Test fai da te? Non scherziamo Però lo Stato acceleri le procedure

L’ormai celebre patente d’immunità sembra essere l’elemento essenziale per ripartire. Solo i test sierologici possono attribuirla. Si attende il bando pubblico, ma qualcuno cerca scorciatoie pericolose

19 aprile 2020 | 14:40
di Federico Biffignandi
Prima l’amuchina e va bene, la conoscevamo pure prima. Poi le mascherine e ci può stare, nulla di straordinario. Quindi i saturimetri e già si iniziava ad entrare in un campo medico. Ora, la nuova frontiera della cura fai-da-te per il coronavirus è il test siereologico acquistato in autonomia. Online sembra che si possa recapitare senza grandi problemi, ma arriva a casa anche tramite una mail o una telefonata a quei laboratori che l’hanno messo a punto, ma senza una certificazione del ministero della Salute.


Tutti a caccia del test

Una circolare dello stesso ha specificato nei giorni scorsi che solo alcuni laboratori certificati potranno permettersi di produrre i test previa certificazione delle istituzioni anche perché la veridicitità dei risultati e il perfezionamento dei rilevamenti è ancora in divenire. Eppure, la paura si sa fa brutti scherzi e sta portando gli italiani alla caccia del test rapido.

Comprensibile l’insofferenza per la situazione, condivisibile l’idea favolosa per la quale basta un test veloce per capire se si è “immuni”, e ci può stare che gli imprenditori si muniscano di test fai-da-te anche se non autorizzati pur di avere una sicurezza in più per continuare a lavorare e produrre. Aggiungiamo pure che si possono criticare le solite lungaggini statali e i consueti dubbi su interessi economici che aleggiano attorno alla questione.

Ma a fronte di questo non si può fare a meno di fermarsi un attimo e pensare alla confusione che si genererebbe se ognuno facesse per conto proprio e iniziasse a farsi i test da sé. Chi controllerebbe l’ufficialità dei risultati? Chi monitorerebbe la legalità degli acquisti e delle vendite? Chi sarebbe in grado di tenere un registro dei risultati? E se tutti non potessero permettersi l’acquisto di un test? E poi tutto questo genererebbe costi per le imprese. I ristoranti, ad esempio, già vessati da una crisi profonda dovrebbero acquistare da sé i kit aggiungendo costi al bilancio in rosso.

Caos che si innesterebbe su un caos già bello che avviato. E allora, almeno in questo senso, è bene perseguire una linea comune che faccia capo al ministero della Salute.

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Alberto Lupini


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