Ristoranti aperti, ma… a porte chiuse. Una contraddizione in termini, che sta mandando in crisi migliaia di ristoratori veneti. A spiazzare l’intera categoria è l’ennesima ordinanza regionale. Dopo quella della Calabria, ora a creare scompiglio nel settore è quella firmata due giorni fa dal governatore della Regione Veneto Luca Zaia. Poche regole, confuse, e molto (troppo) lasciato all’iniziativa dei ristoratori, che non sanno letteralmente che pesci prendere.
Alessandro Milani (in primo piano) insieme al collega Piergiorgio Zavatti
In sostanza, i ristoranti possono aprire, purché effettuino esclusivamente un servizio-mensa per i lavoratori dei cantieri, e a patto che tra il locale e le aziende che decidono di usufruire del servizio venga firmata una sorta di “contratto” in cui appaiono i nomi dei lavoratori che si siedono ogni giorno ai tavoli del locale. Una procedura macchinosa e piena di lacune, secondo gli addetti ai lavori, che per ora in massa hanno deciso di restare chiusi.
«Si tratta dell’ennesimo provvedimento del nostro governatore che, facendo lo slalom tra i paletti dei vari decreti, sta cercando in qualche modo di far riaprire le attività», spiega
Alessandro Milani, titolare della trattoria El Piron di Bassano del Grappa (Vi) e rappresentante locale di Confartigianato.
«Bene la riapertura – prosegue – ma c’è un problema grosso: non ci sono ancora le
linee guida sulle norme di sicurezza. Non sappiamo se e come prendere la temperatura ai clienti, come organizzare il personale e i tavoli. Sull’ordinanza sta scritto che dobbiamo separare i lavoratori di aziende diverse, facendoli sedere in sale separate, ma non tutti possiedono più ambienti e non si possono riservare sale magari soltanto per un paio di clienti». Insomma, il caos più totale.
Luca Zaia
Ma cosa dice di preciso l’ordinanza del governatore Luca Zaia? Ecco lo stralcio che interessa da vicino i ristoratori:
“In attuazione della lett. aa) dell’art. 1, DPCM 26.4.2020, è consentita l’effettuazione, previo apposito contratto, di attività di mensa per addetti di una o più imprese, presso esercizi chiusi al pubblico. Possono essere ammessi solo i lavoratori nominativamente indicati dal rispettivo datore di lavoro e nel rispetto dell’orario predeterminato, suddiviso in turni. Devono essere rispettati il distanziamento di almeno m. 1 e le norme igienico sanitarie. In caso di presenza di addetti di più imprese, deve essere garantito l’uso di sale separate tra addetti di imprese distinte. Tra un turno e il successivo devono essere effettuate arieggiatura e sanificazione dei locali, in particolare per quanto riguarda i bagni, senza permanenza di persone in attesa all’interno o all’esterno del locale. Il personale di sala deve utilizzare la mascherina e cambiare i guanti tra i turni. Se possibile, entrata e uscita devono essere separate. L’esercente dà comunicazione preventiva del servizio al comune”.
Insomma, una serie di disposizioni che i ristoratori non sanno come attuare, non ultima la procedura che impone al commerciante di comunicare al Comune l’avvio del servizio. E ancora: come garantire che non si formino code fuori dal locale, durante le operazioni di sanificazione? «Non vorrei che la pezza, come si dice in questi casi, non faccia più danni dello strappo», è la considerazione amara di Alessandro Milani, che nel frattempo ha deciso, insieme alla stragrande maggioranza dei suoi colleghi, di tenere le porte chiuse e pure le serrande abbassate.