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I prodotti regionali trainano il turismo, ma la ristorazione deve incentivarli

I prodotti a denominazione - Dop, Doc, Igp e Sgt - sono in costante ascesa nel paniere degli acquisti degli italiani. Le tipicità regionali piacciono con il Trentino Alto Adige che è il territorio più apprezzato. Anche gli stranieri sono attirati dal made in Italy enogastronomico, con il vino a fare la parte del leone

di Federico Biffignandi
26 agosto 2021 | 14:58
Il Trentino tra le regioni più apprezzate I prodotti regionali trainano il turismo, ma la ristorazione deve incentivarli
Il Trentino tra le regioni più apprezzate I prodotti regionali trainano il turismo, ma la ristorazione deve incentivarli

I prodotti regionali trainano il turismo, ma la ristorazione deve incentivarli

I prodotti a denominazione - Dop, Doc, Igp e Sgt - sono in costante ascesa nel paniere degli acquisti degli italiani. Le tipicità regionali piacciono con il Trentino Alto Adige che è il territorio più apprezzato. Anche gli stranieri sono attirati dal made in Italy enogastronomico, con il vino a fare la parte del leone

di Federico Biffignandi
26 agosto 2021 | 14:58
 

Dal momento in cui la cucina è diventata una tendenza dilagante, una moda, un must, un fenomeno popolare e internazionale - ovvero da Expo 2015 - è sembrato che i cibi alternativi o etnici avessero la meglio su quelli italiani, cardine della Dieta mediterranea che ci contraddistingue. Ma questa ventata di novità è stata solo passeggera e ha presto lasciato il posto alla riscoperta dei prodotti tipici italiani, in particolare a quelli contraddistinti da marchi a denominazione: Dop, Doc, Igp.

Riscoperta, sì se ribadiamo il fatto che la Dieta mediterranea ha svezzato gran parte degli italiani, ma se ci aggiungiamo che dal 2015 in poi si è cominciato a mangiare in modo più consapevole, curioso, affinato, critico, ricercato. E per fortuna, visto che l’Italia dispone di 316 specialità ad indicazione geografica riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg, 5266 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola, la leadership nel biologico con oltre 80mila operatori biologici e la più grande rete mondiale di mercati di agricoltori e fattorie con Campagna Amica. Praticamente non accorgersi di questa ricchezza sarebbe uno scempio.

L'influenza dei prodotti a denominazione sul turismo è virtuosa

Una ricchezza che, anche se ancora faticosamente in alcuni casi, viene ampliata e distribuita su più filiere. In primis, su quella del turismo. La vacanza enogastronomica non è più diventata una nicchia, assaggiare prodotti tipici del luogo dove ci si trova in vacanza non è più una casualità o una necessità, ma sempre più frequentemente si sceglie il luogo dove recarsi scrutando prima che cosa l’enogastronomia locale può offrire. Una recente ricerca di Coldiretti/Ikè ha rilevato che per questa estate il cibo ha rappresentato per quasi il 22% degli italiani la principale motivazione di scelta del luogo di villeggiatura, mentre per un altro 56% costituisce uno dei criteri su cui basare la propria preferenza. Solo un 4% dichiara di non prenderlo per niente in esame. Di più: la stessa ricerca ha rilevato che circa quattro italiani su cinque (78%) in vacanza lontano da casa preferiscono consumare prodotti tipici del posto a chilometro zero per conoscere le realtà enogastronomiche del luogo in cui si trovano. Appena il 15% dei vacanzieri ricerca anche in villeggiatura i sapori di casa propria mentre una netta minoranza (5%) si affida alla cucina internazionale un 2% prova altre esperienze nel piatto.

