Il rischio che le organizzazioni mafiose si infiltrino nel settore dei pubblici esercizi è alto, sempre più alto ogni giorno che passa. Non solo dunque le imprese agricole sono esposte a questo rischio, ma l’intera filiera balla su un filo molto instabile in un periodo di forte emergenza economica causata dalle chiusure per il coronavirus.
Locali pubblici a rischio infiltrazioni
E se inizialmente si trattava solo di timori e poi di prime voci ora è anche l'Organismo di Monitoraggio delle infiltrazioni criminali sull'emergenza coronavirus che conferma il tutto. A presiederlo è il vice capo della Polizia Vittorio Rizzi, incaricato dal capo Franco Gabrielli di monitorare la criminalità in questa fase di crisi.
I clan si muoverebbero su due binari, neanche troppo nuovi a dire il vero, ma clamorosamente fragili e floridi ora: da una parte l'economia sanitaria legata soprattutto ai dispositivi di protezione e ai rifiuti provenienti dagli ospedali; dall'altra aiutare i piccoli e medi imprenditori - soprattutto del turismo e della ristorazione, attività ideali per il riciclaggio - mettendo soldi liquidi e immediati nelle attività.
Il motivo di
questa propensione a "investire" in alberghi e ristoranti risiede nel tipo di economia sulla quale si basano i pubblici esercizi, con particolare focus su bar e ristoranti. A sottolinearlo è il vicepresidente della Federazione italiana pubblici esercizi,
Aldo Cursano: «Il nostro settore - spiega - non vive su capitali o patrimoni, ma sull’impegno di professionisti che si sono costruiti nel tempo con la forza del proprio lavoro. Queste attività si mantengono attive con la liquidità o con alcuni finanziamenti nel caso in cui necessitino di investimenti più importanti e ciò li espone al rischio, in questo periodo, di dover ricorrere ad aiuti non leciti. C’è bisogno di acqua, ma il
timore che si “beva” acqua sporca è alto e già qualche segnalazione di avvicinamento ci sta arrivando. Credo che i nostri professionisti meritino aiuti maggiori perché se l’Italia perdesse la ristorazione perderebbe una parte integrante della propria anima».
Aldo Cursano e Roberto Calugi
Gli fa eco il direttore generale della Fipe,
Roberto Calugi che ha anche recentemente riferito alla Camera la situazione del settore: «Siamo al collasso - ha detto - addirittura i nostri associati non sanno se convegna aprire o restare chiusi. Non è accettabile per i lavoratori questa situazione, non è accettabile che l’1,4% delle imprese che hanno chiesto aiuto lo abbiano effettivamente ricevuto. Il problema è nella burocrazia eccessiva che le istituzioni stanno riservando prima di versare soldi alle imprese. Paradossale sarebbe che per eccesso di sicurezza i soldi non arivassero a chi ne necessita e questi ultimi dovessero
riferirsi ad associazioni illecite».
E l’
allarme mafia non è affatto solo al Sud, una credenza onestamente ormai classificabile come stereotipo. L’allarme infatti è stato lanciato anche da Confcommercio Verona e Federalberghi Garda che hanno spiegato come i propri associati abbiano segnalato tentativi di infiltrazioni. Anche in questo caso il dito è stato puntato sui mancati aiuti economici arrivati agli imprenditori ed è stato rilevato come solo 300 esercizi pubblici abbiano ottenuto i 25mila euro garantiti dallo Stato. Troppo poco.