I mesi del lockdown, con la sospensione di molti settori lavorativi, hanno messo in ginocchio l’Italia intera compromettendone la stabilità economica. Quello della ristorazione e dell’accoglienza, come abbiamo più volte sottolineato, è il comparto che ha pagato forse il prezzo più alto in termini di perdita di clientela e quindi di guadagni. Pensiamo solo all’assenza dei turisti stranieri nella stagione estiva, o al protrarsi dello
smartworking che sottrae ai ristoratori una grossa fetta di clienti nella pausa pranzo. Il Governo, con
misure ancora insufficienti, ha dimostrato di non dare il giusto peso ad un settore che, tra turismo e aziende del fuori casa, contribuisce per un terzo al Pil nazionale. E nel mondo della ristorazione non si è ancora definito un fronte comune, ampio e unitario, che permetta un dialogo più efficace con le istituzioni (si veda il
fallimento del progetto #Farerete...).
6.119 le imprese straniere in più nel periodo gennaio-giugno di quest'anno rispetto allo stesso periodo del 2019
A fronte di questo
scenario, la chiave di volta per reagire ed uscire dalla crisi bisogna forse cercarla nello spirito d’iniziativa personale, nella creatività e nell’intraprendenza, che ci spinge ad andare anche controcorrente, mettendoci in gioco. Occorre trovare un modo diverso per approcciarsi al mondo imprenditoriale e cercare di
far ripartire l’economia. E come spesso succede, l’esempio ce lo forniscono gli stranieri.
La più importante comunità straniera attiva nel settore della ristorazione italiana, quella cinese, si sta già muovendo per acquistare nuovi locali. A confermarlo è
Francesco Wu, referente in Confcommercio Milano per l’imprenditoria straniera e presidente onorario dell’Unione Imprenditori Italia-Cina, che in un post su Facebook sottolinea come l’apertura di un nuovo locale non è un’utopia, ma si può realizzare anche con un investimento iniziale contenuto. Una testimonianza importante perché descrive la situazione attuale e dà un’indicazione ai giovani su come fare imprenditoria.
«A Milano, se si vuole - scrive Wu - con zero anticipo ormai ti vendono il ristorante, se la posizione è bellina al massimo devi pagare con le vecchie cambiali delle rate, mai superata come forma di pagamento nel tempo, mentre in zone più periferiche non si sborsa niente. Conosco diversi giovani italocinesi che si stanno buttando nella mischia, certo il periodo non è dei migliori ma questo è il rischio; certo che poi ci si deve fare il mazzo e per il primo periodo stare senza stipendio/compenso per se stessi se le cose non decollano subito».
Francesco Wu
«Per tanti giovani milanesi - prosegue - sarebbe un’opportunità da non sottovalutare. Praticamente con pochissimo investimento apri un locale che spesso è ristrutturato da poco. Purtroppo sono quelli che hanno già un lavoro a mettersi in gioco mentre chi si muove poco dal proprio divano sta ancora seduto. Provare a fare impresa non è da tutti e ancora meno fare un’impresa che funzioni».
«Fare impresa - conclude Wu - in generale dipende da Volontà, Esperienza e Capacità e nell’ambito della ristorazione dipende più dai primi due fattori e non dal denaro né dai talenti. I primi due fattori non sono innati ma dipendono da noi stessi. Quindi non sempre piangersi addosso è giusto».
La crescita delle imprese straniere in Italia è confermata dagli ultimi dati diffusi da Unioncamere e InfoCamere sulla base dei dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio, che mettono però in luce un rallentamento dovuto agli effetti dell’epidemia di coronavirus. Nei primi sei mesi di quest’anno, infatti,
il saldo tra le nuove imprese e quelle che hanno chiuso i battenti si è attestato a +6.119 unità, mentre nel periodo gennaio-giugno del 2019 il bilancio tra aperture e chiusure di imprese di stranieri aveva fatto segnare +10.205 imprese, il 40% in più rispetto al dato di quest’anno. Il dato si conferma quindi positivo, ma con un “effetto frenata” dovuto al Covid-19.
Nel primo semestre di quest'anno nel settore Horeca si sono registrate 48mila nuove attività avviate da stranieri
Il totale delle imprese di stranieri ha raggiunto alla fine di giugno 2020 il valore di 621.367 unità, l’1% in più rispetto al 31 dicembre scorso. Le attività in cui si registra il maggior numero di iniziative di stranieri nel primo semestre di quest’anno sono il commercio (circa 160mila), l’edilizia (120mila) e l’
hotellerie e ristorazione (48mila). I progressi più sensibili hanno riguardato Roma (con 832 imprese di stranieri in più tra gennaio e giugno), Milano (+515) e Torino (+499) che occupano anche le prime tre posizioni in termini di quantità assoluta di iniziative di stranieri (rispettivamente con 70.898 nella Capitale, 58.316 nel capoluogo meneghino e 27.175 in quello sabaudo).
La forma giuridica più diffusa resta quella dell’impresa individuale (475mila unità pari il 76,5% del totale, una quota di molto superiore alla media italiana, ridottasi negli ultimi decenni a circa il 52%). Poco meno di 100mila imprese di stranieri adottano invece la forma di società di capitali (96.964 unità, il 15,6% del totale).