La ristorazione punta sui formaggi: finalmente una carta dedicata?

I formaggi Dop sono serviti da 1 ristorante su 4, ma sono valorizzati al massimo solo da un 10% di questi. Da qui nasce l'accordo siglato da Afidop e Fipe per la loro valorizzazione , grazie ad un protocollo contenente le linee guida necessarie. E potrebbe trattarsi di un primo passo per sdoganare una vera e propria carta dei formaggi nella ristorazione

16 maggio 2024 | 05:00
di Federica Borasio

Quella legata ai formaggi è una storia che si perde nella notte dei tempi. Sebbene nebulosa e spesso non semplice da ricostruire, la sua origine è fatta risalire alla Mesopotamia, circa 18 mila anni fa. Il nome deriva da “formos”, termine con il quale gli antichi greci indicavano il cesto dove venivano prodotti i formaggi. Ed è proprio alla Grecia antica, e poi alla Roma Imperiale, che si deve il primo utilizzo di questo prodotto tra gli ingredienti di banchetti e libagioni. Considerato per molto tempo un cibo povero, fu però nel Medioevo che la sua produzione subì un cambio di passo entrando all’interno dei monasteri, cui si deve non solo la creazione delle prime varietà di formaggi - tipici dell’epoca il Parmigiano nelle regioni cisalpine e il Marzolino in Toscana -, ma anche l’avvio di un processo di riconoscimento che li fece entrare anche nelle cucine di alto borgo, prima come ingredienti di preparazioni complesse, poi come pietanze servite alle mense dei signori. Da allora molta strada è stata fatta e diversi capitoli sono stati aggiunti alla tradizione casearia italiana, arricchita nei secoli da nuove preparazioni che hanno reso il Belpaese uno dei maggiori produttori a livello globale.

Afidop e Fipe, la sfida della promozione dei formaggi

Una grande ricchezza in termini di riconoscibilità e valore, su cui oggi pesa molto anche il ruolo della ristorazione, impegnata in prima linea nella diffusione e promozione di questo patrimonio tanto importante quanto complesso: attualmente, infatti, i formaggi certificati rappresentano il primo comparto del cibo Dop italiano, con un valore al consumo di 8,6 miliardi di euro.

 

Stando ai dati di un recente studio effettuato dalla società di ricerca GriffeShield 20 mila locali italiani, i formaggi Dop sono serviti da 1 ristorante su 4, ma sono valorizzati al massimo solo da un 10% di questi. Una percentuale ancora troppo risicata, in proporzione al “peso” del comparto, a tutela del quale Afidop (Associazione Formaggi Italiani Dop e Igp) e Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) - sotto l’egida del Ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare - sono scese in campo firmando un protocollo contenente le linee guida per la valorizzazione dei formaggi Dop e Igp nei menu dei ristoranti (qui tutti i punti del vademecum). Di questo fanno parte 21 formaggi certificati - con un elenco destinato a crescere - di cui vengono indicate la descrizione delle singole caratteristiche, la corretta denominazione nei menu e le indicazioni sulle modalità di conservazione, oltre a suggerimenti di presentazione e sul mantenimento delle qualità organolettiche.

«L’obiettivo - spiega Aldo Cursano, vicepresidente vicario di Fipe - è riaccendere i riflettori su prodotti identificativi dei nostri territori. Molti prodotti, pensiamo all’olio o al vino, sono stati rimessi al centro, e per questo abbiamo ritenuto importante, attraverso la ristorazione, tornare a promuovere anche le nostre eccellenze casearie. Abbiamo ritenuto importante identificare questo tipo di necessità perché salvaguardare i formaggi, con le loro storie, significa mantenerne viva la tradizione».  

«Come Afidop - racconta il presidente di Afidop, Antonio Auricchio - è nostro compito tutelare la produzione, ma naturalmente i cuochi sono coloro che devono dare quel plus in più. Gli chef, e in generale la ristorazione, sono quelli che dovrebbero fare ancora più apprezzare i formaggi italiani non solo ai nostri consumatori, ma anche a quelli stranieri i quali, mentre l’Italia è purtroppo ferma, continuano a stimarei nostri prodotti. Esiste infatti un turismo gastronomico che ogni anno ha dei numeri performanti nel nostro territorio, specialmente dopo il Covid, e noi ne siamo contentissimi. Molta gente viene non solo a visitare le nostre meraviglie, ma anche a mangiare bene e bere bene. Per questo motivo diventa ancor più determinante comunicare questi prodotti nel modo corretto».

