Aromatico, di alcolicità variabile e perfetto ghiacciato, il shochu è un distillato giapponese da orzo, riso o patate dolci che allieta dal XV secolo i convivi giapponesi. Con il più noto sakè, il vino di riso di tradizione millenaria, condivide alcune procedure di produzione pur differenziandosi nettamente nel gusto e nell'aspetto per la materia prima di base e per l'origine territoriale. In patria il shochu è chiamato “liquore ridente” perchè l'ideogramma che lo definisce, raffigurato sulle bottiglie, ha anche il significato di “risata”.
La sua preparazione è molto elaborata e viene da sorgenti purissime l'acqua che si aggiunge all'impasto di patate o cereali cotti, prima dell’aggiunta dei lieviti per l'avvio della fermentazione. Durante le varie fasi il liquido deve venire a contatto soltanto con legno, in genere bambu, e infine stoccato a lungo in tini smaltati. Per far conoscere al pubblico romano questo distillato, il ristorante coreano Galbi ha organizzato una degustazione con 14 qualità di shochu, abbinandole alle creazioni di due chef d’Oriente: il resident coreano Daniel Kim, e il giapponese Hirohiko, docente di cultura nonché volto noto della tv.
Manzo grigliato e funghi shitake con salsa ponzu (Hirohiko Shoda)
Ma l'aromatico prodotto ha dimostrato di essere perfetto, in purezza o allungato con acqua ghiacciata, anche in abbinamento ai salumi, ai formaggi e alle carni del macellaio romano Roberto Liberati, che ha selezionato per l’occasione un crudo di Langhirano di 30 mesi, una soppressa padovana e un Blu di bufala. Alla presenza dei produttori Kouichiro Watanabe, Tadashi Yamagita e Toshimitsu Yamanaka e tra un variopinto sfarfallare di kimono, la degustazione è stata guidata dal sake/shochu sommelier Luca Rendina che ha spiegato la storia di un prodotto simbolico della cultura giapponese.
Tra le distillerie più famose datate, e presentate alla serata romana, la Kodama (1818), la Kurokihonten (1885), la Yamagita (1902) e la Watanabe (1914) che ne producono con cura artigianale e con rigorose regole secolari le varie tipologie. Daniel Kim del ristorante Galbi, ha preparato Spiedini di polpette marinate con gnocchi di riso, cipollotti, frittelle di foglie di cavolo, e Polpo alla brace abbinato a shochu a 40 gradi, mentre il guru delle carni Roberto Liberati ha firmato l’Ovo con sesamo nero, la Battuta al coltello con olio di sesamo e pepe Sancho e un Burger di pollo al miso, con shochu a 25 gradi. Gran finale di Hirohiko Shoda con il Salmone marinato al yuan, Manzo grigliato e funghi Shitake con salsa ponzu.
Questi funghi sono un’altra novità per il pubblico romano. Prodotti dall’azienda Yamatake che li coltiva su tronchi di legno grezzo di quercia. Vengono commercializzati secchi e, oltre ad essere saporiti e di notevole consistenza, sembra che siano un elisir di eterna giovinezza. Il distillato protagonista della degustazione è entrato anche nel dessert, firmato Hirohiko Shoda, in una pralina di cioccolato accompagnata da un caffè ovviamente corretto al shochu. Il ristorante Galbi è specializzato nella cucina coreana di tradizione, con tecniche come la marinatura delle carni al fornello e la fermentazione di verdure. Il Kimchi, foglie di cavolo fermentate con salse e spezie e poste a riposare a lungo in barili, ne è il piatto simbolo.
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