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I rincari del gas mettono a rischio il formaggio made in Italy

21 ottobre 2022 | 14:39
 

I rincari del gas mettono a rischio il formaggio made in Italy

21 ottobre 2022 | 14:39
 

A causa del caro bollette quasi una stalla su dieci (9%) è in una situazione così critica da portare alla chiusura, con rischi per l’ambiente, l’economia e l’occupazione ma anche per la sopravvivenza del patrimonio agroalimentare Made in Italy, a partire dai suoi formaggi più tipici della montagna. È l’allarme lanciato dalla Coldiretti in occasione dell’apertura ufficiale della Fiera agricola e Zootecnica di Montichiari, la più importante manifestazione italiana a livello internazionale dedicata all’allevamento, con la prima mostra sulle eccellenze casearie italiane a rischio scomparsa per raccontare la ricchezza del patrimonio di biodiversità italiana con razze antiche e in via di estinzione salvate dal lavoro delle famiglie di agricoltori e allevatori.

I rincari del gas mettono a rischio il formaggio made in Italy

L’ultimo stop annunciato – rileva la Coldiretti - è quello di Latte Trento che a causa dei costi ha bloccato la produzione di Trentingrana con la chiusura del caseificio di Pinzolo con difficoltà a consegnare i prodotti dell’azienda ai supermercati      che restano con gli scaffali vuoti. 

A strozzare gli allevatori italiani è una esplosione delle spese di produzione in media del +60% legata ai rincari energetici, che arriva fino al +95% dei mangimi, al +110% per il gasolio e addirittura al +500% delle bollette per l’elettricità necessaria ad alimentare anche i sistemi di mungitura e conservazione del latte, secondo l’analisi Coldiretti su dati Crea. Particolarmente drammatica la situazione delle stalle di montagna dove il caro bollette sta costringendo aziende a chiudere ed abbattere gli animali, con un calo stimato della produzione di latte del 15% che impatta sulla produzione dei formaggi di alpeggio. Ma a rischio c’è l’intero patrimonio caseario tricolore con 580 specialità casearie tra 55 Dop (Denominazione di origine controllata) e 525 formaggi tipici censiti dalle Regioni che ha regalato all’Italia la leadership a livello europeo davanti alla Francia, la patria del camembert che, come affermava De Gaulle, ha più formaggi che giorni nel calendario.

È dalle stalle nazionali che nascono infatti alcune delle specialità più note del Made in Italy a tavola a partire da quelle casearie come il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano o la mozzarella di bufala campana ma anche specialità locali a rischio di estinzione esposte per l’occasione nello spazio Coldiretti alla fiera. Si va dalla Rosa Camuna lombarda al Caciofiore Aquilano dell’Abruzzo, dal Pecorino Crotonese Stagionato al Montasio Mezzano del Friuli-Venezia Giulia, dal Conciato di San Vittore laziale al Lingotto di capra ligure, dal Formaggio Imbriago veneto al Caciocavallo Podolico della Puglia, dalla Tometta al Genepy piemontese alla caciotta di bufala molisana, dal Fiore Sardo Dop al Pecorino Foglie di Noce della Toscana, dal Formaggio Giniz trentino fino alla Forma Toma di Gressoney della Val d’Aosta.

Un patrimonio che – sottolinea Coldiretti – soffre per lo spopolamento della montagna e delle aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori, spesso a causa dei bassi prezzi e per la concorrenza sleale dei prodotti importati dall’estero e adesso anche con la minaccia del latte sintetico realizzato in laboratorio e sostenuto da investimenti milionari da parte delle multinazionali.

Allo tsunami scatenato dalla guerra in Ucraina si aggiunge il problema della revisione della direttiva sulle emissioni industriali che finisce per equiparare una stalla con 150 mucche o un inceneritore o a una fabbrica altamente inquinante andando a colpire circa 180mila allevamenti ed esponendoli al rischio chiusura con un effetto domino sulle attività collegate.

Un crollo della capacità produttiva che rischia di essere sostituita da importazioni da paesi che non applicano le pratiche sostenibili allevatoriali caratterizzanti il sistema produttivo europeo o, ancora peggio, dalla spinta proprio alla produzione di cibi sintetici. Da qui la richiesta di rivedere la direttiva che non si tiene conto della circolarità dell’attività zootecnica, in termini di sostenibilità e delle riduzioni delle emissioni ottenute dal settore negli ultimi anni. E a rischio – continua Coldiretti – c’è anche il presidio del territorio dove la manutenzione è garantita proprio dall’attività di allevamento con il lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali.

«Quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado»,  conclude il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che «la chiusura di un’azienda zootecnica significa anche che non riaprirà mai più, con la perdita degli animali e del loro patrimonio genetico custodito e valorizzato da generazioni di allevatori. Per questo - conclude Prandini - è necessario intervenire subito per contenere il caro energia ed i costi di produzione con misure immediate per salvare aziende e stalle e strutturali per programmare il futuro, anche con accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione». 

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