Qual è il rapporto della ristorazione italiana con i formaggi?

Il protocollo siglato dalle associazioni di categoria arriva, di fatto, in un periodo propizio per il settore caseario tricolore. Con i suoi 55 formaggi a denominazione Dop e Igp e le sue 590 mila tonnellate prodotte nel 2023 (+2,7% rispetto al 2022 secondo i dati Afidop), il comparto presenta una filiera dal fatturato alla produzione che supera i 5 miliardi di euro, pari a circa un terzo del valore totale alla produzione dei prodotti lattiero-caseari italiani. E l’export esercita un ruolo importantissimo: Dop e Igp coprono circa il 60% del fatturato export dei formaggi nazionali, per un valore stimato che si avvicina ai 3 miliardi di euro (+11%) e una crescita a volume di oltre il 4% a livello globale.

 

«Dobbiamo essere obiettivi - continua Cursano -, oggi il grande valore è dato dai ristoranti gourmet, che assegnano molta importanza alla scelta e alla provenienza di ogni prodotto, ma il nostro obiettivo è quello di arrivare alla ‘pancia’ della ristorazione, vale a dire nelle osterie, nelle trattorie, dove è importante che si torni a dare risalto a queste eccellenze che sono frutto di storia, esperienza, orgoglio, appartenenza. C’è da lavorarci, ma vogliamo che queste produzioni possano essere valorizzate dai nostri ristoratori. E lo stiamo facendo con l’auspicio che il ristorante, in tutte le sue espressioni, possa tornare ad essere la vetrina delle eccellenze italiane. Ecco perché abbiamo creato un vademecum e condiviso il modo in cui descrivere e raccontare elementi che vanno a favorire l’identificazione, in un momento storico in cui la globalizzazione e la contraffazione sul mercato stanno restituendo una mancanza in termini chiarezza e conoscenza».

Verso una carta dei formaggi nella ristorazione?

In questo scenario, la formazione di chef e ristoratori diventa essenziale per contribuire concretamente alla promozione di un patrimonio tanto importante quanto complesso nella sua infinita (o quasi) varietà di rappresentazioni. «Riteniamo - prosegue Auricchio - che i formaggi debbano essere indicati nel rispetto dei singoli disciplinari, senza nomi storpiati o aggiunta di cose strane. Un altro punto su cui abbiamo insistito molto è che il formaggio venga servito fresco, rispettando la corretta temperatura di servizio. Anche gli chef, quando vanno a presentare un formaggio è importante che sappiano di cosa stanno parlando, non solo come si taglia, come si deve conservare o quale sia la terminologia corretta da utilizzare - che è comunque determinante -, ma è importante che conoscano il motivo per cui il Piave è nato in un determinato luogo, o come mai il Pecorino è detto "dei Romani". Avere una cultura in questo senso è fondamentale per far sì che le persone che assaggiano i nostri prodotti siano consapevoli di quello che mangiano. Noi dobbiamo fare altrettanto, ed essere risoluti nel far capire che cosa c’è dietro un formaggio, cosa esiste dietro una filiera. Anche se un cuoco è bravo, raccontarli nel modo corretto è quel quid in più che può fare la differenza». 

 

Da qui, sorge quasi spontanea una riflessione su quanto sia importante non solo valorizzare le produzioni lattiero-casearie del nostro Paese, ma anche considerarle, in questo processo di riconoscimento e riconoscibilità, alla stregua di altre eccellenze come ad esempio il vino. Che si tratti di un primo passo per sdoganare una vera e propria carta dei formaggi? «La mia soddisfazione più grossa - conclude Auricchio - sarebbe che anche con i formaggi si facesse come con i vini. Sarebbe bello entrare in un ristorante e poter scegliere un formaggio prodotto da un determinato caseificio piuttosto che da un altro, esattamente come si farebbe con un Brunello di Montalcino o un qualsiasi altro vino. Vorrei poter scegliere, anche nell’ambito di uno stesso formaggio, una specialità o una referenza particolarmente buona. Abbiamo fatto un primo passo con Fipe, con cui ci incontreremo per fare alcune cose insieme».

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Alberto Lupini


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