Ristorazione, chi riaprirà e come? La panoramica di Fipe sul domani

Il presidente di Fipe Bari-Bat lancia il grido d'allarme «1 ristorante su 5 chiuderà» e Luciano Sbraga, direttore del Centro Studi della Federazione chiarisce: «Bisognerà adattarsi» . Distanziamento, delivery. Inoltre, se il turismo «quello interno, lo vedremo al lumicino», servirà un vero aiuto dal Governo

19 aprile 2020 | 07:30
di Marco Di Giovanni
Che la ristorazione sia il settore più colpito dall'emergenza coronavirus è cosa ormai nota, ma si ha un'effettiva idea delle reali conseguenze di questa crisi nel settore? A darne un'idea più concreta, partendo dal grido d'allarme lanciato da Dino Saulle, presidente Bari-Bat della Fipe - «Un quinto dei locali slow food rischia seriamente di non riaprire bottega» -, è Luciano Sbraga, direttore del Centro Studi di Fipe.


Luciano Sbraga e Dino Saulle

Quali tipologie di locali avranno più difficoltà?
Una prospettiva a dir poco preoccupante, sulla quale è necessario riflettere, ma soprattutto intervenire immediatamente. Perché, come ha precisato Saulle, parlando dell'intero settore, «le maggiori difficoltà» che già adesso si fanno sentire, non saranno paragonabili a quelle che «si paleseranno alla riapertura, specie per i locali più classici, le trattorie, e per le sale da ricevimento».

Sulla questione è stato interpellato da Italia a Tavola anche Luciano Sbraga, direttore del Centro Studi di Fipe. «Per la ristorazione tradizionale indubbiamente ci saranno delle difficoltà alla riapertura. Ma bisogna anche pensare a come le cose oggi stanno già mutando. Anche le trattorie, diciamo, si sono approcciate al delivery. La consegna a domicilio nata con le pizzerie ora si va aprendo anche alla cucina italiana. Le persone oggi stanno ordinando quei piatti che prima non ordinavano. Questa tendenza si protrarrà anche a domani, quando le persone non andranno al ristorante con la stessa facilità di ieri, quindi il delivery potrà avere uno spazio in più». Le pizzerie avranno dalla loro la possibilità di sopperire alla carenza di fatturato con un asporto già ben radicato nella mentalità degli italiani.

Che poi siano pizzerie o trattorie, in loco per tutti la gestione cambierà: «In generale nella ristorazione un problema lo avranno quei locali che lavorano molto sui numeri. Le pizzerie in questo risentiranno indubbiamente della crisi, perché in questa tipologia di locali il distanziamento non c'è stato prima. Si dovrà lavorare sulla rotazione dei tavoli, sui flussi consistenti di clienti, bisognerà gestire la situazione».

Sbraga infine pensa ai bar: «Saranno quelli più in difficoltà». Sotto un certo punto di vista, spiega, il bar troverà la sua crisi nella gestione degli spazi e nelle modalità di consumo: «Il bar è legato a un modello di consumo in piedi, al banco... Gestire il distanziamento interpersonale sarà sicuramente una cosa non facile». D'altra parte «il bar ha anche il vantaggio di essere legato alla funzionalità. Penso al pranzo di mezzogiorno, al caffè al volo. Davanti a un consumo del genere, più funzionale, il cliente potrebbe adattarsi a situazioni non entusiasmanti dal punto di vista del comfort».

Quanti non riapriranno?
Come lamentato da molti ristoratori, il coronavirus rischia di uccidere meno della crisi economica che conseguirà a questa emergenza, se non si fa qualcosa. Il presidente della Fipe Bari - Bat lo conferma per la sua provincia: «Da quanto ho potuto apprendere, specie tra i piccoli, un quinto rischia seriamente di non riaprire bottega». Sbagra sotto questo punto di vista dà numeri più completi e più cauti: «Previsioni è difficile farne. Bisogna basarsi per ora sui dati che abbiamo. Se noi riapriremo, come si sente dire, per la fine di maggio, significa che da qui a fine anno saranno persi almeno 28-29 miliardi di euro, una cifra devastante. Stiamo parlando di una caduta del volume di attività nell'ordine del 30% e più». Con questa prospettiva, le imprese a rischio secondo Sbraga sono circa 50mila. «Ora, non è detto che chiuderanno, sono a rischio però».

Il crollo del turismo non aiuta
Dal caso particolare di Saulle - «Ho cancellato comitive che venivano da Francia, Germania e Usa. Altre sono previste per settembre, tuttavia trovo improbabile che arriveranno turisti in quel periodo, per come vedono oggi il Paese» - a quello più generale di Sbraga - «Il turismo non ci sarà almeno per un anno». Prosegue nel suo ragionamento il direttore del Centro Studi di Fipe: «Se dall'estero ci aspettiamo turismo zero, quello interno lo vediamo ridotto al lumicino, per ragioni legate soprattutto a questioni psicologiche, di sicurezza». Tra l'altro per chi decidesse di superare il problema della "paura" per così dire, rimarrebbe il «problema del potere di acquisto, perché con il crollo del Pil di almeno 9 punti (circa 100 miliardi di euro) la gente non avrà la possibilità economica di spostarsi. Mi vengono in mente i lavoratori stagionali, che contavano su un certo reddito che invece non avranno».

A questo proposito è giusto citare anche situazioni più estese a livello internazionale che di certo non aiuteranno la causa: dalle parole della von der Leyen sul non prenotare vacanze nei prossimi mesi alla voce per cui i biglietti aerei, superata l'emergenza, potranno arrivare a costare fino al triplo del valore precedente alla pandemia.

E il Governo?
Sulle azioni finora messe in campo dal Governo, c'è scontentezza nel settore: «Innanzitutto bisogna aprire - chiarisce Sbraga - anche in condizioni drammatiche, come avessi un braccio legato dietro la schiena, almeno inizi, non a correre, ma almeno a camminare». Dalla riapertura ai conti: «In secondo luogo, le imprese hanno bisogno di liquidità vera, non virtuale. Siamo ormai a oltre un mese dal lockdown e non si è ancora visto un euro in tasca alle imprese».

Si ragiona intorno ai 25mila euro. Per dirla alla Saulle, «questi soldi non sono a fondo perduto come in altre parti d'Europa, sono un prestito che noi dovremo ritornare, insomma, un indebitamento». Per Sbraga «i 25mila euro, prestiti quindi al 100% di garanzia, dovrebbero se non altro essere aumentati, allungando poi il termine della restituzione del prestito - sei anni sono pochi». «Le imprese vanno indennizzate, perché hanno perso una parte consistente della loro attività. Ci deve essere una risorsa a fondo perduto, per una parte di quello che hanno perso, almeno».

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Alberto Lupini


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