New York dice no al foie gras Pratiche di allevamento crudeli
La Grande Mela ha messo al bando la specialità tipica della cucina francese. Il motivo? Sarebbe il risultato di una violenza eccessiva sugli animali. Produttori e ristoratori la definiscono una scelta eccessiva
02 novembre 2019 | 10:48
Dal 2022 a New York chi venderà foie gras rischierà una multa fino a 2mila dollari (invece dei mille della proposta iniziale) e non potrà più essere servito nemmeno al ristorante. La misura approvata dal consiglio comunale punta il dito contro la tecnica di allevamento di oche e anatre, che vengono nutrite a forza facendo in modo che nel loro fegato si formi una grande quantità di grasso in forma gelatinosa. A essere sotto accusa, in particolare, è il metodo del “gavage”, l’inserimento nella trachea dell’animale di una sonda gastrica per l’alimentazione forzata.
Molte le reazioni a questo provvedimento. Rivenditori e ristoratori accusano le autorità cittadine di scelte eccessive e radicali. Sono oltre mille i ristoranti che a New York servono piatti a base di foie gras, facendone una delle loro pietanze di punta. Infuriati in particolare i ristoranti e bistrot francesi, già colpiti dai dazi di Donald Trump sui vini d’Oltralpe.
Le associazioni animaliste, come la Peta e la Farm Sanctuary spiegano che quello che viene indotto negli animali è una patologia che si chiama statori epatica. I produttori si difendono sostenendo che i metodi utilizzati non sono cruenti e che il prodotto è frutto di un processo del tutto naturale.
Cresce intanto la preoccupazione per il destino delle due aziende fuori New York che sono i primi produttori di foie gras negli Stati Uniti, per le quali la Grande Mela è il primo mercato. In ballo c’è il loro futuro e quello di centinaia di lavoratori impegnati nei diversi stadi del processo produttivo, a partire dall’allevamento annuo di circa 350mila tra anatre e oche.
Ma New York è solo l’ultima di una lista di Paesi che hanno vietato la produzione di foie gras. In Europa non può essere prodotto in Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Polonia, Svezia, Svizzera, Paesi Bassi e Regno Unito; anche in Italia, dal 2007, risulta illegale. Nel mondo Argentina e Israele si sono mossi nella stessa direzione. Al momento il 78,5% della produzione mondiale di foie gras proviene dalla Francia, l’8,2% dall’Ungheria, il 6,4% dalla Bulgaria, l’1,4% dagli Stati Uniti, lo 0,6% dalla Cina e il restante 4,9% da altre parti del mondo.
Il 78,5% della produzione mondiale di foie gras avviene in Francia
Molte le reazioni a questo provvedimento. Rivenditori e ristoratori accusano le autorità cittadine di scelte eccessive e radicali. Sono oltre mille i ristoranti che a New York servono piatti a base di foie gras, facendone una delle loro pietanze di punta. Infuriati in particolare i ristoranti e bistrot francesi, già colpiti dai dazi di Donald Trump sui vini d’Oltralpe.
Le associazioni animaliste, come la Peta e la Farm Sanctuary spiegano che quello che viene indotto negli animali è una patologia che si chiama statori epatica. I produttori si difendono sostenendo che i metodi utilizzati non sono cruenti e che il prodotto è frutto di un processo del tutto naturale.
Cresce intanto la preoccupazione per il destino delle due aziende fuori New York che sono i primi produttori di foie gras negli Stati Uniti, per le quali la Grande Mela è il primo mercato. In ballo c’è il loro futuro e quello di centinaia di lavoratori impegnati nei diversi stadi del processo produttivo, a partire dall’allevamento annuo di circa 350mila tra anatre e oche.
Ma New York è solo l’ultima di una lista di Paesi che hanno vietato la produzione di foie gras. In Europa non può essere prodotto in Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Polonia, Svezia, Svizzera, Paesi Bassi e Regno Unito; anche in Italia, dal 2007, risulta illegale. Nel mondo Argentina e Israele si sono mossi nella stessa direzione. Al momento il 78,5% della produzione mondiale di foie gras proviene dalla Francia, l’8,2% dall’Ungheria, il 6,4% dalla Bulgaria, l’1,4% dagli Stati Uniti, lo 0,6% dalla Cina e il restante 4,9% da altre parti del mondo.
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Alberto Lupini
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