Italian sounding, piaga per l'economia Il Grana Padano richiama le istituzioni
La commercializzazione incontrollata dei finti Grana Padano e Parmigiano Reggiano sta facendo male al sistema economico, ma le istituzioni se ne stanno accorgendo solo ora dopo 15 anni di allarmi
25 gennaio 2018 | 10:40
Richiami spesso e volentieri lanciati dal Consorzio di tutela del Grana Padano. L'ultimo arriva da Stefano Berni, direttore del Consorzio, che ha denunciato la grave situazione in una lettera aperta alle istituzioni.
Già solo i numeri parlano chiaro: secondo la Coldiretti, il giro d'affari dei prodotti agroalimentari "tarocchi" è arrivato a 60 miliardi di euro, con in testa proprio i formaggi Dop, a partire dal Grana Padano e dal Parmigiano Reggiano, le due Denominazioni casearie più importanti.
«Tanti anni fa, noi del Consorzio - scrive Berni - scrive Berni - venivamo presi per cassandre pessimistiche ma ora che le "scimmiottature" ci stanno davvero facendo male, il mondo economico, istituzionale e politico si accorge dei danni che sta arrecando al Grana Padano e seppure in modo più sfumato al Parmigiano Reggiano; si sa che i "copioni" si sviluppano e si radicano dove ci sono marchi importanti e diffusi, per rubare spazi che diventano via via più rilevanti».
Sono state tante le richieste lanciate dal Consorzio negli ultimi 15 anni al fine di ottenere norme che tutelassero i prodotti originali, ma tutto è rimasto inascoltato. Alcuni esempi: bloccare i numerosi "Gran", distanziare negli scaffali le copie dai prodotti Dop, imporre una distinzione sulle confezioni di vendita, indicare i prodotti usati nelle cucine dei 290mila punti di ristorazione italiani.
«In assenza delle istituzioni, ora il Consorzio è obbligato - conclude Berni - ad agire da solo; si assumerà l'arbitrio rischioso di colmare i vuoti della politica, un atto doveroso di moralità verso produttori e consumatori, con tutti i provvedimenti legalmente percorribili. Avere le norme giuste avrebbe evitato la guerra che stiamo combattendo».
Queste parole rientrano nello scenario dell'accordo commerciale tra Ue e Giappone, e a scendere in campo c'è anche Federalimentare: «Non ratificare l'accordo Ue-Giappone nell'attuale formulazione a partire dal Parlamento europeo, vista l'assenza di tutela dei principi fondamentali, a meno che non si riescano ad apportare delle correzioni capaci di difendere i nostri formaggi Dop», questo l'appello del presidente Luigi Scordamaglia, specie in quella parte dell'accordo che apre alle imitazioni ingannevoli dei formaggi italiani Dop.
Espressamente, direbbe l'attuale accordo, i nomi composti Grana Padano e Pecorino Romano saranno tutelati, ma chiunque potrà produrre un "grana" o un "pecorino"; se la cava ancora peggio il Parmigiano Reggiano, per il quale viene liberamente legittimata la registrazione di "Parmesan".
«L'industria italiana - precisa Scordamaglia - è sempre favorevole allo strumento degli accordi di libero scambio internazionali quando però favoriscono una globalizzazione basata su regole serie e trasparenti». Secondo il presidente di Federalimentare, «piuttosto che rincorrere nuovi accordi senza un'adeguata attenzione ai dettagli applicativi, la Commissione di concentrasse sulla verifica delle regole di implementazione degli accordi già sottoscritti».
foto: Solo prodotti italiani
Già solo i numeri parlano chiaro: secondo la Coldiretti, il giro d'affari dei prodotti agroalimentari "tarocchi" è arrivato a 60 miliardi di euro, con in testa proprio i formaggi Dop, a partire dal Grana Padano e dal Parmigiano Reggiano, le due Denominazioni casearie più importanti.
«Tanti anni fa, noi del Consorzio - scrive Berni - scrive Berni - venivamo presi per cassandre pessimistiche ma ora che le "scimmiottature" ci stanno davvero facendo male, il mondo economico, istituzionale e politico si accorge dei danni che sta arrecando al Grana Padano e seppure in modo più sfumato al Parmigiano Reggiano; si sa che i "copioni" si sviluppano e si radicano dove ci sono marchi importanti e diffusi, per rubare spazi che diventano via via più rilevanti».
Sono state tante le richieste lanciate dal Consorzio negli ultimi 15 anni al fine di ottenere norme che tutelassero i prodotti originali, ma tutto è rimasto inascoltato. Alcuni esempi: bloccare i numerosi "Gran", distanziare negli scaffali le copie dai prodotti Dop, imporre una distinzione sulle confezioni di vendita, indicare i prodotti usati nelle cucine dei 290mila punti di ristorazione italiani.
«In assenza delle istituzioni, ora il Consorzio è obbligato - conclude Berni - ad agire da solo; si assumerà l'arbitrio rischioso di colmare i vuoti della politica, un atto doveroso di moralità verso produttori e consumatori, con tutti i provvedimenti legalmente percorribili. Avere le norme giuste avrebbe evitato la guerra che stiamo combattendo».
Luigi Scordamaglia e Stefano Berni
Queste parole rientrano nello scenario dell'accordo commerciale tra Ue e Giappone, e a scendere in campo c'è anche Federalimentare: «Non ratificare l'accordo Ue-Giappone nell'attuale formulazione a partire dal Parlamento europeo, vista l'assenza di tutela dei principi fondamentali, a meno che non si riescano ad apportare delle correzioni capaci di difendere i nostri formaggi Dop», questo l'appello del presidente Luigi Scordamaglia, specie in quella parte dell'accordo che apre alle imitazioni ingannevoli dei formaggi italiani Dop.
Espressamente, direbbe l'attuale accordo, i nomi composti Grana Padano e Pecorino Romano saranno tutelati, ma chiunque potrà produrre un "grana" o un "pecorino"; se la cava ancora peggio il Parmigiano Reggiano, per il quale viene liberamente legittimata la registrazione di "Parmesan".
«L'industria italiana - precisa Scordamaglia - è sempre favorevole allo strumento degli accordi di libero scambio internazionali quando però favoriscono una globalizzazione basata su regole serie e trasparenti». Secondo il presidente di Federalimentare, «piuttosto che rincorrere nuovi accordi senza un'adeguata attenzione ai dettagli applicativi, la Commissione di concentrasse sulla verifica delle regole di implementazione degli accordi già sottoscritti».
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Alberto Lupini
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