C’è voluto del tempo, ma alla fine il mondo dei
ristoranti e dei
pubblici esercizi è riuscito a fare quadrato e presentare al Governo la propria ricetta per ripartire. Misure pratiche, sostenute dalla necessità di andare oltre la logica dei Ristori, per dare la possibilità alle aziende dell’
Horeca di alzare la serranda e tornare a lavorare.
Il documento Fipe-Fiepet è stato presentato il 18 gennaio
Punto di svolta, in questo senso, è stato
l’incontro del 18 gennaio tra i vertici di
Fipe-Confcommercio,
Fiepet Confesercenti, i sindacati dei lavoratori del settore e il ministro dello Sviluppo economico,
Stefano Patuanelli. Da qui è emerso un documento in cui sono messe, nero su bianco, alcuni interventi necessari a sostenere la prossima
ripartenza. Perché, se da un lato si sono evitate fughe in avanti sulla scorta della
fallimentare campagna #ioapro, dall’altro il tema sanitario è solo una parte (per quanto importante) della
sostenibilità di un’attività d’impresa. E il documento di sintesi parte proprio da qui, come testimoniano i focus su
fiscalità di impresa e
lavoro.
In attesa della (nuova) cassa integrazioneIn particolar modo, su quest’ultimo tema, si gioca anche l’attualità. In attesa del nuovo decreto
Ristori, il quinto della serie che dovrebbe sfruttare lo scostamento di bilancio da 32 miliardi di euro approvato dal Parlamento a metà gennaio, le indiscrezioni sull’allungamento della
cassa integrazione di 26 settimane incontra il favore delle associazioni di categoria della ristorazione. Nel documento unitario presentato al ministero, si parla di un «prolungamento degli ammortizzatori sociali (Fis/Cassa integrazione in deroga) fino al termine del periodo di crisi per ulteriori
18 settimane almeno nel corso del 2021 senza alcun costo aggiuntivo e senza alcuna distinzione dimensionale». Una misura che rappresenterebbe una
speranza per l’Horeca. Perché «i locali che riapriranno ad aprile saranno pochi. Chi lo farà si troverà comunque a operare in una situazione di
contrazione economica, con un
turismo ancora fermo e un volume di giro d’affari bassissimo. Ragionevole quindi che permanga la Fis (Fondo di integrazione salariale) per un settore che vedrà una prima fase di ripartenza a singhiozzo», spiega l’avvocato
Emanuele Massagli, presidente di
Adapt (Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali).
Va comunque ricordato che le attuali misure in vigore (introdotte dalla legge di Bilancio 2021) prevedono già la possibilità di riconoscere, nel corso del 2021, 12 settimane di ammortizzatori sociali con
causale Covid-19 da fruire nel periodo compreso tra l’1 gennaio e il 31 marzo per la cassa integrazione ordinaria; e tra l’1 gennaio e il 30 giugno 2021 per l'assegno ordinario e la cassa integrazione in deroga. Attualmente, però, non è ancora chiaro se le ulteriori settimane siano esenti da contribuzione o abbiano un costo per i datori di lavoro.
In attesa che dal
Governo giungano segnali, le associazione di categoria hanno chiesto al ministero di «prorogare la decontribuzione in caso di mancato utilizzo anche parziale della cassa» e la neutralizzazione nel corso dell’anno 2021 di «tutti i contatori degli strumenti ordinari di ammortizzazione social». Detto diversamente, i ristoratori chiedono due cose: «Mantenere la cassa integrazione nel caso prosegua la
chiusura per ragioni sanitarie dei locali e di pensare a una
decontribuzione, anche per un periodo limitato, del costo del lavoro per quegli esercizi che vogliono e possono ripartire in sicurezza al fine di incoraggiare e sostenere la ripresa delle attività», sintetizza Massagli.
