Pasticceri e cuochi, l’unione fa la forza Golose alchimie al Premio Italia a Tavola
05 aprile 2016 | 16:02
di Annalisa Cavaleri
Quante cene eccellenti finiscono con un dessert che non è all’altezza delle altre portate? Troppe. «Ed è un vero peccato - spiega Federico Anzellotti (nella foto sopra), presidente Conpait, Confederazione pasticceri italiani - perché i due sapori che restano di più in bocca alla fine di un pasto sono proprio il dolce e il caffè. Le soluzioni per ovviare a questo problema sono due. Lo chef può stringere un’alleanza con una pasticceria e farsi fornire il dolce, certo che sarà preparato nella maniera corretta. E, sarebbe bello che la pasticceria venisse segnalata nel menu come un “vanto”, proprio come si fa con un eccellente produttore di carne o di pasta. In questo modo si potrebbe ovviare al problema del dessert senza impegnare troppe risorse economiche.
«I ristoranti più strutturati, invece - continua Anzellotti - devono affidarsi a un pasticciere specializzato nei dolci al piatto, che non vanno sottovalutati perché sono un complesso mondo a sé. Nel piatto bisogna creare l’armonia tra consistenze e temperature - caldo e freddo, cremoso e croccante - e studiare la presentazione nei minimi dettagli. Proprio per formare la figura dello chef pasticciere, un professionista capace di integrarsi alla perfezione nella brigata, Conpait ha stretto a novembre un accordo con la Fic, Federazione italiana cuochi. La collaborazione attiva tra cuochi e pasticcieri è l’unica strada possibile per offrire al cliente un’esperienza di gusto completa e soddisfacente dal primo all’ultimo boccone, evitando “scivoloni” dell’ultimo minuto che compromettono inevitabilmente tutto il duro lavoro fatto con le altre portate».
Federico Anzellotti alla cena di gala del “Premio Italia a Tavola” ha presentato “Pre Dessert Spritz Italiano”.
Pasticceria, la difficoltà dell’alchimia
Che il pasticciere non abbia nulla da invidiare a un cuoco è la convinzione di Matteo Berti, coordinatore didattico di Alma, la Scuola Superiore di cucina fondata dal Maestro Gualtiero Marchesi. «La difficoltà della pasticceria - afferma Berti - è intrinseca, perché il pasticciere non ha mai a disposizione un ingrediente pronto per essere cotto, ma deve necessariamente assemblare. Mentre un cuoco, ad esempio, sceglie un ottimo produttore di carne e poi si concentra sulla cottura e sulle tecniche, il pasticciere deve necessariamente fare un percorso più lungo. L’assemblaggio è necessario fin dall’inizio della preparazione e poi seguono cotture e abbinamenti. Eppure la magia sta proprio qui: controllare le reazioni chimiche e scoprire come, da quattro ingredienti, si possono ottenere centinaia di preparazioni».
Un fascino sempre più sentito dai giovani, tanto è vero che gli iscritti aumentano: «Il primo corso superiore di pasticceria - continua Berti - contava 12 allievi, oggi ad Alma sono attivi tre corsi all’anno da 60 allievi l’uno. C’è molto lavoro da fare perché, quando si parla di cucina, i ragazzi arrivano con le idee più chiare: se si parla di pasta o carne, nessuno si spaventa perché in casa o nel proprio territorio sono entrati in contatto con molte ricette. Per la pasticceria è diverso e pochi sanno cosa sia un Pan di Spagna e, soprattutto, pochi ne conoscono il corretto procedimento di preparazione. Il nostro obiettivo è creare dei professionisti completi, che conoscano le basi della pasticceria classica, ma non abbiano paura di indagare il cioccolato e lo zucchero artistico, fino ad arrivare al dolce al piatto da alta ristorazione. È proprio nel grande ristorante che il pasticciere può mettere alla prova tutta la sua tecnica e professionalità, perché è solo con il dolce espresso che si può giocare con consistenze e temperature diverse».
