L’inizio della Fase 2 che ha implicato anche la riapertura dei ristoranti non ha convinto tutti, né i ristoratori stessi né la clientela. I primi per via di norme troppo restrittive, gli altri per un timore che ancora serpeggia. E così ecco che i numeri non tornano: secondo una stima della Coldiretti si registra un crollo dei consumi pari a quasi l’80% in ristoranti, pizzerie, trattorie e agriturismi.
Milano deserta al primo lunedì di riapertura
A pesare sul calo delle ordinazioni di cibo e bevande è stata in molti casi la decisione di non riaprire ma anche il calo delle presenze per la
chiusura degli uffici con lo smart working e l’assenza totale dei turisti italiani e stranieri. Meno impattante in questa fase le sale spesso semivuote è stato invece il vincolo del rispetto delle distanze con la riduzione dei posti a sedere disponibili.
Un duro colpo per l’economia nazionale con la spesa degli italiani per pranzi, cene, aperitivi e colazioni fuori casa prima dell’emergenza coronavirus che era pari al 35% del totale dei consumi alimentari degli italiani per un valore di 84 miliardi di euro.
Le difficoltà della ristorazione italiana hanno un effetto a valanga sull’agroalimentare nazionale con il mancato acquisto di cibi e bevande in industrie ed aziende agricole. I settori più colpiti sono dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura ma anche su salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco.
Una partenza a rilento che riguarda anche i 24mila agriturismi italiani, spesso situati in zone isolate della campagna in strutture familiari con un numero contenuto di posti letto e a tavola e con ampi spazi all’aperto, che sono forse i luoghi dove è più facile garantire il rispetto delle misure di sicurezza per difendersi dal contagio fuori dalle mura domestiche e con l’arrivo della bella stagione sostenere il turismo in campagna significa evitare il pericoloso rischio di affollamenti al mare o nelle città.