Il costo dell'energia continua a galoppare e, con la stagione fredda in arrivo, la situazione potrebbe persino peggiorare. La guerra tra Russia e Ucraina, di cui ancora non si intravede la fine, gioca un ruolo fondamentale nell'impennata dei costi del gas, ma anche il caldo e la siccità hanno contribuito in maniera attiva alla crisi energetica che tutta Europa si trova ad affrontare.
Senza guardare troppo in avanti, ma restando nel presente, bar e ristoranti hanno già dovuto fare i conti con bollette salatissime e per Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei pubblici esercenti, è arrivato il momento di intervenire. Come? Estendendo e rafforzando il credito di imposta.
Italia virtuosa nonostante gli aumenti
Procediamo con ordine e facciamo alcuni esempi per capire cosa stanno affrontando bar e ristoranti. Una pasticceria del centro di Firenze, ad esempio, che a luglio 2021 ha speso 2.307 euro per 9.383 kwh di consumi di energia elettrica, a luglio di quest’anno ha speso 10.243 euro per 11.721 kwh con un costo al Kwh che è salito da 0,16 a 0,69 euro. Analogo discorso per un bar di Roma, costretto a pagare a luglio 6.946 euro kwh a fronte dei 2.316 euro di un anno fa per un consumo equivalente di poco più di 10 mila kwh. In questo caso il costo del Kwh è passato da 0,14 a 0,52 euro. Due casi particolari che sono però la fotografia di una situazione ampiamente diffusa.
Nonostante ciò, secondo un'analisi dell'Ufficio Studi Fipe, i prezzi dei servizi di ristorazione in Italia sono aumentati del 4,9% a luglio, rispetto allo stesso mese del 2021. Questo a fronte di una crescita media nei paesi dell’Unione europea del 7,8%, con incrementi del 9,2% in Austria, dell’8% in Olanda e del 7,7% in Germania. Insomma, l'Italia si dimostra virtuosa e prova a "tenere botta", ma i margini ormai sono ridottissimi.
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«Estendere il credito d'imposta»
«Senza un intervento immediato che faccia da argine all’incremento esponenziale dei costi delle bollette per luce e gas che si è registrato nelle ultime settimane, presto i consumatori si troveranno a fare i conti anche con l’impennata dei listini in bar e ristoranti - hanno spiegato da Fipe - Fino a questo momento le imprese della ristorazione italiana si sono rivelate le più virtuose d’Europa, ammortizzando questi extra costi senza scaricarli sulla clientela, ma il sistema ora non è più sostenibile. Bisogna correre ai ripari estendendo immediatamente il credito di imposta anche alle imprese non energivore e non gasivore, per coprire gli aumenti che si stanno registrando nelle ultime bollette e che sembrano destinati a crescere ulteriormente nei prossimi mesi. Un credito di imposta che dovrà però essere ben superiore al 15% per l’energia elettrica e al 25% per il gas previsto per il II trimestre 2022 dal momento che le imprese si trovano a fronteggiare aumenti ben più consistenti. In più, dovrà essere concessa la possibilità di rateizzare le bollette monstre ben sapendo che il credito d’imposta è successivo al pagamento e anche se più “generoso” non potrà mai compensare interamente l’extra costo».
A rischio 90mila imprese
All'allarme lanciato da Fipe si è unita anche Confesercenti. In una nota l'associazione che tutela le imprese ha spiegato che preoccupa e non poco la stima degli aumenti relativi ai rincari previsti in bolletta nei prossimi mesi. Secondo le stime di Confesercenti, elaborate su dati Innova, Unioncamere e Agenzia Entrate, se nel 2020 e 2021 un bar spendeva in media 6.700 euro per le bollette di luce e gas, nei prossimi dodici mesi, ipotizzando che gli aumenti attuali restino costanti, lo stesso bar spenderà 14.740 euro. Un aumento del 120 % e un’incidenza sui ricavi aziendali che passa dal 4,9 % al 10,7 %.
Allo stesso modo, un albergo medio vedrà lievitare la spesa per la bolletta energetica da 45.000 euro a 108.000 euro (+140% con un’incidenza di oltre 25 punti percentuali sui ricavi). Un negozio da 1.900 euro a 3.420 euro (+80 %) e un ristorante da 13.500 euro a 29.700 euro (+120%).
Per le imprese, stima ancora Confesercenti, è chiaramente impossibile gestire aumenti di costi così rilevanti, cui si aggiungono anche quelli delle materie prime alimentari, traslando sui prezzi di vendita gli interi importi. Il rischio è che il 10% delle imprese esca dal mercato, ovvero circa 90mila imprese per un totale di 250mila posti di lavoro a livello nazionale.
Particolarmente preoccupanti sono le previsioni per supermercati e ipermercati, dove gli aumenti potrebbero cancellare in una stagione gli incrementi di fatturato dell’ultimo periodo, vanificando la ripresa.
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Alberto Lupini
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