Va da sé che scoprire certi sapori e certi profumi lontano da casa resta nel cuore ed è frequente che, una volta rientrati alla base, si cerchino ancora quei sapori e quei profumi per rivivere alcune sensazioni, per chiudere gli occhi e sentirsi al mare, in montagna o in mezzo alla campagna. Del resto, la nona edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, evidenzia che le specialità regionali italiane stanno vivendo un’epoca d’oro che non ha intenzione di fermarsi. Il paniere di questi prodotti e il loro giro d’affari continuano a crescere: nel 2020 l’offerta è arrivata a comprendere ben 9.200 prodotti e il sell-out è cresciuto di +6,4% rispetto al 2019; lo stesso paniere dei prodotti alimentari a caratterizzazione regionale ha sviluppato circa 2,6 miliardi di euro di sell-out in supermercati e ipermercati e ha contribuito per l’8,0% al giro d’affari totale del food&beverage in questo canale

 

 

La pandemia ha agevolato il mercato

Una tendenza che ha “sfruttato” la pandemia traendone beneficio. Se infatti la scorsa estate fece notizia il menu fu il Qr code a rappresentare il “grande” salto avanti della ristorazione, ora che il supporto è abbastanza usuale e verso il quale sta finalmente cadendo la soggezione di utilizzo, l’attenzione si è spostata sulla sostanza dell’offering, partendo da una considerazione che ha in sé sia la forza dell’attualità che la valenza dell’impatto strategico sul nostro agroalimentare. Il lockdown, anzi “i lockdown” hanno consentito agli italiani di frenare i ritmi quotidiani e andare quindi a fare la spesa avendo maggior tempo a disposizione, rovistare tra gli scaffali con maggiore attenzione, effettuare acquisti food&wine su piattaforme di e-commerce.

La classifica delle regioni che... piacciono di più

L’analisi condotta dall’Osservatorio Immagino delinea una mappa insolita (e sfaccettata) dell’Italia a tavola, tra regioni dove i prodotti locali sono assoluti e indiscussi signori del carrello della spesa e altre regioni (soprattutto quelle con le maggiori aree metropolitane), dove c’è un maggiore “melting pot” anche a livello di consumi di food & beverage.

Cibo e turismo viaggiano a braccetto I prodotti regionali trainano il turismo, ma la ristorazione deve incentivarli

Cibo e turismo viaggiano a braccetto

Il sovranismo alimentare regna in Sardegna, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, mentre in Lombardia, Emilia-Romagna, Campania, Molise e Calabria i prodotti del territorio locale restano preponderanti e sviluppano più vendite rispetto alla media nazionale. Ma ci sono anche regioni dove i prodotti locali non sono ai primi posti per incidenza sugli acquisti, come accade in Valle d’Aosta e Basilicata. Nel resto del paese il carrello della spesa è più interregionale. Ad esempio, in Liguria il consumo dei prodotti piemontesi è superiore del 69% alla media italiana e quello dei prodotti campani lo è del 12%, mentre in Piemonte l’indice di allocazione dei consumi è maggiore per i prodotti liguri e per quelli pugliesi.

L’approfondimento sulle aree di maggior diffusione dei panieri regionali porta alla luce correlazioni spesso impensate e una mappa per molti versi sorprendenti dei gusti e delle preferenze alimentari degli italiani. Ad esempio, il paniere “made in Lombardia” trova un terreno particolarmente fertile al Sud, soprattutto in Calabria, Sicilia, Campania e Basilicata.

Invece i prodotti piemontesi vanno forte in Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia, ma non riescono a sfondare più a sud di queste terre. Situazione analoga per i prodotti del Trentino-Alto Adige: molto presenti nel carrello della spesa in Veneto, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia, non sfondano nel resto del paese.

E ancora: il paniere dei prodotti della Campania evidenzia un radicamento nelle scelte d’acquisto degli italiani, lungo l’intero Stivale, e in particolare presso i toscani, i lombardi, i liguri, i laziali e gli emiliano-romagnoli. Più polarizzato appare il mercato dei prodotti della Puglia, molto apprezzati al Sud, in Campania, Basilicata e Molise, e anche al Nord, in Lombardia, Valle d’Aosta e Piemonte.

Come in ogni edizione, l’Osservatorio Immagino ha elaborato la classifica 2020 delle regioni che maggiormente contribuiscono a questo trend. Ancora una volta il primo posto, per valore delle vendite, spetta al Trentino-Alto Adige, che lo ha conquistato e mantenuto sin dalla prima rilevazione, realizzata nel 2016, grazie a un ampio paniere di prodotti, in particolare vini e spumanti, speck, yogurt, mozzarelle e latte. Una leadership che nel 2020 si è ancor più consolidata, visto che il sell-out è aumentato più che nel 2019 (rispettivamente +7,0% e +1,1%), sostenuto in particolare dall’apporto positivo di speck e vini.