La deadline che tutti vogliono evitareA preoccupare maggiormente al momento, però, non è tanto la mancanza di fondi (come ha dimostrato il dibattito sui circa 200 miliardi di euro del Next Generetion EU), ma la fine del blocco dei
licenziamenti fissata per il 31 marzo. «Al netto di ulteriori interventi legislativi è facile immaginare che si apriranno scenari drammatici che incideranno negativamente sul mondo del lavoro, con ripercussioni gravissime sulle lavoratrici, sui lavoratori, sulle loro famiglie e, conseguentemente, sull’intero sistema economico nazionale», spiega l’avvocato giuslavorista
Tatiana Biagioni dello studio
Biagioni e Danesi. D’altronde, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo trae origine proprio da ragioni economiche e «è di immediata comprensione che una volta venuto meno il divieto, vi saranno molte aziende che in questo lungo periodo di restrizioni e
inattività avranno registrato contrazioni di
fatturato: ciò porterà presumibilmente alla scelta di ridurre i costi mediante il taglio del personale», commenta Biagioni. E qui entrano in gioco le questioni dimensionali delle aziende che, a seconda superino o meno le 15 unità, potranno arrivare anche a licenziamenti collettivi. «Ovviamente non è da escludere, come a volte accade, che la grande azienda proceda a licenziare gradualmente i propri dipendenti senza aver così obbligo di attivare la procedura di licenziamento collettivo, limitando ad esempio i licenziamenti a 4 unità ogni 120 giorni», specifica Biagioni.
Flessibilità e recupero della stagionalitàPer far fronte a questa situazione, Fipe e Fiepet hanno proposto che «in un prospettiva futura di ripresa delle attività vanno facilitate le modalità di accesso al
contratto a tempo determinato e previste forme di decontribuzione per il mantenimento dell’occupazione al termine del periodo di blocco dei licenziamenti». Già ora, per esempio, i datori di lavoro possono richiedere l’esonero dal pagamento dei
contributi a loro carico (con esclusione dei premi Inail) come alternativa alle 12 settimane di ammortizzatori sociali Covid-19. «Lo
sgravio è riconosciuto per un ulteriore periodo massimo di 8 settimane, utilizzabile entro il 31 marzo 2021, nei limiti delle ore di integrazione salariale fruite nei mesi di maggio e giugno 2020. L’implementazione della misura in oggetto e`, tuttavia, ancora subordinata all’
autorizzazione della Commissione europea, nel rispetto di quanto previsto dal Quadro temporaneo degli aiuti di Stato a sostegno dell’economia, nell’attuale emergenza Covid-19», spiega l’avvocato
Emanuela Nespoli, partner dello studio
Toffoletto De Luca Tamajo e Soci.
Tradizionalmente poi, il settore è caratterizzato da grande
stagionalità. Un aspetto totalmente azzerato dalla pandemia. Per ripartire quindi c’è bisogno di maggiore
flessibilità e
rapidità. Anche a livello burocratico. «Da qui la richiesta delle associazioni di categoria di non applicare le regole rigide e tipiche di un contesto di crescita economica. Il contratto a tempo determinato, per esempio – spiega Massagli - può essere sottoscritto per un anno senza causale mentre per il periodo successivo la specifica serve. Ma servono delle
eccezioni per affrontare il periodo che ci troviamo di fronte. Pensiamo al settore banqueting e catering. Se ripartono i matrimoni è comprensibile attendersi un boom nella domanda a cui le aziende risponderanno con maggiori assunzioni di personale. Ma il rischio è che si ripeta quanto visto la scorsa estate dove in autunno si era tornati a chiudere tutto».
L'incontro con il CtsA seguito dell'incontro con il ministro Patuanelli, Fipe e Fiepet sono stata protagoniste anche di un tavolo di lavoro che vedeva
presenti anche alcuni membri del Cts (Comitato tecnico scientifico) che ha il compito di indicare alla politica quali misure siano più idonee per combattere la trasmissione del virus. L'incontro con gli esperti ha permesso alle associazioni di categoria di presentare le proposte già sottoposte al ministro Patuanelli in materia sanitaria: rafforzare i protocolli di sicurezza (già i più alti in Europa), ascoltare il parere degli scienziati e cominciare a riaprire anche la sera nelle zone gialle e, almeno di giorno, in quelle arancio quei locali che per superficie e garanzie possono essere considerati “sicuri”