Nemmeno lo sblocco all’utilizzo estensivo del green pass ha permesso la riapertura delle discoteche. Niente da fare per i locali notturni la cui situazione non cambia dopo l’ennesimo decreto relativo alla gestione della pandemia soprattutto per quanto riguarda i pubblici esercizi. Quest’estate non si balla in pista. E iniziano a piovere i primi ricorsi ai Tar regionali da parte delle imprese coinvolte dal blocco delle attività.
La reazione di Silb e Asso Intrattenimento
«La disposta chiusura delle discoteche è discriminante e inammissibile: per le aziende del settore si tratta della definitiva perdita della patrimonialità, iniziando dall’azzeramento dell’avviamento, alla perdita di valore degli investimenti anche a lungo termine operati negli anni precedenti all’arrivo del Covid-19, alla definitiva perdita delle professionalità aziendali e della capacità operativa e commerciale di un intero comparto economico» è quanto si legge nel comunicato congiunto diramato da Asso Intrattenimento e Silb. Vengono così messe in fila le conseguenze di un “no” tutto da spiegare e da risarcire.
La questione risarcimenti: «20 milioni? Si tradurranno in un contributo forfettario da 7mila euro ad azienda»
«Il presidente Draghi ha annunciato 20 milioni di ristori per le discoteche. Sono briciole, una presa in giro. In Italia ci sono 3mila discoteche chiuse da 18 mesi. Imprese che pagano in media 140mila euro di affitto l’anno. Questa elemosina si tradurrà in un contributo forfettario da 7mila euro ciascuno. Non vogliamo più sentir parlare di ristori: siamo chiusi per decreto da due anni e pretendiamo un vero e proprio risarcimento da parte di chi ha deciso che siamo pericolosi», ha affermato il presidente di Asso Intrattenimenti, Luciano Zanchi.
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Tito Pinton (Il Muretto): «Riapriremo in modalità giardino estivo, ma siamo pronti con i ricorsi»
«Cosa vuole che le dica. C’è tanta rabbia. Noi apriamo domani in modalità giardino con dj utilizzando il green pass come fossimo un qualsiasi altro locale, ma non è questo il modo di lavorare. Io non sono un ristoratore o un barista, organizzo feste e spettacoli all’interno delle discoteche mettendo a punto le scenografie, scegliendo gli artisti, mettendo a disposizione dei clienti un ambiente confortevole e sicuro. Ma se non ce lo lasciano fare è come rovinarci. Non si rendono conto del danno economico che stanno causando alle aziende. Parliamo, almeno, di mezzo milioni a società di media. Mentre sembra che il plafond per i risarcimenti sia solo di 20 milioni di euro per tutti», afferma sconfortato Tito Pinton, titolare, fra gli altri, del Muretto di Jesolo.
Eppure, un accordo a livello tecnico-scientifico sembrava esserci: «È proprio quello che ci stiamo chiedendo ora: se il Cts ha detto sì ai protocolli che sono stati presentati, perché si è arrivati a questo no? Abbiamo messo tutto in mano agli avvocati. C’è il margine per una class action nei confronti dello Stato», conclude Pinton.
Dai protocolli al no, cosa è andato storto?
Più di un mese fa, ormai, attraverso la mediazione del sottosegretario alla Salute, Andrea Costa due associazioni di categoria, il Silb e Asso Intrattenimenti, erano riusciti a far valutare i protocolli per l’accesso alle discoteche al Comitato tecnico scientifico che aveva dato il proprio nullaosta alla ripresa del settore. In sostanza: utilizzo del green pass come passepartout per entrare in discoteca, all’aperto, e ballo in pista senza mascherina. Questi i due capisaldi che, purtroppo, non hanno convinto il Governo. «E a questo punto sono due le cose che mi chiedo. La prima: il Governo legalizza l’abusivismo? La seconda: il vaccino funziona o no? Perché se funziona allora anche le discoteche dovrebbero riaprire così come aprono i bar, i ristoranti, le palestre e i musei», commenta Gianni Indino, presidente del Sindacato italiano locali da ballo dell’Emilia-Romagna. Prossimi passi? «Stiamo pensando a un ricorso al Tar e al Consiglio di Stato. Ora deve essere un giudice a prendere in esame la nostra situazione e fare chiarezza. Poi, se ci saranno da fare azioni eclatanti le faremo. Le abbiamo sempre promesse e ormai la misura è colma: ci sono circa 250mila lavoratori che in un modo o nell’altro sono legati al nostro settore. Chi li tutela in questo modo?», conclude Indino.
Anche chi si è riconvertito alla ristorazione non se la passa bene
E se non si può ballare, in discoteca si può mangiare. Un ritorno alle origini costretto dalle necessità. Come è stato per Gabriele Nicoli che ora gestisce il Bellavita presso la Cascina la Rosa Bianca in provincia di Bergamo: «Si tratta pur sempre di un ripiego. Non è il nostro lavoro. E questo cambio, per quanto ci si sia sforzati di mantenere lo stesso format, far leva sugli stessi canali penalizza comunque la nostra clientela. Il tutto mentre nei disco bar, nelle piazze e nei circoli è tutto un fiorire di feste abusive. Soprattutto nelle località di villeggiatura oppure nei ristoranti con grandi spazi all'aperto destinati ai matrimoni».
Una resa all'inevitabile? «Non c’è nemmeno una data di possibile riapertura. Per noi la situazione è sempre più critica e drammatica. Non vediamo la famosa luce in fondo al tunnel. I ristori promessi sono ridicoli. Il nostro settore rischia di scomparire: è ormai un anno e mezzo che siamo chiusi», conclude Nicoli.
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Alberto Lupini
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