Il secondo posto in classifica va alla Sicilia, il cui paniere di specialità regionali (tra cui spiccano il vino, i sughi pronti e le arance) ha visto aumentare le vendite di +5,1% (+4,2% nel 2019), grazie soprattutto all’apporto di birre, arance, sughi pronti, passate di pomodoro e bevande gassate.

 

Gioca e Parti

 

Al terzo posto per valore delle vendite si insedia il Piemonte, che però è la regione presente sul maggior numero di prodotti (1.152 referenze), davanti a Sicilia e Toscana. Nel 2020 il paniere dei prodotti piemontesi, che è composto soprattutto da vini, formaggi freschi, carne, acqua minerale e latte, ha ottenuto un aumento di +3,7% delle vendite. Un trend a cui hanno contribuito soprattutto carne bovina, vini Docg, latte Uht, miele e mozzarelle.

Confrontando l’andamento delle vendite realizzate nel 2020 con quelle dell’anno precedente, emerge che i panieri regionali più dinamici sono stati quelli di Puglia (+14,4%) e Calabria (+12,5%), seguiti da quelli di Veneto (+9,6%) Sardegna (+8,6%), Abruzzo (+8,5%) e Marche (+8,4%).

Il fenomeno del 2020 è stato l’exploit del Molise, che continua a guadagnare spazio nel carrello della spesa degli italiani: dopo il +30,7% del 2019, l’anno scorso le vendite del paniere dei prodotti di questa piccola regione sono cresciute di un altro +24,8%, con la pasta di semola a fare da traino.

Ristoranti ancora indietro sulla capacità di valorizzazione

Un fenomeno che, come abbiamo visto, funziona nella grande distribuzione ma che può avere altri margini di miglioramento. Sembra un paradosso, eppure la fetta che ancora manca per spingere alle stelle questo mercato è quella della ristorazione. In che cosa peccano molti ristoranti oggi? Nell’aggiornamento sui metodi di comunicazione che - ancora vecchi, in alcuni casi “snob” o del tutto assenti - impediscono la valorizzazione dei prodotti a denominazione. Non basta più inserire solo la sigla Dop, Igp, Doc, Stg alla fine di ogni prodotto, ormai il consumatore ci ha fatto l’abitudine ma partendo da un’ignoranza di fondo. Leggere la sigla che compare praticamente ovunque ormai suona un po’ come specchietto per le allodole. Cosa significa Dop? Cosa significa Igp? Perché dovrei scegliere questo prodotto piuttosto che un altro? Come è possibile che io debba scegliere un prodotto Dop il cui luogo di origine dista mille chilometri?

 

Ecco che a questo punto sarebbe utile uno storyteller, una figura di sala che racconti il cibo ai consumatori. La modalità del “racconto” è ormai sviluppata in più settori, ma l’agroalimentare ancora stenta. Da sempre il cameriere annuncia il piatto quando arriva al tavolo, ma ancora pochissimi sanno spiegarlo, “impacchettarlo”, invogliare il cliente ad assaggiarlo, portare il cliente esattamente in quel posto dove quel prodotto ha origine. Una pecca, enorme, perché toglie il gusto di apprezzare una prelibatezza e quindi rischia di togliere anche la voglia di tornare ad assaggiarla o di raggiungere il luogo d’origine di quel determinata prodotto nel primo weekend disponibile.

Dai social un aiuto per comprendere le tendenze

E poi, c’è l’aspetto social. Pochi, pochissimi i ristoratori che sono davvero presenti in modo efficace sui social network. Eppure, ricerche lo confermano, è proprio da lì che passano i consigli più ascoltati, che arrivano dai post degli influencer. Avere un proprio profilo, attivo e studiato è doveroso ma è doveroso anche navigare, leggere li hastag, conoscere i gusti dei giovanissimi, assecondare le tendenze, capire dove il vento sta tirando per far trovare nel menu esattamente ciò che chi ha prenotato si aspetta. E il gioco non è difficilissimo se è vero, come ha rilevato la ricerca Coldiretti/Ikè di cui sopra, che il 19% dei turisti prima di assaggiare un piatto gli scatta una foto e la posta, con commento e con hashtag che vanno letti, interpretati, colti, approfonditi, sfruttati. Ad esempio: la pizza è il piatto più instagrammato al mondo. Perchè non dare uno sguardo a come servirla? A quali topping sono i preferiti? Dove piace consumarla? In quali orari?

