono proclami altisonanti, ma si investe sempre meno soprattutto sulla formazione. E se ne parla in assoluto solo durante le campagne elettorali. Il turismo con tutta una schiera di aziende ricettive, dai resort lussuosi ai modesti bed and breakfast, dai ristoranti stellati ai semplici snack bar, rappresentano il comparto che in assoluto produce più mobilità lavoro, alimenta l’economia di alcune zone quasi depresse e soprattutto esalta l’aspetto e l’unicità geografica, culturale che fa dell’Italia il paese (turisticamente) più desiderato al mondo.
Tuttavia, «La formazione degli addetti ai lavori - afferma Fiorenzo Colombo (nella foto), responsabile della comunicazione di Abi Professional - sembra abbandonata a sé stessa, tra scuole improvvisate, aziende che producono format educativi e altri soggetti che tentano, con diverse motivazioni talvolta esplicitamente economiche, di sostituirsi al ruolo dello Stato alla cultura e formazione degli addetti ai lavori».
Basti pensare che negli istituti statali il programma didattico dimentica la pratica, limitandola a poche ore settimanali. Forse si presume che gli studenti, raggiunta la maturità, possano poi trovare una facile strada per gli indirizzi universitari. Diverso discorso per gli Enti di istruzione e formazione professionale, dove gli insegnanti sono spesso essi stessi operatori del settore, quindi professionisti, e la presenza nel programma di ore di pratica è maggiore e consente perlomeno una sufficiente conoscenza delle attrezzature e delle tecniche di lavoro. Consideriamo anche che le scuole non statali devono fare i conti, e bene se vogliono quadrare il bilancio.
Perché oggi un adolescente dovrebbe frequentare un istituto alberghiero? «C’è chi si indirizza alla professione di chef di cucina e lo fa perché stregato dal fenomeno mediatico dei programmi sulla cucina - continua Fiorenzo Colombo - salvo poi arrendersi e abbandonare alle prime prove pratiche con scavini e pelapatate, con cipolle e carote, ganache e impasti. Si genera così una notevole richiesta di iscrizioni per cucina e pasticceria e un calo esagerato per sala e bar al punto di mettere a rischio la creazione di una classe, sbilanciando quindi i calcoli e i programmi economici delle strutture formative».
Fiorenzo Colombo
Quindi, senza una reale richiesta di posti di lavoro, si formano giovani che difficilmente troveranno un impiego che prosegue il loro percorso istruttivo. Altri tempi quando il mestiere si rubava. Quello che un tempo si chiamava gavetta oggi non è più realizzabile. La richiesta è sempre di giovani, con esperienza (si intende, spero con studi alle spalle visto che fino a 18 non si inizia a lavorare) e buona volontà. Oggi giovani si può pure essere, con esperienza è difficile, e la buona volontà è una materia sempre più rara. Il comportamento, le attitudini (sacrifici) e le conoscenze, doti necessarie per essere un buon professionista si forgiavano con la gavetta, col rubare il mestiere al personaggio, chef, maitre o barman che fosse.
Anni fa l’imprenditore si affidava al professionista per la gestione del suo locale, era imperativo. Oggi l’investitore non valuta l’importanza del personale professionista, ma si affida a persone con limitate capacità organizzative e peggio ancora con meno capacità manageriali. Lo scenario è ormai scontato e inevitabilmente, si vedono così locali che cambiano spesso gestioni sino a chiudere definitivamente.
«La formazione fatta a partire dalle scuole, dalle varie aziende e sul luogo di lavoro - conclude Colombo - devono essere sempre nei programmi di investimento sia politici che imprenditoriali se vogliamo risollevare le sorti e l’immagine del nostro turismo. Se pensiamo alle icone alimentari italiane (spaghetti, pizza, espresso) bistrattate e usate da altre nazioni per farne business vantaggiosi con fatturati in salita da oramai molti anni, dobbiamo solo recitare un mea culpa».
Solo la negligenza e superficialità degli operatori ha fatto sì che in Italia sia difficile bere un espresso di qualità, e la mancata attenzione alla formazione ha contribuito a creare un luogo comune, ovvero basta schiacciare un tasto per avere un espresso, e questo è vero, ma non si dice che per avere un espresso perfetto bisogna avere la conoscenza, la tecnica e l’abilità che si acquisisce solo con la formazione quotidiana. In merito alla formazione di una categoria specifica, quella dei barman, interviene
Ernesto Molteni (
nella foto),
presidente di
Abi Professional, l'associazione che punta a diffondere la cultura del buon bere, attraverso corsi e seminari ad hoc.
«L’Abi Professional è un’associazione che ha lo scopo di divulgare e approfondire la cultura del buon bere - dichiara Molteni - del bere miscelato nella fattispecie cocktails e del bere responsabilmente o alternativo; promuove iniziative formative attraverso corsi, masterclass e seminari oltre che promuovere iniziative informative e vari eventi a livello nazionale. Ulteriori obiettivi sono quelli di riunire sotto un solo logo tutta l’eccellenza del bartending italiano; esaltare la figura del barman e diffondere, nell’ambito dell’ospitalità turistica, la sua professionalità, volta alla somministrazione consapevole del buon bere e alla educazione al suo consumo responsabile. Abi Professional rappresenta oggi l’eccellenza dei barmen italiani».
Ernesto Molteni«Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema “bere responsabilmente, un cocktail per tutti”. Nessuno deve privarsi di momenti di socializzazione accompagnandoli con un brindisi. Ovviamente, il nostro obiettivo è quello di non puntare il dito sugli alcolici, ma puntarlo sull’eccesso, le leggi vietano il consumo di alcol a conducenti di veicoli a motori e a persone che hanno patologie o situazioni cui il consumo di alcol non fa bene. Ecco perché sottolineare l’importanza di una figura professionale e rassicurante nella mescita dei cocktails. Una persona che conosca a fondo la materia dell’alcol e l’aspetto psicologico di alcune situazioni comportamentali dell’essere umano. Per questo motivo abbiamo etichettato i cocktails in modo tale che la clientela sia informata direttamente su ciò che stanno bevendo elencando in lista la capacità, la funzione, la gradazione alcolica, la quantità di grammi di alcol espressi, le kilocalorie e le note organolettiche. In questo modo i consumatori hanno le giuste informazioni per un bere consapevole».
«Inoltre stiamo sviluppando e progettando un’attività di Accademia rivolta soprattutto ai giovani per incrementare le loro capacità con corsi di intaglio di frutta e verdura, con master di tecniche culinarie abbinate alla miscelazione dei drink, con degustazioni organolettiche per aumentare la qualità delle proposte, con corsi basic completi dove anche il servizio nei nostri locali viene contemplato e soprattutto con la rivalutazione degli accompagnamenti gastronomici da abbinare al cocktail utilizzando tecniche moderne e prodotti di qualità del territorio regionale e nazionale italiano».