Tasi (tassa sui servizi indivisibili), Tares (tributo comunale sui rifiuti e sui servizi) e Imu (imposta municipale unica) sono sigle contro le quali si schierano da tempo ristoratori e baristi italiani, compresi coloro che non sono proprietari dell’immobile in cui esercitano la loro attività.
L'Imu, sebbene qualche anno fa sia stata abolita per le prime case, è stata inglobata dalla Tasi, la tassa che non dipende esclusivamente dal possesso di un'abitazione, bensì dai cosiddetti “servizi indivisibili”, cioè quelle attività comunali quali l’illuminazione pubblica, la sicurezza, l’anagrafe e la manutenzione delle strade, che vanno a vantaggio di tutta la cittadinanza.
Il valore della Tasi è relativo alla percentuale Imu nel relativo comune: più è alta l’Imu nel comune, meno sarà aumentabile la Tasi. La maggior parte di bar e ristoranti sono in affitto, e, se non sarebbero stati colpiti dall’Imu, una tassa sul possesso, però lo sono dalla Tasi, essendo una tassa sui servizi. Anche gli inquilini, gestori di ristoranti e bar sono così chiamati a pagare dal 10% al 30% di questa imposta, rispetto a quanto pagato dal proprietario.
Se l'Imu è stata eliminata per le prime case, gli introiti per gli enti pubblici sono stati compensati da un aumento della pressione fiscale sugli immobili rimanenti, ovvero le seconde case e i fondi commerciali, anche adibiti a bar e ristoranti. L'aumento della tassazione è stato diviso in due parti, e se la prima è la sopracitata Tasi, la seconda consiste della Tari, la tassa sui rifiuti, che colpisce duramente gli esercizi commerciali come i ristoranti, che inevitabilmente producono grandi quantità di rifiuti.