Altro che ripresa, dopo oltre due anni di pandemia. Il caro energia, la guerra in Ucraina e blocco dei tir (rientrato ieri, il 26 febbraio) sono ora un mix micidiale che può portare a un vero e proprio disastro economico. La parola corretta è stagflazione: prezzi in salita e consumi in rapida discesa. Uno scenario possibilissimo e l’allarme è stato lanciato con il blocco dei tir per tre giorni che ha causato, di fatto, nel Sud Italia il mancato approvvigionamento di carburante e di alimenti freschi, tanto che aziende come la Molisana hanno dovuto fermare la produzione.
È corsa al grano
Federdistribuzione: Non ci saranno scaffali vuoti
Sulla questione Alberto Frausin, presidente di Federdistribuzione all’Adnkronos si dice tranquillo: le difficoltà nell'approvvigionamento dei supermercati e degli ipermercati per lo sciopero degli autotrasportatori «sono state molto limitate. I problemi si sono avuti in particolare in Sicilia, e in altre regioni del Sud. Scaffali vuoti? Assolutamente no, dopo l'accordo tra il governo i trasportatori la situazione è tornata normale. Non c'è bisogno di fare alcuna corsa al supermercato, non mancherà nulla».
“Toppa” provvisoria
Ma c’è un ma: «L'accordo tra governo e autotrasportatori è una bella notizia, anche se risolve il problema in modo temporaneo - continua Frausin - Il tema è delicato, perché si tratta degli aumenti del costo del gasolio per i trasportatori. E credo che purtroppo con la guerra in Ucraina e il prezzo del petrolio alle stelle questo problema dovrà essere tenuto sotto controllo dal governo». E il numero uno di Federdistribuzione lancia l'allarme sul caro-energia per il suo settore. «Per il nostro settore, food e non food, il costo dell'energia era 2 miliardi di euro a settembre, è salito a 3 e mezzo in autunno-inverno ma calcoliamo che arriverà a 5 miliardi e quindi è più raddoppiato in pochi mesi. Il governo ha fatto qualcosa ma non basta. E anche come filiera dobbiamo agire sull'efficientamento energetico».
Alberto Frausin
Preoccupa l’inflazione
Tra le preoccupazioni maggiori di questi giorni c'è anche l'inflazione. «L'aumento dei costi energetici e delle materie prime, in particolare per alcuni beni di prima necessità, si sta riflettendo - spiega Frausin - sull'inflazione. Come distribuzione moderna organizzata stiamo mettendo in campo tutte le misure per contenerla, almeno perché gli aumenti avvengano con gradualità. Vanno difesi i consumatori, visto che abbiamo già tre milioni di poveri, anche se i margini del nostro settore sono già stretti».
Aumenteranno i prezzi?
L’obiettivo della gdo è quindi quello di cercare di non aumentare i prezzi. Diversa, invece, l’opinione di Confesercenti: «Il maggior costo delle materie prime e dell’energia potrebbe portare il tasso di inflazione al 6%. Questo significherebbe un taglio dei consumi immediato per 4 miliarsi – spiega la presidente Patrizia De Luise – L’accelerazione dell’inflazione peserà sui tassi bancari con un aggravio di spesa per le imprese».
L’allarme dei produttori di pasta: scorte per un mese
Preoccupati i produttori di pasta. Vincenzo Divella, amministratore delegato insieme con il cugino Francesco dello storico gruppo di Rutigliano, ha annunciato un possibile nuovo aumento del prezzo su pacco di pasta fino a 10 centesimi al chilo: «Con le guerre vendiamo di più. Di solito quando c’è un conflitto c’è la corsa ad accaparrarsi cibo e acqua, c’è la paura di non avere più il prodotto primario. Ma ho anche altri problemi: è stata bloccata una nostra nave che doveva andare a caricare grano russo proteico di alta qualità nel porto di Rostov nel mar d'Azov. Per alcuni articoli, come grano tenero e duro, il nostro settore mugnaio e molitorio avrà dei problemi».
La guerra colpisce il grano, aumentano pane e pasta
Dello stesso avviso i pastifici e i mulini campani che segnalano che ci sono scorte di grano solo per il prossimo mese e che, inevitabilmente, il balzo dei prezzi sui mercati mondiali delle materie prime alimentari si registra nelle quotazioni del grano e della pasta.
Costi pasta e pane verso un +50%
Quest'ultima - fanno notare da Assoutenti - che già a gennaio ha subito un rincaro del 12,5%, potrebbe arrivare a costare il 30% in più rispetto allo scorso anno. Il prezzo del pane, cresciuto del 3,7% lo scorso mese, potrebbe subire aumenti del 10%. Gli analisti, tuttavia, anche tenendo conto del costo di energia e gas alle stelle e dell'inflazione che tende a stabilizzarsi sugli alti livelli di adesso, ritengono che l'aumento di due beni di consumo primari per gli italiani come pane e pasta possano gonfiarsi fino ad arrivare a un 50% in più.