La Pasticceria Classica Italiana
Per Italia a Tavola i pasticcieri di Alma hanno voluto portare dei mignon chiamati “La Pasticceria Classica Italiana” e, anche in questo caso, c’è un senso profondo: «Trasformare un dolce della tradizione - conclude Berti - in un mignon non è semplice perché bisogna riprodurre in bocca le stesse sensazioni che dà una fetta o un trancio del formato “classico”. È una bella sfida per il futuro: con la mignon si può creare un percorso di degustazione che incuriosisca il cliente e permetta di provare più dolci senza appesantire, rispettando l’esigenza di leggerezza che contraddistingue questi anni».
Un’altra voce si alza dalla squadra di Conpait ed è quella di Andrea Restuccia, pasticciere romano di 23 anni “fresco” vincitore del Campionato italiano di pasticceria seniores che si è tenuto a fine gennaio al Sigep di Rimini. «Spero che si parli sempre di più di pasticcieri e pasticceria, non tanto per “edonismo” - dice Restuccia - ma perché solo attraverso il dialogo e il confronto si può crescere. Un giovane che inizia questo lavoro deve sapere che i sacrifici sono tanti, ma che, se c’è la passione, le soddisfazioni non mancheranno. Le competizioni sono un ottimo banco di prova per testare il proprio livello e per crescere: prima di tutto perché il regolamento dà uno spunto, ma fornisce anche paletti precisi legati a tempi, materie prime e temi da rispettare, in secondo luogo perché si impara a gestire la tensione e a superare lo stress. Inoltre le sfide stimolano a cercare sempre la perfezione, perché non ci si presenta ad un confronto impreparati: se non ci sono le basi, non ci sono le altezze».
Il dolce servito da Andrea Restuccia alla cena di gala a Palazzo Borghese è “Gianduiotto”.
Più cuore ed emozione, a tutti i livelli
La vera, quasi segreta passione di Enrico Cerea, tre stelle Michelin del ristorante da Vittorio di Brusaporto, in provincia di Bergamo, sono da sempre i dolci. Oggetto di esaltanti elaborazioni e di sperimentazione senza limiti, la sua pasticceria oscilla tra la creazione di nuove tendenze e la reinterpretazione di grandi dessert classici.
«La pasticceria è estremamente importante - dice Cerea - e deve rappresentare l’identità di un ristorante, a tutti i livelli. Un ristorante strutturato può permettersi professionisti formati e una linea dedicata, ma non è detto che un ristorante più piccolo o meno strutturato debba rinunciare all’emozione del dolce. La semplicità può essere la chiave: un tiramisù buonissimo, una meringata, una torta appena sfornata possono essere dei fine pasto eccezionali e uno dei motivi di ritorno e di fidelizzazione di un cliente. Sempre più spesso si vedono ristoranti che offrono cucina tipica e, al momento del dessert, portano in tavola pasticceria francese che poco ha a che fare con i piatti precedenti, creando una sorta di “confusione” nel cliente, che si trova psicologicamente spiazzato.
«La vera fortuna della pasticceria da ristorazione - continua Cerea - è la possibilità di offrire un dolce espresso, da assemblare all’ultimo momento, e questa peculiarità va sfruttata, giocando con temperature e consistenze, anche senza inutili complicazioni: uno dei dolci che più amo di mia madre è una torta di mele morbida, abbinata a un gelato alla vaniglia. Se ogni ristorante trovasse il “suo” dolce, frutto di pensiero e ricerca, riuscirebbe a comunicare sempre un’emozione a chi si siede al tavolo».
E, se la tradizione è il punto di partenza, il consiglio resta quello di alleggerirla per renderla appetibile anche alla fine di un lungo percorso gastronomico: «La pasticceria non va mai sottovalutata - conclude Cerea - perché bisogna creare qualcosa di veramente invitante e particolare se si vuole “convincere” il cliente a concedersi uno sfizio “calorico” dopo molte altre portate. Per questo abbiamo creato dolci come il Tiramisù moderno, una crema sottile al mascarpone con biscuit inzuppato che ricrea con leggerezza la perfetta armonia tra crema e caffè. Mai dimenticare che i dolci sono prima di tutto emozione, cuore e passione».
