Mentre la May impugna la penna e con qualche firma fa tremare gli inglesi (quella fetta di poco inferiore al 50% della popolazione che ha dichiarato "No", a gran voce, al referendum sulla Brexit), le preoccupazioni, oltre al sentimento europeista, quelle concrete, quelle particolari, quelle per settore, che influenzerebbero il lavoro di molti, si fanno sentire.
Chi ha orecchie da intendere, intenda, parliamo, tra le altre, della Pac, quella Politica agricola comune che impegna circa il 34% del bilancio dell'Unione europea. Nasce con quattro obiettivi, e li riassumiamo così: assicurare un tenore di vita equo agli agricoltori; orientare le imprese verso una produzione maggiore e di qualità; stabilizzare i mercati; assicurare prezzi accessibili ai consumatori.
Un ancoraggio insomma, una sicurezza, non per sminuire la portata della Pac, ma per evidenziarne l'aspetto che oggi si cerca per la maggiore: «Sarebbe una follia rinunciare alla Pac - chiarisce con le sue parole il Ministro
Maurizio Martina - penso che più delle parole valga la paura che hanno gli agricoltori inglesi, che con la Brexit rischiano di perdere le coperture garantite fin qui dalla politica agricola comunitaria».
«Quella paura - aggiunge Martina - dice che non c'è prospettiva al di fuori della prospettiva agricola europea. Poi è giusto discutere dei grandi limiti della Pac, che va sicuramente migliorata, ma non ci si può rinunciare».
Perché, non si creda: il ministro delle Politiche agricole non nasconde, in occasione della conferenza economica della
Cia - Confederazione agricoltori italiani, la necessità di apportare "qualche modifica" al sistema che regolamenta il mercato del settore primario in Europa. Lo ribadisce la stessa associazione, incitando le istituzioni a una radicale riforma dell'attuale Pac, poiché, dei quattro obiettivi sopracitati, ne è stato centrato solo uno: garantire una produzione alimentare di qualità.
Maurizio Martina
Mancati invece gli altri tre, ribaditi dal vicepresidente Cia
Antonio Dosi: non è stato assicurato un reddito adeguato agli agricoltori (le stime Cia sulla
rilevanza economica del settore primario in relazione al calo del guadagno dei suoi operatori parlano chiaro); sostenibilità ed effetti del cambiamento climatico non sono stati affrontati in maniera soddisfacente; non sufficiente nemmeno la promozione dello sviluppo territoriale locale, per non parlare di una necessaria, ma, soprattutto in Italia, non ancora raggiunta, semplificazione amministrativa.
«Dal 2020 - osserva Dosi - la Pac dovrà essere maggiormente finalizzata all'impresa, alla filiera e al territorio», nel riconoscimento del'importanza del settore agricolo. Il 45% della superficie Ue è infatti agricola e nel settore sono attive 14 milioni di aziende che impegnano 30 milioni di persone con un fatturato di oltre 340 miliardi di euro.
Paolo De Castro
A continuare le parole del vicepresidente Cia, il vicepresidente, stavolta, della commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo
Paolo De Castro, che, sempre nell'ambito del Cia-raduno, ha descritto il regolamento Omnibus, un pacchetto di proposte steso a settembre 2016, che propone diverse modifiche, appunto, della Pac, come «un'occasione che dobbiamo cogliere per cercare di semplificare la vita agli agricoltori e ai Paesi membri».
Insomma, ci si muove, si parla, si rimane ancorati a quel che di concretamente buono (e non parlo quindi di ideali) ha e ha fatto l'Europa, ma soprattutto si fa tutto questo in un momento in cui il nazionalismo scoraggia le coalizioni internazionali, a cominciare da una tanto temuta Brexit che ogni giorno di più prende forma, per arrivare a un inarrestabile isolazionismo trumpiano, che dell'Europa e dei suoi prodotti tipici, pare proprio non ne voglia sapere.
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