Il Cai (Consorzi Agrari d'Italia) lancia l'allarme indicando che le quotazioni di grano tenero sono «a livelli mai visti prima d'ora e le prime conseguenze potrebbero ricadere presto su consumatori e agricoltori». Federalimentari ritiene che il costo della pasta potrebbe superare il 10%, percentuale che si aggiunge all'aumento del 10% avvenuto a fine dello scorso anno. Coldiretti spiega che le quotazioni del grano sono balzate del 5,7% nella sola giornata del 24 febbraio, subito dopo l'attacco della Russia all'Ucraina, raggiungendo il valore massimo da 9 anni a 9.34 dollari a bushel. Per Assopanificatori-Fiesa Confesercenti il prezzo del pane potrebbe aumentare del 10% a causa del conflitto, ma la stima di incremento, che va ad aggiungersi al 10-15% in più del 2020, è soggetto a diverse variabili, tra cui l'aumento dell'energia e del gas che impatta sul funzionamento di macchine e forni. Sulla questione Coldiretti ha segnalato che il prezzo del pane fresco in media è già aumentato a gennaio del 3,8% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Un chilo di grano tenero - dice l'organizzazione - in Italia è venduto a circa 32 centesimi, mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini ad un valore medio di 3,2 euro al chilo «con un rincaro quindi di dieci volte, tenuto conto che per fare un chilo di pane occorre circa un chilo di grano». Il Cai ha indicato che il grano tenero, utilizzato per la produzione di pane, farine e biscotti, viene quotato, a seconda del valore proteico, dai 4 agli 8 euro in più a tonnellata, attestandosi in media intorno ai 315-320 euro per tonnellata, fino ad arrivare a 381 euro a tonnellata (+2,5%).
L’Italia deve tutelare le sue produzioni
L' Ucraina si colloca al terzo posto come esportatore di grano a livello mondiale, la Russia al primo, e garantiscono insieme circa un terzo del commercio mondiale. Dall'Ucraina arriva in Italia grano tenero per la produzione di pane e biscotti per una quota pari al 5% dell'import totale nazionale e un quantitativo di 107 mila tonnellate nei primi dieci mesi del 2021. Un valore quasi doppio rispetto a quello proveniente dalla Russia (44 mila tonnellate) dalla quale arriva anche il grano duro per la pasta (36 mila tonnellate).
L'Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori molte industrie hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale, anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera.
«Abbiamo abbandonato quasi la metà delle superfici agricole, non tanto e non solo per le trasformazioni economiche e sociali del Paese, ma perché i prezzi delle nostre produzioni non sono giudicati vantaggiosi rispetto a quelli di altri Paesi - commenta Mauro Agnoletti, coordinatore scientifico dell'Osservatorio Nazionale sul Paesaggio Rurale - questo ha portato a un progressivo scollamento dell'industria agroalimentare dal nostro territorio».
Come frenare questa tendenza? Per Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, la strada è una sola: «Tutelare le prodizioni italiane. Ma per farlo bisogna evitare i blocchi dei tir che oggi non riescono a fare fronte al caro carburanti, +25%. Serve un intervento complessivo che tuteli gli interessi di tutti altrimenti c’è il rischio del blocco del settore «giù vessato dagli aumenti dell’energia elettrica che hanno sfiorato il 400% e da quelli delle materie prime».
L'Italia importa fino al 60% del fabbisogno
In pericolo le piccole aziende italiane
Nodo cruciale i prezzi e il blocco dei consumi: «Il conflitto in Ucraina e le inevitabili sanzioni alla Russia si ripercuoteranno molto pesantemente sulle imprese italiane - dice Confartigianato - Rischiano di ripetersi le gravi conseguenze economiche derivanti dal conflitto russo-ucraino scoppiato nel 2014 con la crisi di Crimea. Calcolando che le prolungate sanzioni economiche alla Russia, tra il 2013 e il 2021 hanno fatto calare del 22,2% l'export europeo verso Mosca, con una maggiore penalizzazione dell'Italia (-28,5%). In 8 anni le nostre vendite sul mercato russo hanno accumulato perdite per 24.712 milioni di euro, pari a 3.089 milioni di euro medi all'anno. Sarà grave l'impatto sulle piccole imprese: i settori italiani con la maggiore concentrazione di micro e piccole imprese (soprattutto alimentari, moda, mobili, legno, metalli) vendono in Russia prodotti per 2.684 milioni di euro, pari al 34,9% delle nostre esportazioni nel Paese»
Per Goldman Sachs l’evoluzione della crisi Ucraina potrebbe comportare il rischio di un ulteriore aumento del gas e, a cascata, dell’inflazione: dal 6,5 a maggio e al 5,4 entro la fine dell’anno. Per l’Europa si stima anche una caduta del Pil dello 0,2% rispetto alle previsioni. Più drastica Confindustria che vede la caduta del Pil allo 0,8. Ecco lo spettro della stagflazione si fa sempre più reale.