Il pasticciere, custode delle tradizioni
A difesa delle tradizioni, si alza anche la voce di Paolo Sacchetti, vice presidente AMPI, Accademia Maestri Pasticceri Italiani. Ma, come abbiamo detto, non si tratta di riprodurre le ricette del passato così come sono, ma di riadattarle alle nuove esigenze. Un esempio perfetto sono le sue Pesche di Prato, ormai un prodotto “cult” e cavallo di battaglia, che sono state offerte anche durante la cena di gala del “Premio Italia a Tavola”.
«Le pesche di Prato - sottolinea Sacchetti - sono un meraviglioso prodotto del territorio che meritava di essere valorizzato. Così ho rivisitato la ricetta, alleggerendola per renderla adatta alle esigenze moderne e il successo è venuto in modo naturale. Ogni pasticciere dovrebbe “adottare” un prodotto del proprio territorio e farlo conoscere. Non bisogna tralasciare, poi, l’aspetto economico: quel dolce può diventare un elemento di riconoscibilità e un’importante voce di fatturato».
«La crisi economica non ha portato bene al mondo della pasticceria, così come alla ristorazione - continua Sacchetti - ma qualcosa di positivo c’è. È come se si fosse messa in atto una sorta di “selezione naturale”: il cliente, sempre più attento, ha iniziato a riconoscere i prodotti buoni e a preferirli agli altri. La qualità, sul lungo periodo, ripaga e ogni sforzo viene ricompensato, perché chi assaggia un prodotto di alto livello, difficilmente torna indietro. Faccio il pasticciere dal 1976 e nel 1989 mi sono messo in proprio: allora i palati erano più abituati alla margarina che al burro. Non è stato facile ma, pian piano, ho iniziato a far capire la differenza tra i due e il risultato è stato un cliente fedele, disposto a spendere giustamente di più per un dolce di valore. Il pasticciere deve diventare “maestro” ed “educatore”, perché se saprà spiegare le qualità del proprio prodotto, il cliente lo capirà e tornerà».
Un futuro di leggerezza
È riconosciuto a livello internazionale come uno dei più importanti pasticcieri italiani. Gianluca Fusto è sempre in viaggio - nel mondo e con la mente - per scrivere i nuovi orizzonti del dolce. Le sue creazioni sono prodigi di tecnica e, negli ultimi anni, si è concentrato nello studio di dessert sempre più leggeri, che non trascurino l’aspetto della salute: «Le mie regole per un grande dolce - dice Fusto - sono due: stile definibile e riconoscibilità. Sono regole imprescindibili per un dolce di alta pasticceria. Il mio lavoro si orienta, a livello visivo, su remind geometrici apparentemente semplici, e dal punto di vista sensoriale e gustativo su tre strutture e tre consistenze diverse».
Nella foto: Sara Papa e Gianluca Fusto
«Il mio obiettivo - continua Fusto - è utilizzare sempre meno grassi e zuccheri, riducendoli al minimo o addirittura, quando possibile, eliminandoli. Sto studiando come “estrarre” dolcezza da ingredienti inusuali, come la mandorla, creando in bocca equilibri particolari. Il dolce che ho creato per il premio di Italia a Tavola va naturalmente in questa direzione e dimostra che si può riprodurre la “magia” del dolce anche senza aggiungere zucchero, ma valorizzando quello naturalmente contenuto negli ingredienti». La sua creazione per la cena di gala del “Premio Italia a Tavola” si chiama “Eden” ed è una crema di piselli e menta, gelatina di latte e mandorla con insalata di edamame, piselli, ananas e rucola: la dimostrazione che gusto, leggerezza e salute sono davvero il futuro dell’alta pasticceria.
CLICCA QUI per il menu della cena.
Main sponsor dell’iniziativa sono stati Consorzio Grana Padano, Trentodoc, Consorzio Tutela Vini Soave e Consorzio Olio Toscano Igp; in partnership con importanti associazioni di categoria, rappresentative delle varie anime della ristorazione: Fic, Euro-Toques Italia, Itchefs-Gvci, Conpait, AMPI, Abi Professional, Noi di Sala, Le Soste, Jre, Chic, Ais Toscana e la scuola di cucina Alma. Tra i media partner ci sono Radio Bar, Firenze Spettacolo e Radio Toscana.
Foto: Giulio Ziletti - Riccardo Melillo - Nicola Impallomeni - Modestino Tozzi - Giovanni De Angelis
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Alberto Lupini