Sisma, a rischio 50mila ettari coltivabili e la sopravvivenza di prodotti Dop e Igp

08 novembre 2016 | 09:46
Sono circa 50mila gli ettari a rischio per le semine autunnali di cereali se non verranno garantite le scorte di frumento, orzo, avena e farro necessarie per coltivare un territorio vocato all’agricoltura e all’allevamento. È quanto è emerso dall’incontro degli agricoltori, pastori e allevatori della Coldiretti nell’azienda Angeli di Pieve Torina in provincia di Macerata e a Norcia con il presidente nazionale Roberto Moncalvo accompagnato dall'Unità di crisi della Coldiretti.


 
La maggioranza delle coltivazioni è destinata al grano duro per la produzione di pasta, ma significativa è la presenza dell’orzo per la birra artigianale e la crescente espansione del farro nelle diverse varietà monococco, spelta e dicocco, in gran parte biologico, per prodotti dietetici ad alta digeribilità. In gioco c’è una produzione di cereali stimata in 200 milioni di chili che alimenta una filiera di pane, pasta, biscotti specializzata di altissima qualità, ma anche il paesaggio di uno dei territori più visitati dai turisti.

La densità delle aziende agricole nelle aree terremotate è quasi il triplo della media nazionale fino a raggiungere 8,5 aziende agricole ogni 100 abitanti in comuni come quello di Accumoli. I 2/3 della superficie agricola sono destinati a prati e pascoli per il bestiame, a conferma della centralità dell’attività di allevamento in questi territori.

Sono circa 3mila le aziende agricole a rischio nei territori dei comuni di Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo colpiti con danni strutturali gravi nelle campagne dove c’è un’elevata significativa presenza di allevamenti. Oltre l'80% delle strutture agricole e zootecniche delle zone terremotate marchigiane controllate presenta danni secondo la Regione mentre in Umbria sono circa un centinaio le stalle di dimensione economica rilevante in difficoltà e nel Lazio gli allevatori di Accumoli ed Amatrice sono allo stremo a quasi due mesi e mezzo dalla prima scossa che ha colpito la maggioranza degli allevamenti.

L’agricoltura, tra manodopera familiare ed esterna, contribuisce in modo importante all’occupazione e all’economia di quei territori, ma alimenta anche un fiorente indotto agroindustriale con caseifici, salumifici e frantoi dai quali si ottengono specialità di pregio famose in tutto il mondo che sostengono che il flusso turistico che, tra ristorazione e souvenir, è la linfa vitale per la popolazione.

Le scosse mettono a rischio un sistema che offre opportunità occupazionali, solo nella fase di produzione agroalimentare, ad almeno 10mila persone, ma in pericolo ci sono anche specialità conservate da secoli, dalla lenticchia di Castelluccio al pecorino dei Sibillini, dal Vitellone Bianco Igp alla patata rossa di Colfiorito, dallo zafferano al tartufo, dal ciauscolo al prosciutto di Norcia Igp, che nell'insieme rappresentano un patrimonio culturale del Paese, oltre che economico ed occupazionale. Se della patata di Colfiorito si contano appena 60-70 ettari coltivati sono 140 quelli della lenticchia di Castelluccio mentre il prosciutto di Norcia Igp con una produzione di 2.350 tonnellate fattura oltre 50 milioni di euro.

Nelle aziende agricole e in quelle agroalimentari si contano danni strutturali a fabbricati, impianti e strumenti, ma anche difficoltà a garantire l’alimentazione agli animali anche per la presenza di frane e smottamenti sulle strade rurali che impediscono la circolazione e la raccolta e consegna dei prodotti. Gli animali devono mangiare tutti i giorni e le mucche devono essere munte due volte al giorno e per questo gli allevatori non possono trasferirsi lontano da mandrie e greggi che, senza vigilanza, rischiano peraltro di essere preda di atti di sciacallaggio.

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Alberto Lupini


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