I food selfie funzionano I prodotti regionali trainano il turismo, ma la ristorazione deve incentivarli

I food selfie funzionano

I prodotti tipici volano all'estero

E mica guardando solo all’Italia. Le bontà del Belpaese sono in grado di espandere l’eco fino ad 800 chilometri di distanza ed attirare quindi gli stranieri nella Penisola “solo” per assaggiare quel determinato piatto, prodotto, vino. Poi, tornati in patria, la voglia di riassaggiare certi sapori. Le esportazioni alimentari Made in Italy hanno infatti registrato un aumento del +23,1% a giugno per un valore annuale stimabile in 50 miliardi nel 2021. È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sui dati Istat che evidenziano la crescita del fatturato industriale alla vigilia del Cibus di Parma. Con l’avanzare della campagna di vaccinazione, la riapertura delle attività di ristorazione e le vacanze cresce la domanda di Made in Italy a tavola in Italia e nel mondo con il fatturato alimentare che segna a giugno un balzo dell’11,1% e con le grandi fiere internazionali che rappresentano un elemento strategico per far conoscere ed apprezzare le eccellenze italiane a istituzioni, stakeholder e operatori di mercato.

Tra i principali clienti del Made in Italy a tavola nel primo semestre dell’anno ci sono gli Stati Uniti che si collocano al secondo posto ma registrano l’incremento maggiore della domanda con un balzo del 18,4%, trend positivo anche in Germania che si classifica al primo posto tra i Paesi importatori di italian food con un incremento del 6,8%, praticamente lo stesso della Francia (+6,7%) che si colloca al terzo posto mentre al quarto la Gran Bretagna dove a causa della Brexit, con l’appesantimento dei carichi amministrativi, l’export alimentare crolla invece del’4,6%. Fra gli altri mercati si segnala la crescita del 16,5% in quello russo e un vero e proprio balzo in avanti di quello cinese con +57,7%.

Il vino fa la parte del leone

Tendenza che è spinta anche dal mondo del vino. Le riaperture e il “revenge spending” hanno determinato un nuovo record storico per le vendite di vino italiano tra i top 12 Paesi buyer esteri nel primo semestre di quest’anno, con le importazioni segnalate in crescita a valore del 7,1% sul pari periodo 2020 ma anche del 6,8% sul 2019, in regime pre-Covid. Lo rileva l’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor che ha elaborato gli ultimi dati doganali sulle importazioni dei 12 principali mercati mondiali della domanda di vino, che assieme valgono circa i 3/4 del totale export made in Italy.

E quali sono i vini più ricercati? Quelli a denominazione. Il trend di crescita mondiale interessa i vini di fascia medio-alta, come desumibile anche dai prezzi medi all’import. Una conferma a questa tesi arriva analizzando l’export dei Dop italiani e francesi, con i rossi Dop del Piemonte a +24% o i rossi Dop toscani a +20%. Tendenza ancora più evidente per i rossi a denominazione francesi, con il Bordeaux a +61% e il Borgogna a +59%, ma anche per gli sparkling d’Oltralpe, Champagne in primis, che volano a +56% nel mondo e a +70% negli Usa. Tornando alle importazioni di vini tricolori nelle 12 principali piazze, sul 2020 l’Italia sovraperforma rispetto al mercato in Cina (+36,8%), in Germania (+9,3%) e in Russia (+29,4%), mentre è sotto la media negli Usa (+1%, ma sul 2019 l’incremento è di quasi il 6%), Uk (-0,4%) e Canada (+2,5%). Crescono le importazioni dei vini fermi (+6,9%, con il prezzo medio salito a +5,9%), mentre gli sparkling incrementano le vendite dell’11,1%, con una riduzione del prezzo medio del 4,8%.


 

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